Lenin vive! Ciò che è vivo della Rivoluzione

LENIN IL RIVOLUZIONARIO

Abbiamo già ripassato questo delicato argomento, ogni anno in effetti. Ma è un dovere importante ricordare ciò che invece i media neo-liberali distorcono, deformano, insidiando nefandezze dove non sono mai esistite, spargendo voci, non fatti. Bisogna ricordare e tenere vivo il ricordo di Lenin, nella sua impresa più grande, non necessariamente per ciò che ha fatto, ma per il significato che ha portato.

Vladimir Il’ič Ul’janov, più conosciuto come Lenin, nasce a Simbirsk il 22 (il 10, secondo il calendario giuliano) aprile 1870, da una famiglia di ceto medio. Brillante studente, a scrivere il suo giudizio comportamentale fu Fëdor Kerenskij, padre  del suo futuro avversario politico. Definito un ragazzo molto chiuso ma brillante, ha conferito i massimi voti. Vladimir in  seguito si laurea in legge. Lenin viene ricordato per la sua più grande impresa, che di certo non fece da solo: la Rivoluzione Russa.

Ma non è affatto banale affermare che Ul’janov è attuale oggi più che mai. Invece di cercare di salvare in vano l’immagine mutilata e sfregiata dei “comunismi novecenteschi”, come alcuni cercano di fare, o nel tentativo di riabilitare Stalin, bisogna ripartire dal principio, in una situazione dove la sinistra europea odierna affronta un passaggio disastroso, che sta annientando ogni posizione progressista e di “sinistra”, smantellando sotto l’opinione pubblica i movimenti che non sono riusciti a fare il popolo la loro missione. Un processo che ci obbliga a ripensare le nostre strategie, posizioni e modo di porsi, di reinventare i principi chiave del progetto.

Ma non fu proprio questa l’esperienza a dare vita a Lenin? Al processo desinato alla ricreazione dei rivoluzionari, assopiti dai socialdemocratici? Egli vedeva la situazione critica, basti ricordare lo shock di Lenin nel 1914 nel leggere che tutti i partiti socialdemocratici (a eccezion fatta dei bolscevichi e i socialdemocratici serbi) di optare per una deriva nazionalista. In quel momento di disperazione e situazione europea tragica, nacque Lenin, la possibilità rivoluzionaria. La sinistra di oggi è di fatto molto simile come situazione a quella che diede vita al processo che portò alla rivoluzione.

Questo, per dirlo alla Slavoj Žižek:«Ripetere Lenin significa accettare che “Lenin è morto”, la sua soluzione è fallita, persino in maniera atroce. Ripetere Lenin significa che occorre distinguere tra ciò che Lenin ha effettivamente fatto e il campo di possibilità che ha aperto, riconoscere la tensione tra le due azioni e un’altra dimensione, ciò che “in Lenin era più dello stesso Lenin”. Ripetere Lenin vuol dire ripetere non ciò che ha fatto, bensì ciò che non è riuscito a fare, le sue occasioni mancate» con queste bellissime parole è chiaro il significato ultimo che il filosofo vuole intendere. Oggi più che mai, abbiamo bisogno di un Lenin nuovo. Un Lenin che non faccia gli errori del vecchio.

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RUSSIA 1917

INSURREZIONE

È di dovere ripercorrere brevemente ciò che accadde in quell’anno che per gli storici definì un secolo intero. Nel 1917 le condizioni dell’impero russo erano orrende, a causa della prima guerra mondiale e di un sovrano cieco: ore di coda per un pezzo di pane, la guerra che stremava i soldati e le loro famiglie, lasciate senza forza lavoro. Lo Zar Nikolaj II era caduto in melanconia e sembrava agli occhi della nobiltà come un autocrate svuotato. La Zarina aveva preso in mano la situazione, e licenziava, quando possibile, le persone che insinuavano la cagionevole salute dello Zar. Il 23 febbraio in un centro industriale vicino a Pietrogrado, Vyborg, le donne operaie in una industria tessile fecero uno sciopero indetto dagli anarchici (curioso come i bolscevichi si proclamarono contrari). Costituirono un corteo per le strade e chiamarono a gran voce gli operai di altre fabbriche, quelli della famosa Putilov furono tra i primi ad unirsi, riversandosi sulla prospettiva Nevskij.

Il governo del principe Gochilyn non si preoccupò molto, gli scioperi si erano susseguiti per tutto l’inverno. Il generale Chabalov era l’unico che si preoccupò, vedendo le file di manifestanti ingrossarsi. Dispose i suoi uomini nel viale Litejnij, convinto che sarebbe bastato per disperderli. I manifestanti non erano intimoriti e per quanti le le sciabole dei cavalleggeri falciavano, centinaia scavalcavano i corpi come un onda che poi si infranse contro i gendarmi, in quel putiferio incontrarono i militari ammutinati (i reggimenti Lituania e Volinia furono i primi a prendere i panni da rivoltosi). Il 27 febbraio per i borghesi che si azzardavano a uscire di casa era facile capire che la situazione era cambiata, drasticamente e non tanto favorevole, per loro. Lo stesso giorno gli ammutinati diedero fuoco al palazzo di giustizia, dall’altro lato del viale Litejnij. Un ufficiale, Georgij Astachov, diresse gli ammutinati verso il palazzo Tauride, sede della Duma di stato.

GOVERNO PROVVISORIO

Crearono un comitato provvisorio con i deputati. Il dovere del comitato era di ristabilire un dialogo tra rivoltosi e istituzioni pubbliche. Presiedeva Rodzjanko. Vi erano presenti Miljukov, leader dei Cadetti, Čkheidze e Kerenskij. Purtroppo per la Duma un secondo potere popolare stava per sorgere, un comitato parallelo prese sede nell’ala sinistra del palazzo Tauride (la destra occupata dalla Duma): il Soviet prima degli operai, in seguito dei soldati e operai, concorreva con la Duma per il potere. Praticamente tutti i reggimenti di Pietrogrado aderirono alla rivolta: reggimenti Volinia, Lituania, Finlandia, Pavlovski, Semenovskij, Izmajlovski, cosacchi, autoblinde, granatieri, genieri, cacciatori. Era chiaro che abbattuto il governo zarista, ne spuntarono due nuovi, non disposti a cedere autorità.

Il Soviet ordinò l’arresto dei ministri. Un avvocato di nome Kerenskij ne diventò presto il vicepresidente del Soviet e nuovo Ministro della Giustizia. Intanto Lenin ritornò dalla Svizzera con Zinov’ev tramite il famoso treno blindato passante per la Germania. Il 30 marzo per le vie della capitale sfila un corteo di un milione di uomini e donne. Sono le esequie delle vittime cadute per la rivoluzione. Migliaia di voci cantarono la marsigliese, le commemorazioni sono durate quindici ore.

Arrivò pure Trockij (il 4 maggio) a Pietrogrado, arrivato in ritardo per via della reclusione in un campo di concentramento inglese a Amherst, vicino Halifax. I ruoli erano già spartiti, Kerenskij a capo di un governo provvisorio, i bolscevichi con il loro “vecchio”, il partito cadetto e i Menscevichi avevano tutti preso una fetta di torta, allora si iscrisse al partito socialdemocratico bolscevico russo. Trockij, per via di conflitti sia coi menscevichi che coi bolscevichi (gli avevano rubato il titolo del suo giornale, Pravda), chiamato Penna (Pero, in russo) dagli amici, ogni giorno si apprestava a fare discorsi nelle piazza Kronštadt o al Circo moderno, infiammando la folla, sfruttando il suo eccezionale talento da oratore.

Un altro attore di questa tragedia fu Iosif Vissarionovič Dzugasvili, detto acciaio, Stalin, al tempo era a capo di una redazione della Pravda. Lenin vide coi suoi occhi che il partito lo stava isolando, il suo programma prevedeva il saltare la democrazia borghese per arrivare direttamente alla dittatura del proletariato. Al Soviet, oltre ai riveli politici, il suo discorso fu attaccato da il fedele Kamenev, il vecchio Plechanov, Steklov, Sljapnikov. Insomma, Lenin contro tutti. Dal giudizio popolare, invece, riscosse buon successo. Lenin allora ritornò l’uomo forte del suo partito, l’uomo che guidò negli anni di esilio i bolscevichi. Allo stesso tempo il leader dei cadetti Miljukov spediva una lettera a rassicurare l’estero che il popolo russo è unanime a continuare fino in fondo la guerra. Il destino volle, che quella lettera fu resa pubblica. Ci furono insurrezioni e proteste praticamente ovunque, la Pravda scagliò frasi fiammeggianti contro il governo provvisorio, operai contadini e soldati protestarono per giornate  per la sua caduta, ma piccolo borghesi e studenti, che nel governo provvisorio vedevano la protezione della democrazia, si riunirono a fine giornata con cartelli sui quali fu scritto: “Viva il governo provvisorio”.

I FATTI PRECIPITANO

Il trenta aprile il ministro della guerra Guckov dava le dimissioni. Il due maggio Miljukov fu esonerato; si rifiutava di andarsene, una scena molto penosa. In giugno il generale Kornilov venne promosso Generalissimo, Kerenskij danzava sui suoi intrighi politici. Kornilov prepara con abili mosse politiche (è molto ben visto dalla destra) un “colpo di stato” provando  di prendersi gioco di Kerenskij, ma gli sfugge, egli lo dimette a generale. Il 3 luglio i soldati di stanza a Pietrogrado, presero coscienza della tremenda situazione al fronte, con il supporto degli operai dei grandi centri industriali si presentarono alla sede del partito di Lenin, chiedendo la caduta del governo provvisorio. Nonostante il scetticismo, diedero vita ad un focolare che presto fu spento dalle autorità. Ottocento bolscevichi furono arrestati, compresi Kamenev e Lunačarskij altri, invece riuscirono a fuggire come Zinov’ev e la Krupskaja. Lenin si nascose in una capanna di rami poi fugge spacciandosi come addetto al carbone per la Finlandia. Il 9 settembre il comitato esecutivo del soviet era costretto a dimettersi. Il 23 settembre Lev Trockij divenne presidente del Soviet. Lenin torna di nascosto. Il 6 ottobre si forma la commissione che in futuro si chiamerà Politburo, Lenin, Zinov’ev, Kamenev, Trockij, Stalin, Sokol’nikov e Bubnov. Zinov’ev e Kamenev erano contrari al progetto d’insurrezione, così avversi che il 17 ottobre rivelarono al giornale Novaja Žizn i preparativi rivoluzionari. Il 18 ottobre tutte le unità militari di Pietrogrado ricevettero un telegramma il quale ordinava di non ubbidire alle direttive dello stato maggiore. Il 21 ottobre tutti i comitati delle unità si riunirono, confermando la adesione alla insurrezione (oltre a riconoscere come ente direttivo il comitato militare rivoluzionario) e la presenza al secondo congresso dei Soviet, che si sarebbe tenuto il 25 ottobre. Nella notte tra il 23 e il 24 il governo decise di assegnare agli Junkers a proteggere il palazzo d’inverno. Il 25 la macchina si mise in moto. Soldati, marinai e operai ovunque. Ad alcuni reggimenti fu incaricato di occupare sedi, tipografie avversarie. Tutto ciò che funzionava nelle strade era in mano bolscevica, e dipendeva da loro, mentre altre truppe si dirigevano al palazzo d’inverno. Alle 14.30 Trockij, di stanza allo Smol’nij, dichiara che il governo non esiste più. In realtà esiste, solo che il suo potere era confinato in un palazzo, con solo un manipolo di uomini a seguirne gli ordini. Bolscevichi fecero il loro colpo di stato il 6 novembre/28 ottobre 1917. Non fu sparato un colpo. Assaltarono con i volontari della Guardia Rossa il palazzo dei ministri. Un gruppo di marinai ammutinati spararono a salve con una cannoniera (l’Aurora) ormeggiata sulla Neva. Nella sala di riunione dei ministri la porta si aprì violentemente. Entrò Antonov, come una massa di soldati che lo seguirono, i ministri tennero la testa bassa, seduti attorno alla grande tavola. Vi era un’aria di rassegnazione. Konovalov disse: “Il governo provvisorio è qui. Che volete?”

“Informare i ministri che sono sotto arresto.”

“I ministri del governo provvisorio si arrendono davanti all’uso della forza per evitare spargimento di sangue.”

All’alba del 26 ottobre 1917, ore 2.10, il governo provvisorio non esisteva più.

Ленин- жил, Ленин- жив, Ленин- будет жить! Vladimir V. Majakovskij

Lenin è vissuto, Lenin vive, Lenin vivrà!

— Compagno Efesto

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