– Emanuele
L’ambientalismo servo, opposto alle necessità umane e naturali del Socialismo
La vittoria del partito verde tedesco, il Bündnis90-die Grünen, dimostra un’attenzione sempre maggiore nel cuore d’Europa per politiche che regolamentino in funzione ambientalista l’attuale sistema economico. Nonostante solo recentemente abbia portato a una maggioranza governativa nei Länder tedeschi, i Verdi sono stati, fin dalla loro fondazione, uno dei più influenti partiti ecologisti in Europa, autori peraltro delle chiusure delle centrali nucleari in Germania e fautori di una economia-verde come correttivo tanto più estetico che effettivo del capitalismo tedesco.
IGrünen sono inoltre il più grande partito in Baden-Württemberg, e collaborano indistintamente a fornire maggioranze in molti degli Stati federati tedeschi, alternativamente con l’SPD e die Linke o col centrodestra liberale di FDP e la CDU di Angela Merkel. Ad ogni modo la strepitante vittoria li pone nei sondaggi come secondo partito tedesco, superando la SPD, eterna spalla per larghe intese. Ciò fa prevalere un’ottica europeista ed ecologista anche sul nazionalismo di Alternative für Deutschland, forse per un maggiore coinvolgimento dei tedeschi nelle grandi tematiche mondiali come la minaccia del riscaldamento globale e del relativo cambiamento climatico. Questo exploit induce a una riflessione anche sullo stesso modo di concepire il socialismo, allargando il necessario superamento dell’attuale sistema economico anche ad ambienti verdi, pur non scadendo in una sinistra alienata come nel caso vendoliano di Sinistra Ecologia e Libertà.
Infatti, prendendo una posizione ambientalista, si vede empiricamente come l’attuale sistema economico, a causa della ricerca smodata di un eterno profitto, distrugge proprio per il feticcio del denaro l’ambiente naturale e la stessa natura dell’uomo. Per esempio, la sconfitta del PT e della democrazia in Brasile nelle ultimissime elezioni generali, si fonda anche su un’assente riguardo delle file petiste per i movimenti ambientalisti, al fine di condurre uno sviluppo economico capitalista il più favorevole possibile alle classi medie brasiliane, favorendo le imprese private e i capitalisti per lo sfruttamento delle risorse naturali. La vittoria di Bolsonaro, dunque, già tentando di fondere il Ministero dell’Ambiente sotto il Ministero dell’Agricoltura (favorendo la ruralista bancada do boi – «lobby del bue») fa pregustare un generale arretramento delle politiche ambientaliste in favore di sempre maggiori interessi economici, che si sovrappongono all’incolumità dei popoli autoctoni e del polmone verde amazzonico.
Tuttavia le regolamentazioni in difesa dei lavoratori e dell’ambiente vanno scemando in ogni dove – Cina esclusa – mentre in Europa i profitti delle grandi aziende si fregiano di un timido inverdimento estetico per legittimare, e nascondere, come nel caso Volkswagen, un ambientalismo borghese, di facciata fintantoché si sposa col perseguimento degli interessi economici. Addirittura, il rincaro dei combustibili in Francia, che vede la protesta generale dei gilet jaunes e dell’opposizione contro uno dei presidenti più autocratici e impopolari delle repubbliche francesi, si illustra come un provvedimento ambientalista e non nella realtà di un favore alla Total e alle altre aziende petrolifere francofone. Mai come ora è evidente che lo Stato persegue gli interessi delle classi economicamente, e dunque socialmente, dominanti.
Essendo, dunque, le regolamentazioni ambientaliste null’altro che misure limitanti il pensiero unico liberista «laissez faire, laissez passer» saranno comunque osteggiate dai gargantua di denaro e interessi, eccezion fatta per singolari congiunture. Pertanto si rende necessaria una condivisione di interessi e intenti volti a una costruzione di una nuova società, dove la cura dell’ambiente non è tanto un limite, quanto un’opportunità economica e un dovere morale, dove la ricerca del profitto e l’etica del consumo lascia il posto a una razionalizzazione economica in funzione del soddisfacimento della domanda. Con la razionalizzazione dell’economia, proprio per la gestione delle risorse naturali, dei beni, del cibo volta direttamente al soddisfacimento della domanda ed eliminando, con l’uso sistematico della statistica e dei potentissimi mezzi di comunicazione e produzione attuali ivi inclusa l’automazione, lo spreco e l’eccesso. Ogni anno si sente parlare, verso l’estate, di un consumo totale delle risorse rinnovabili della terra per quell’anno, e al contempo escono le stime e gli studi sul consumo e sullo spreco: accorciando la filiera al minimo necessario si eliminano il più possibile le eccedenze e gli immensi scialacqui, portati invece come modus vivendi nella nostra società e nella nostra economia.
Inoltre, se si contestualizza l’uomo come parte della natura, risulta logico pensare che sia con un rispetto dell’uomo, che con un rispetto della natura si avrebbe un connubio di interessi tra socialismo e ambientalismo, siccome l’uomo è parte della natura e la natura comprende l’uomo. A conferma di ciò, risiede tutta l’analisi marxiana sullo sfruttamento dell’uomo e la sua estraniazione, a partire dalle sfere più intime della produzione e del lavoro, ovvero quando il prodotto del lavoratore, che è parte stessa del lavoratore – essendo prodotto da egli stesso col suo stesso lavoro – viene estraniato in quanto appartenente a un altro uomo, facendo in modo che il lavoro stia sempre più come proprietà estranea al lavoratore. Ciò provoca un rapporto di subalternità del produttore rispetto al proprietario, che è quel rapporto minimo su cui si basa l’intero capitalismo.
“Il lavoratore diventa una merce tanto più a buon mercato quante più merci egli crea. Con la valorizzazione del mondo delle cose cresce in proporzione diretta la svalorizzazione del mondo dell’uomo. Il lavoro non crea soltanto merci; produce sé stesso e il lavoratore come una merce e proprio nella misura in cui produce merci in generale.”
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844
Perciò, un vero rispetto della natura, come sarebbe l’ambientalismo, deve coinvolgere necessariamente un rispetto dell’integrità dell’uomo e della sua cosciente autodeterminazione, in quanto parte della natura, e in quanto fa uso della natura per poter vivere, come ogni altro animale. Inoltre, l’attuale spinta ambientalista è solo funzionale per un’economia che vede la protezione della natura fintantoché questa sia utile nel creare nuovi bisogni per nuovi profitti; «la ricerca legittima di “nuove proprietà utili delle cose” viene così effettuata sotto forma di sfruttamento sfrenato della terra, come se quest’ultima fosse gratuitamente offerta ad appetiti smodati e alla mercé di tutti», e non alla conservazione e alla moderazione delle attività produttive ai fini del diretto sostentamento umano, piuttosto che della ricerca spasmodica del profitto e del denaro.
In conclusione, tirando le fila di quanto finora affermato, date le pericolose condizioni attuali di sfruttamento della terra, dei mari, e le vastissime proporzioni che le attività umane stanno infierendo senza misura su questo pianeta finito, la lotta socialista per la liberazione umana deve essere permeata da una forte connotazione in difesa della natura e quindi dello stesso uomo. Lo si vede costantemente, dal dissesto idrogeologico, al riscaldamento globale, all’innalzamento del livello dei mari, alla scarsità dell’acqua, una generale distrazione sia delle condizioni ambientali, sia da quelle sociali. È compito del movimento socialista e dei singoli individui promuovere una nuova società, sostenibile per l’uomo e per la natura.