Stalin e la Controrivoluzione in URSS

“La storia insegna ma non ha scolari” diceva al tempo suo Antonio Gramsci, e la storia ha un metodo d’insegnamento tutto suo che si muove solo sulle singole memorie dei suoi scolari, gli uomini. Quando la memoria della gente è o viene corrotta, distrutta o distorta questa non è più portatrice degli insegnamenti della storia ma uno dei peggiori nemici di quest’ultimi. Le menzogne storiche, derivate da ignoranza o da malafede, sono sempre nemiche della verità e quindi nemiche del bene e del movimento che tenta, che tenterà o che tentò di avvicinarcisi, e questo riguarda in particolare la Russia di Stalin, difesa oggi da moltitudini di sedicenti comunisti e comunistucoli.

Se la classe lavoratrice europea alla fine del diciannovesimo secolo era forte e sempre in tumulto, tra i fiorenti partiti socialisti e socialdemocratici, i sindacati o trade unions e la Seconda Internazionale Socialista (con tutte le sue grandi pecche), nella Russia zarista invece le cose andavano diversamente.

L’industrializzazione in Russia era più arretrata rispetto a quella europea e questo produceva un piccolo proletariato accanto ad una vasta massa contadina, sotto al dominio zarista ch’era aristocratico ancora solo di facciata. Infatti anche nella fredda Russia il potere economico apparteneva in toto alla borghesia, che fosse latifondista o industriale. Mentre gli intellettuali della II Internazionale erano troppo occupati a dimenticare il marxismo e la dialettica materialista, e la Socialdemocrazia tedesca – il più grande partito operaio europeo – ad abbandonare la lotta di classe ed il progetto comunista per allearsi col capitale (e lo dimostrerà armi in pugno nel corso della storia contro gli spartachisti e i comunisti insorti). Gli operai russi invece, lontani dalle fantasticherie di uomini tanto distanti dalle fabbriche quanto da Marx, senza partito alcuno e senza capi, leader o rappresentanti si erano uniti in una rivolta spontanea e radicale contro lo Zar, il capitalismo e l’oppressione.

Scoppiava in Russia, nel 1905, una vera rivoluzione dal basso che si rese portatrice di una grande e profonda esperienza democratica, innovativa, rivoluzionaria e socialista: il soviet! Consigli operai -come dice il nome “consiglio”, dal russo soviet- sorti in maniera del tutto spontanea in seno alla martoriata classe lavoratrice russa, organizzati al loro interno in maniera democratica ed egualitaria. E furono i vari movimenti e partiti socialisti, filo-socialisti e anarchici russi a cercare l’alleanza e il dialogo con questi organi operai e non il contrario. Chi avrebbe voluto guidare le masse ora si metteva alla loro guida.

Il socialismo clandestino fu colto di sorpresa dai soviet e dalla sollevazione operaia, nessun “gruppo d’avanguardia” inventò questi consigli ne li esaltò: persino i bolscevichi avevano in sospetto queste nuove realtà organizzative e proletarie perché in qualche modo rivali del loro partito marxista d’élite. Organi all’interno dei quali ma massa organizzava la lotta.

Il primissimo Soviet in Russia pare che sia sorto nel maggio, durante lo sciopero generale di Ivanovo-Voznesensk, grande centro tessile […] I gruppi socialisti clandestini non ci badarono affatto. Trockij, che sarebbe poi stato alla testa del più famoso di questi Soviet, il Soviet di San Pietroburgo, a quel tempo era in Finlandia. Stava scrivendo sul possibile sviluppo della rivoluzione russa, e la teoria della rivoluzione permanente […] Ma il Soviet, come forma specifica del governo dei lavoratori, forma completamente nuova, non entrò a fecondare quella teoria. […] In agosto ci fu lo sciopero generale di Varsavia e fu proclamata la legge marziale. Nello stesso mese si ebbe lo sciopero dei tipografi a Mosca, che poi si estese ai lavoratori delle ferrovie e delle poste. In ottobre lo sciopero scoppiò anche a San Pietroburgo, e fu creato il Soviet dei delegati operai per dirigere e coordinare l’azione. Fu questo il Soviet alla cui testa si mise Trockij. Ma Trockij non creò il Soviet; lo raggiunse quando era già nato. Furono i lavoratori a crearlo […].

Raja Dunaevskaja, Marxismo e Libertà, 1958

I lavoratori russi iniziavano ad autogestirsi democraticamente tramite i soviet. Gli scioperi, le barricate per strada, l’imposizione degli operai delle 8 ore lavorative nelle loro fabbriche, le manifestazioni e le occupazioni aumentavano in tutto il paese. Lo Zar pensò seriamente di scappare lontano visto che i 560 delegati eletti nel soviet di San Pietroburgo, rappresentavano più di 200.000 lavoratori solo nella capitale.

Era chiaro che il Soviet dei rappresentanti dei lavoratori costituiva un fenomeno mai visto prima in Russia ed assumeva ben altro valore storico che non la Comune di Parigi. […] La Russia non ha conosciuto altra libertà, altra democrazia. […] I lavoratori attraverso il Soviet, avevano istituito di fatto la libertà di stampa, requisendo le tipografie, in modo da poter stampare i loro giornali e quelli dei partiti e gruppi socialisti. Agivano insomma come se fossero un governo.

Raja Dunaevskaja, Marxismo e Libertà, 1958

Uno dei primi – ma comunque in ritardo – che s’accorse, almeno in buona parte, dell’importanza del soviet fu il giovane Lenin, che infatti qualche qualche anno dopo così scrisse a tal proposito:

Questi organi furono creati esclusivamente degli strati rivoluzionari della popolazione senza leggi né norme, in maniera totalmente rivoluzionaria, come prodotto dell’innata creatività del popolo, che si era liberato o si andava liberando dalle antiche catene poliziesche. Essi furono precisamente organi di potere […].

Vladimir Il’ič Ul’janov “Lenin”, Opere scelte, VII

Il soviet di San Pietroburgo durò solo cinquanta giorni, gloriosi e colmi di tutta la passione che porta un’insurrezione popolare e soprattutto ben significativi. Avevano infatti dimostrato la forza del popolo e la sua capacità di governarsi da solo e di ribellarsi radicalmente. Quando i membri del soviet di San Pietroburgo furono arrestati a metà dicembre, il soviet di Mosca era invece all’apogeo. Quest’ultimo indisse lo sciopero generale mentre per le strade venivano erette barricate e si accendevano i combattimenti, l’insurrezione proletaria scoppiava violenta e aveva la piena partecipazioni di tutte le formazioni socialiste, anarchiche e della sinistra radicale. Il Soviet gestiva lo sciopero e le proteste, tutti i lavoratori partecipavano alle decisioni e si formavano anche club rivoluzionari, le richieste dei lavoratori erano la fine dello zarismo, un’assemblea costituente nazionale del popolo, migliori condizioni lavorative, fine dello sfruttamento e libertà di stampa e di associazione politica. Per lunghe giornate la città tutta cadde nelle mani dei rivoluzionari, per poi dopo vari giorni di duro combattimento cedere e soffocare in un enorme bagno di sangue.

La rivoluzione russa del 1905 era sconfitta. Nessuno aveva visto in essa e nei suoi soviet qualcosa di più di un organizzazione sindacale clandestina, nemmeno Rosa Luxemburg e Lenin che si limitarono a scrivere, lì per lì, qualche riga sullo sciopero generale per poi capirne l’importanza centrale solo anni dopo. Intanto lo zarismo e il capitalismo in Russia ne erano usciti, ma distrutti.

La storia andò avanti e ben conosciamo come: lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la devastazione provata dalle truppe russe, l’aumento dell’industrializzazione e della classe operaia in Russia, la crescita dei movimenti clandestini di sinistra, la crescita soprattutto del Partito Bolscevico con a capo Lenin. Ed infine la grande rivoluzione russa d’ottobre che distrusse totalmente l’assolutismo zarista. Con la rivoluzione bolscevica la Russia uscì dalla guerra, eliminò ogni retaggio aristocratico e borghese e l’obbiettivo posto dalla nuova costituzione del 1918 era la costruzione del socialismo e quindi progressivamente anche la dissoluzione dello stato, della moneta e dell’esercito. Il motto della rivoluzione era “tutto il potere ai soviet!” che era un po’ come dire tutto il potere ai lavoratori uniti e democraticamente organizzati come nuova forma di potere. Quindi una democrazia operaia e contadina dal basso, diretta e che trovava nell’abolizione della proprietà privata (e dunque del capitalismo) la sua ragione d’esser tale: una vera democrazia col popolo lavoratore al potere.

Non andò esattamente così purtroppo.

Inizialmente lo stato doveva essere l’organo puramente amministrativo che obbediva alla volontà dei soviet, lo stato che possedeva ora la totalità dei mezzi di produzione ma che era anche un organo destinato ad essere gradualmente superato durante questa prima e breve fase di transizione: la dittatura del proletariato. E dal canto suo Lenin era ben conscio del carattere transitorio e tendenzialmente breve di codesta fase della costruzione del socialismo, così come – a differenza di tanti altri – sapeva bene che trasformare la classica proprietà privata capitalistica in proprietà statale non eliminava il capitalismo, lo rendeva un capitalismo di stato come egli stesso lo chiamava. Per Lenin il partito ora doveva, rappresentando l’intero popolo russo, usare l’ente statale come mezzo per consolidare la rivoluzione, cominciare a distruggere il capitalismo e i suoi rimasugli, statalizzando i mezzi di produzione e quindi dare inizio alla dittatura del proletariato. In essa i soviet, organo di governo del popolo lavoratore dal basso, dovevano comandare sullo stato e pian piano finire per sostituirlo, eliminandolo per sempre insieme alla proprietà privata statale. Ma già dopo poco il partito, che aveva la tendenza alla pianificazione dell’alto (quindi poco democratica), e stato erano quasi una cosa sola, e la maggior parte dei soviet sparsi per al Russia si vedevano gradualmente rinnegata quella sovranità che gli sarebbe dovuta appartenere.

Intanto la Russia andava sempre più militarizzandosi, fu creata l’Armata Rossa.

Lenin doveva riuscire a non far precipitare tutto ciò che la rivoluzione aveva costruito e che stava costruendo, anche quando scoppiò il feroce dibattito sul ruolo dei sindacati nello stato dei lavoratori. Nel frattempo era scoppiata anche la guerra civile. Questo non solo portò ad un accrescimento del militarismo in Russia, che vedeva Trockij a capo dell’Armata Rossa, ma anche al fatto che a causa della situazione furono confidati a Trockij e all’esercito poteri speciali – lo Tzektran – che prevaricavano il potere degli stessi soviet. Ma il punto è che a guerra civile finita i sindacati e i soviet chiesero a Trockij di privarsi dei grossi poteri conferiti all’esercito a causa della guerra civile, ma Trockij si rifiutò nella maniera più assoluta e rispose on durezza ai lavoratori. La sovranità dei soviet era sempre più messa in ombra da quella del nuovo apparato statale, del partito e dell’esercito.

L’insurrezione di Kronštadt nel 1921 fu il segnale che il motto bolscevico “tutto il potere ai soviet” da tempo era sempre meno realmente applicato, mentre cresceva l’autoritarismo e il potere centralista dello stato, e la fase di transizione non sembrava spingere verso l’eliminazione totale della proprietà privata dei mezzi e strumenti di produzione, che ora erano proprietà privata dello stato russo. Infatti da un po’ nella cittadina portuale di Kronštadt si erano formati circoli politici dove si dibatteva di temi vari e dove si leggevano autori dell’estrema sinistra libertaria quali Rosa Luxemburg, Michail Bakunin, Karl Marx, Errico Malatesta, Pëtr Kropotkin, Herman Gorter ed altri. La città insorse e si organizzò come una vera e propria comune anarchica, autogestita seppur disorganizzata, che contestava la deriva autoritaria, statalista e militarista della rivoluzione in Russia e che voleva tornare a una reale applicazione del motto comunista “tutto il potere ai soviet”. Chiaramente era un elemento potenzialmente pericoloso per il giovane stato sovietico che dopo poco sbaragliò quell’esperienza con le armi dell’Armata Rossa sotto il comando di Trockij. Quest’ultimo si sentiva di star combattendo una “controrivoluzione” a Kronštadt, per me è lecito chiedersi se non fosse esattamente il contrario.

Ma tutto sommato il socialismo, in Russia, era ancora all’orizzonte. Lenin capiva la fragilità del momento, e si esprimeva con toni duri contro quei membri del partito comunista (ex partito bolscevico) o dello stato che credevano che il socialismo fosse semplicemente pianificare l’economia, statalizzare i mezzi di produzione o alzare i salari, tra questi anche Bucharin, Trockij e Šljapnikov. Trockij dal canto suo parlava di annullamento dei sindacati inglobandoli nell’apparato statale – di cui i proletari dovevano fidarsi come di un sindacato – e di una militarizzazione del lavoro. Sosteneva, a tal proposito, l’instaurazione di

un regime tale che in esso ciascun lavoratore si sentisse soldato del lavoro, che non può disporre liberamente di sé; se gli fosse ordinato di trasferirsi altrove, egli dovrebbe obbedire a questo ordine; se non obbedisse lo si dovrebbe considerare un disertore, e come tale punirlo. A chi tocca far questo? Al sindacato – parte dello stato. Esso creerà un regime nuovo. Tale è la militarizzazione del lavoro.

Rapporto stenografico del IX congresso del PCR(b)

Trockij rimase duro nei confronti dei lavoratori e dei sindacati scontenti della sua commissione speciale con poteri militari straordinari a cui mai volle rinunciare. Lenin, nonostante fossero grandi amici, senza mezzi termini continuò duramente a contestarlo ricordandogli che ogni tentativo di far pianificazioni economiche, che non vedesse le masse come protagoniste, non era altro che una “mania burocratica di programmazione”. Mentre la burocrazia statale cresceva a dismisura, combattuta sia da Lenin che da Trockij, la Russia cadde in una grave crisi portatrice di carestia soprattutto nelle campagne.

Ciò spinse Lenin a creare la NEP, Nuova Politica Economica, che prevedeva piccole forme di proprietà privata, piccole imprese e piccoli spiragli al libero mercato, chiaramente sotto strettissimo controllo statale. Ora il capitalismo di stato sovietico vedeva un capitalista gigantesco e potente che possedeva la grande maggioranza dei mezzi di produzione, ovvero lo stato, e poi pochi e molto piccoli privati in concorrenza tra loro e in concorrenza con lo stato, una concorrenza che non potevano assolutamente reggere. L’estrazione di plusvalore, seppur in forma minore che nei paesi a capitalismo liberale, persisteva come fonte di profitto, e persisteva il pluslavoro e quindi lo sfruttamento capitalistico.

Con la sconfitta della rivoluzione comunista in Germania nel 1923, venuta dopo la già sconfitta rivoluzione spartachista del 1919, dove trovò la morte la grande pensatrice marxista Rosa Luxemburg, i comunisti sovietici si sentivano totalmente soli ed isolati, con la paura di non durare a lungo. Agli inizi del 1924, dopo mesi molto sofferti a causa di una terribile malattia che finì col paralizzarlo, Vladimir Il’ič Ul’janov – nome di battaglia Lenin – morì pianto da milioni di russi.

Il suo testamento è un opera molto importante, nascosto a lungo dall’Unione Sovietica, in cui tra le altre cose parlava anche dei suoi compagni di partito. Indicò Trockij come il “più capace membro del comitato centrale”, ma nonostante ciò lo criticò anche per la sua mania militaresca e per essere sempre troppo attratto dal lato puramente amministrativo delle cose, lontano spesso dalle masse e con una concezione del socialismo ancora tutta incentrata sulla proprietà statale dei mezzi di produzione. A Bucharin, il grande teorico di partito, lo accusò di non aver mai davvero capito la dialettica. Ma soprattutto, come già aveva in realtà fatto in passato, scrisse – seppur con termini più contenuti – di allontanare Stalin dalle cariche statali e di partito, raffigurandolo come un uomo rozzo, autoritario e potenzialmente pericoloso per il fragile equilibrio russo. Insomma Stalin andava arginato.

Lenin negli ultimi tempi aveva anche ammesso certi suoi errori, compresa la sua concezione del partito come un avanguardia di rivoluzionari di professione esterna alle masse, quasi un élite, di pianificatori della rivoluzione che dovevano guidare la massa verso la presa del potere, senza alcuna mediazione degli intellettuali. Infatti, prima del 1905, credeva addirittura che il popolo potesse al massimo formare sindacati, scioperi ma mai una profonda coscienza di classe e spirito rivoluzionario. Finì per ricredersi del tutto. Fu questa concezione del partito (che Marx aveva tanto criticato), insita nel partito bolscevico, a dargli quell’impostazione dirigista che lo portò a fondersi con lo stato in un apparato statale gerarchico, centralista e sempre meno vicino alla massa rivoluzionaria.

A questo punto la NEP proseguiva in direzione capitalismo, non in direzione socialismo. E a cercare di domare e porre limiti a questo processo fu Trockij che tornava nuovamente a proporre il Piano, la pianificazione economica dall’alto. Bucharin gli si oppose e lo schierarsi con Bucharin da parte di Stalin fu solo una facciata. Appena espulso Trockij il Piano, con la P maiuscola, fu adottato nel 1928. Stalin divenne il pianificatore numero uno per eccellenza. In questo si nota la forte somiglianza tra l’idea stalinista di economia e quella trockista, praticamente uguali.

Differivano, i due, su posizioni più ‘sociali’ dove Trockij era decisamente più progressista e libertario di Stalin. Oltre che più coerente e sinceramente interessato alla costruzione del socialismo, a differenza di Stalin. C’è anche da dire che nel famoso dibattito tra Stalin e Trockij, a proposito della rivoluzione mondiale e del socialismo confinato in un solo paese, non posso non schierarmi in toto dalla parte di Lev Trockij e della necessità di aiutare una rivoluzione su scala internazionale. Non esportata ma prodotta in seno a ciascun popolo, popoli e rivoluzioni che si sostengano tra di loro Trockij non solo fu espulso, confinato e poi esiliato (e poi assassinato) ma nel frattempo gli avevano anche ucciso i figli che avevano, appunto, la colpa d’essere proprio figli suoi.

Con Stalin definitivamente al potere in URSS il concetto stesso di socialismo si era ridotto al concetto di Piano, ovviamente statale. Nel ‘29, con la grande crisi, tutto il mondo fu un profluvio di piani, dal New Deal al fascismo italiano, nato proprio come reazione violenta e autoritaria della borghesia italiana alla paura del bolscevismo russo e in generale del socialismo, reazione che trasse forza e consenso da nazionalisti e dai tanti delusi dalla prima guerra mondiale. Fascismo che fino al ‘29, in economia, aveva condotto una politica tipicamente liberista.

Stalin diede il via nel 1928 al suo Primo Piano Quinquennale. Era finita la NEP. Nuovi decreti stabilivano che il piano quinquennale fosse portato a termine in soli 4 anni, che si potevano licenziare i lavoratori anche per un solo giorno d’assenza non giustificata, che la disoccupazione era abolita e quindi il sussidio di disoccupazione abolito, che un lavoratore licenziato venga privato della carta annonaria che gli permetteva l’alloggio nelle case appartenenti alla fabbrica. Pianificatori e burocrati da un lato e lavoratori dall’altro erano ora con posizioni opposte. I politici e burocrati dell’Unione Sovietica seguivano le parola d’ordine dell’economia politica classica – di Smith, Ricardo e altri liberali – che a detta di Marx era:

Accumulate, accumulate. Questa è la Legge, questo dicono i profeti! … Accumulazione per l’accumulazione, produzione per la produzione, in questa formula l’economia classica ha espresso la missione storica del periodo dei borghesi. Non si è interrogata nemmeno per un istante sul dolore che accompagna la nascita della ricchezza.

Karl Marx, Il Capitale, I, Trasformazione del plusvalore in capitale

Il 5 dicembre 1929 il comitato centrale del partito comunista dell’unione approvava un sistema di tassazione basato sul principio di una sola tassa sui profitti. Tassa sui profitti composta da due parti: 1) una tassa sui profitti che comprendeva dal 9 al 12 per cento del bilancio dello stato; e 2) una tassa di rotazione, che comprendeva dal 60 al 80 per cento del bilancio.

La tassa di rotazione si basa su un sistema di applicazione ingiusto. È lievissima sull’industria pesante e gravosa sul pane e sui prodotti agricoli. A differenza della normale tassa sull’entrata, che è una percentuale fissa sul prezzo della merce, la tassa di rotazione è una percentuale fissa sul valore lordo di vendita, compreso l’ammontare della tassa. In parole povere significa che mentre una tassa sull’entrata del 90 per cento fa crescere il prezzo della merce del 90 per cento, una tassa di rotazione del 90 per cento fa aumentare di 10 volte il prezzo di vendita.

Raja Dunaevskaja, Marxismo e Libertà, 1958

Stalin lanciava nuovi slogan, da “il piano quinquennale in quattro anni”, a “porre fine alla spersonalizzazione” che in sostanza significava smetterla “con la sciocchezza dell’egalitarismo”, “miglior salario per miglior lavoro”. Cioè pagare meno i lavori “peggiori” e di più i lavori “migliori”. Ordinò anche la creazione di una nuova “intelligencija tecnica e industriale”, che servisse lo stato nel far applicare i piani economici decisi dall’alto.

Christian G. Rakovskij, capo dell’opposizione di sinistra, scriveva così:

Una classe dominante nuova, diversa dal proletariato, si sta cristallizzando davanti ai nostri occhi. La forza motrice di questa nuova classe è una singolare forma di proprietà privata: il potere statale.

Bollettino dell’Opposizione (solo in russo)

Il capitalismo di stato russo (riconosciuto come tale da Lenin e ritenuto da egli stesso da superare, per quanto non ci fosse riuscito) veniva presentato ora come socialismo, non si pensava assolutamente di abbatterlo, il socialismo ora era proprio la statalizzazione e la pianificazione economica.

Con Stalin fu reintrodotta la pena di morte anche per minorenni dai dodici anni in su (per chi ancora avesse la strana idea che Stalin fosse comunista o marxista voglio ricordare come Karl Marx sia sempre stato, fin da giovane, uno strenuo oppositore della pena capitale alla quale era assolutamente contrario). Vennero allestiti i famosi Gulag, campi di prigionia e di lavoro forzato che in realtà esistevano già dal 1918 anche se con forme molto più moderate e meno violente. C’erano campi per i traditori, per i disertori, per i figli dei traditori, per le mogli dei traditori ecc. Fu creato il commissariato agli affari interni (NKVD) che aveva il potere di gestire “tutte le istituzioni correttive (prigioni, luoghi di isolamento, colonie di correzione)”. Ed esso non era altro che un appendice del partito sempre più tutt’uno con lo stato. Con l’inizio del II piano quinquennale vi fu anche la prima purga del partito ordinata da Stalin, atta ad eliminare ogni residuo bolscevico, ogni personaggio che aveva fatto la rivoluzione nel ‘17 e che non si fosse corrotto con lo stalinismo. La purga durò non meno di due anni, e nel mentre i sindacati furono completamente aboliti, tanti vecchi membri del partito furono incarcerati, molti impiccati dopo un processo, tra gli uccisi Bucharin, Zinov’ev, Kamenev, Rykov ed altri.

Naque il fenomeno degli Stachanovisti. Lavoratori che, lavorando solo per un giorno, raggiungevano alti record di produzione per poi essere ben pagati e messi a riposo, e intanto il loro record veniva passato come un miracolo e doveva diventare la nuova norma giornaliera per tutti i lavoratori. In questo modo lo stato, sempre più gerarchico, potente, autoritario e militarizzato, poteva sfruttare sempre di più i suoi lavoratori ed aumentare la produzione.

Negli anni 30 venne fuori un ‘nuovo tipo di uomo sovietico’, l’amministratore-funzionario, servo dello stato, del partito unico e della burocrazia, l’intelligencija tecnica desiderata da Stalin, la nuova classe di cui parlava Christian Rakovskij. Uomini, servi del padrone statale, che servono a far applicare il Piano e che in questo modo si arricchiscono. Individui tanto lontani dagli uomini e dalle donne che condussero la rivoluzione quanto Napoleone era lontano dai sanculotti.

Nel 1939 tra direttori, economisti, dirigenti, ispettori, ingegneri, amministratori e personale tecnico, risulta – dati tratti dalle statistiche ufficiali sovietiche dell’Amministrazione dell’Economia Nazionale – che circa 16,7 milioni, cioè meno del 10 per cento della popolazione totale russa, vengono considerati “intelligencija tecnica”, mentre quelli che realmente governano l’economia sovietica costituiscono solo il 2,5 per cento dell’intera popolazione. Quindi il 2 per cento dirigeva l’economia con un 10 per cento che lo serviva per arricchirsi.

Questo si che è socialismo! Altro che soviet o popolo al potere.

Tant’è vero che Stalin aveva già dichiarato nella sua costituzione del 1936, di aver realizzato pienamente il comunismo. In più la nuova costituzione rafforzava lo stato, che a differenza che nel 1918, non andava più superato o abolito in alcun modo, e stabiliva il sistema dei cottimi come sistema prevalente. Pensare che Marx indicava il sistema del cottimo come il più adatto al capitalismo. Le purghe eliminarono ogni oppositore. Ma la violenza si riverso anche contro i lavoratori che si ribellavano e lo testimoniano le fosse comuni scoperte dopo la guerra. Milioni di uomini finirono nei campi di concentramento e di lavoro forzato. Numeri che la propaganda liberale ha ingrossato moltissimo, ma che non per questo sono numeri piccoli, anzi. Per quanto riguarda i salari basta vedere che se poniamo il salario mensile del 1913 come 100 per cento, avremo nel 1928 salari al 125 per cento mentre avremo nel 1940 salari 62,4 per cento. Quest’ultima cifra terribilmente bassa testimonia il peggioramento del tenore di vita dei lavoratori russi nel periodo staliniano.

Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, Stalin vide la possibilità di crearsi un posto al sole in Europa occidentale e così spedì l’Armata Rossa in Spagna. Il problema fu che i sovietici presero alleanze con le forze repubblicane e col PCE, che era apertamente filo-sovietico ed in larga parte stalinista, mentre non risparmiarono pallottole e cannonate ai comunisti (quelli sì comunisti!) del POUM e agli anarchici della CNT-FAI. Svariate volte attaccarono e massacrarono queste brigate di marxisti libertari e anarchici, e fu un fattore determinante per la vittoria del fascismo di Francisco Franco in Spagna.

Lo stesso Stalin che si definiva materialista dialettico e marxista era quello che annunciava dal Cremlino di aver sognato la madonna che gli assicurava che l’URSS avrebbe vinto la seconda guerra mondiale. L’Unione Sovietica continuava a dirsi e mostrarsi come una concreta alternativa al capitalismo, come portatrice del comunismo e del marxismo, come se quel capitalismo di stato, dittatoriale e militarizzato, fosse il socialismo o anche solo qualcosa di simile. E così continuano a narrarcelo, quello là è e fu il comunismo sui libri di storia, una delle tante menzogne storiche. Ci raccontano che quello è il comunismo per farci credere che le alternative al capitalismo vanno a finire sempre male, ma noi sappiamo che non vi fu nessuna alternativa al capitalismo. La controrivoluzione in Unione Sovietica si era totalmente compiuta, costruita da opportunisti burocrati e statali sugli errori di Lenin e dei suoi compagni. Stalin ha distrutto ogni possibilità che la Russia raggiungesse il socialismo, possibilità ancora esistente con Lenin. L’URSS rimase fino alla sua lenta morte un capitalismo di stato, per quanto abbia avuto sfumature diverse da quella staliniana, migliori di essa solo di facciata, mai concretamente.

— Compagno Grimm

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *