L’INDIFFERENZA COME MANTRA E CONDANNA MODERNA

Assistiamo da sempre, spesso con forme variopinte e variegate, a una dinamica costante di indifferenza/remissività delle masse nei confronti della storia, dei suoi avvenimenti, anche verso i fenomeni più barbari e pieni di crudeltà: ma in particolare non riusciamo forse a renderci conto, a capacitarci, del fatto che ad operare le stragi nazifasciste, a indirizzare nei campi milioni di persone, a dare precisi ordini esecutivi di sterminio, a premere il grilletto e azionare le camere non furono solamente gerarchi ed uomini di potere: bensì anche (e soprattutto) uomini semplici, lavoratori, braccianti, fabbri, artigiani, meccanici, calzolai, idraulici, autisti, e quanto più di comune ci possa essere nell’articolazione e nella classificazione dei mestieri (da un punto di vista strettamente quantitativo e qualitativamente ordinario); in altre parole, uomini e gente del popolo.

Questa nostra incapacità per certi versi “inevitabile”, troppo poco combattuta e veramente dominata, di guardare in faccia il “mostro” che abbiamo dentro di noi, di renderci veramente consapevoli della forte irrazionalità che, anche a livello strutturale, ci direziona e domina individualmente/socialmente, non è che a primo acchito il riflesso contrario (e forse dovremmo dire proprio la causa) per la quale, spesso e volentieri ci accontentiamo dei dettami e delle parole d’ordine che ci passa l’autorità, quasi come fossero una formula magica praticata ed ereditata, fatto che si risolve e si delinea poi in un quadro generale di indifferenza profonda, di inermità e di “isterilimento” anche generale dei nostri pensieri in quanto massa. “Non è stato Hitler, non è stato Himmler a deportarmi, sono stati tutti gli uomini, le “folle” che credevano e si rifacevano al sentimento religioso della Razza superiore” per parafrasare concettualmente Karel Stojka, un sopravvissuto ad Auschwitz.

Non è stato Hitler, non è stato Himmler a deportarmi, sono stati tutti gli uomini, le “folle” che credevano e si rifacevano al sentimento religioso della razza superiore

Non ci chiediamo quasi mai effettivamente (in luce a tutto ciò) e con piena onestà intellettuale come sia stato possibile, come sia stato anche solo auspicabile, che le masse abbiano quasi acriticamente accettato il volere di uno dei regimi più criminali, orripilanti e crudeli di tutta la storia dell’umanità, laddove non sia subentrata l’autorità repressiva (ma, come insegna Gramsci, il potere politico si risolve in una dimensione egemonica di dominio e direzione, e senza quest’ultima non è realmente possibile il formarsi di un blocco sociale e poi storico) ad imporlo con la forza meramente bruta. L’indifferenza anche in questo caso ha regnato sovrana, incontrastata, ha gelato ogni possibile contro-mossa in seno alla costituzione delle masse, ha svolto il suo ruolo ed ha permesso la diffusione di un’opinione (credenza poi e successivamente tramutata in fede) che ha permesso a sua volta e in concomitanza l’instaurarsi del potere tirannico del Nazismo, potere che ha inesorabilmente perpetuato la remissività di tutte le folle, trasformandole tutt’al più e maggiormente in semplici “automi”, neanche poi pienamente dediti alla causa: semplicemente, oltre agli orrori consci e inconsci attuati, ha esaltato quella loro qualità peculiare ancora così poco valutata e presa in considerazione, ovvero l’impassibilità, l’apatia e indifferenza totali: attori, figure e uomini che hanno perso ogni protagonismo e ogni volontà, lasciandosi guidare dalle credulità, dalle “allucinazioni” che tale fede ha prodotto del reale, dall’autorità e intolleranza che essa ha imposto verso tutte le forme di libera associazione e discussione, verso ampie categorie di popolazione e verso il libero sviluppo delle individualità. Tale è la condizione nella quale è potuto germogliare il Nazismo, tale è il clima nel quale possono e sono potute maturare ideologie reazionarie che rasentano a più riprese quei sentimenti: quella combinatoria nefasta di una noia depressiva, di cui si fa portatrice l’indifferenza alienante a più livelli, e impulsi frutto di “anatomia distruttiva” connessi a quell’alta propensione alla distruttività umana di chi non si sente più capace o in grado di creare, di chi vive costantemente nel rapporto di ostilità maligna (e non solo reattiva) nei confronti del reale e del mondo. Tutte queste tendenze erano presenti nella società di allora e, malgrado le varie mistificazioni, anche nella società attuale, nella quale possiamo scorgerne continuamente i sintomi e gli effetti.

Tutto ciò non deve servire per ad accettare e ribadire in misura arrendevole (e in maniera riduzionista) una sorta di innumerevoli “costrutti, assunti” indelebili, diversi e ineluttabili delle masse, come la loro implicita “crudeltà” bisognosa di sfogo, la loro tendenza smisurata all’irrazionale, la loro assenza di “moralità”, che simulerebbe una sorta di figura prestigiosa di pastore in grado di guidare il gregge verso un determinato obiettivo e di imprimergli per statuto una particolare organizzazione-“anima” collettiva che sia portatrice di un sentimento(odio in questo caso, distruzione totale dell’umanità). Le masse e gli uomini sono più complessi di così, e di certo possono e devono essere guidate/i alla consapevolezza e alla comprensione(oltre che a una specifica coscienza) di taluni errori e talune concezioni, idee e giudizi profondamente sbagliati; ma per fare ciò, per riuscire nell’impresa, occorre senz’altro riconoscere un problema fondamentale, che ci attanaglia da sempre e continua a dominare essenzialmente anche l’opinione pubblica: l’indifferenza. Essa è un mantra, introiettato e ripetuto che bisogna contrastare, che bisogna fermare per far sì che simili tragedie, disgrazie fenomeniche e men che mai contingentate, come la Shoah, non accadano mai più. Abbiamo diverse armi a nostra disposizione, noi tutti come comunità siamo dotati di diversi strumenti ed uno di questi è certamente il ricordo: Il ricordo storico, le testimonianze dirette di chi ha dovuto vivere quelle vite, vivere quelle storie, subire quelle sciagurate dosi immani di follia. Il ricordo può trasmettere, con il giusto impatto e soprattutto se intriso di relazioni interpersonali, quella necessaria presa di coscienza che può portarci prontamente a dire di no, a prendere una posizione chiara e netta su certe tematiche, a rifiutare senza se e senza ma concezioni del mondo, pensieri, pratiche e ideologie come quella nazista insieme a tutta la galassia di asserzioni/proposizioni e discorsi che fanno affidamento o sono affini ad essa o a cui essa comporta; aver compreso l’importanza del ricordo ci aiuta dunque a combattere l’indifferenza, ci consente di “prendere le distanze” da essa, di non aver paura di schierarci contro la barbarie, “odio gli indifferenti, sono partigiano” direbbe Antonio, “odio gli indifferenti, sono consapevole” aggiungo e dico io: consapevole di come l’indifferenza sia anch’essa una parte, la parte peggiore. In conclusione, vi lascio, la massima discorsiva, la citazione di Liliana Segre, la sintesi di tutto il mio discorso che meglio può far capire, più di altre mille parole, teorie o illazioni, il succo della discussione e il riepilogo di tutti i concetti: “L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa, è l’ apatia morale(e non solo)di chi si volta dall’altra parte: Succede anche oggi verso il razzismo ed altri orrori nel mondo, la memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza”.
Memoria che, tutti dovrebbero accettare e conoscere, di cui dovremmo farci portatori unanimi, quella memoria che ci porta a non dimenticare, a scegliere sul piano odierno una parte, la parte critica, giusta, razionale e umana.

Compagno Marco

Appendice


In appendice a questa disamina del compagno Marco, vorrei vivificare il senso del ricordo, analizzando prima di tutto alcune lezioni per il presente che possiamo trarre da questa – durissima – sconfitta del passato:

  • Ciò che la disorganizzazione del proletariato, lì reduce della sconfitta dei moti del ’18-’19 – in cui è da ricordare il tradimento socialdemocratico – e dalla controrivoluzione staliniana in URSS, riesce a portare: ad una vittoria della reazione su tutta la linea.
  • Senza una testa politica, il grosso corpo del proletariato è suscettibile di sviamento ideologico e della decapitazione definitiva delle organizzazioni dei lavoratori da parte di un imperialismo aggressivo che deve eliminare ogni resistenza interna per dedicarsi completamente alla sua politica estera, in quella situazione di creazione di sbocco per i capitali tedeschi e per appropriarsi in modo relativamente economico di risorse, posizioni strategiche e fattore demografico.
  • In quella situazione, il proletariato si è fatto ingannare dalla propaganda, e comunque le energie d’opposizione non avevano alcuna organizzazione con la quale mantenere almeno qualche canale di controinformazione. Qui sta il senso del passaggio di Lenin nel “Che fare ?”: <<Ogni questione “si aggira in un circolo vizioso” perché tutta la vita politica è una catena senza fine composta di un numero infinito di anelli. Tutta l’arte dell’uomo politico consiste precisamente nel trovare e nell’afferrare saldissimamente l’anello che più difficilmente può essergli strappato, che è il più importante in quel dato momento e che meglio gli garantisce il possesso di tutta la catena>>. L’anello più prezioso del proletariato è quello organizzativo, che garantisce continuità e costanza all’azione pratica, all’elaborazione teorica e all’analisi, che sfata ogni narrazione ideologica borghese che la stessa ci ficca in gola con la scuola, i media, le tradizioni. Il ritardo del radicamento di un partito realmente comunista in Germania, scontato con la dissoluzione dei suoi primi germi con la sconfitta dello Spartakusbund a causa della tardiva rottura con il partito opportunista di Kautsky, l’SPD, è stato un altro fattore che ha lasciato le masse nelle mani della propaganda borghese. Ricordiamoci che

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale.

Karl Marx e Friedrich Engels, L’Ideologia Tedesca

Ciò che deve fare il proletariato è dotarsi, e questo può avvenire esclusivamente attraverso una lotta organizzata, di strumenti di elaborazione, diffusione e organizzazione del proletariato, con la quale portare avanti una politica autonoma dalla borghesia.

  • La borghesia non guarda in faccia a nessuno quando si tratta di fare i suoi affari: userà ogni strumento per sconfiggere il proletariato e perpetrare questa società marcescente, nel cui putridume germogliano guerre, razzismo, sfruttamento e sofferenza evitabile, data la enorme potenza sociale che il modo di produzione capitalistico prepara ma che esso non può che usare, in fin dei conti, distruttivamente. Spie, menzogne, violenza, torture: rompere con l’opportunismo è garanzia a non ripetere “tradimenti” come quello dell’SPD, che con Kurt Eisner prima e con Gustav Noske poi tradì le prospettive rivoluzionarie, sopprimendo con il massacro la repubblica bavarese dei consigli nel 1918-1919 e l’insurrezione operaia nella Ruhr nel 1920; in Italia, con Turati che si faceva proponente della linea del “porgere l’altra guancia” al fascismo, e Matteotti che predicava il “coraggio della viltà” (a riguardo c’è un bell’articolo di Bordiga del 1921). Dichiararsi da sempre internazionalisti e rivoluzionari è l’antidoto per non cadere nel calderone del socialpatriottismo e del riformismo della barbarie.


Cosa fare di queste lezioni ? Applicarle al presente, incessantemente e ovunque sia la nostra classe, dunque portare l’elaborazione e la diffusione ad un livello internazionale e mondiale. È doveroso ma facile denunciare le oscenità cinesi e statunitensi; è altrettanto doveroso ma meno facile fare chiarezza su come l’imperialismo europeo, che ora cerca spazio in questo assetto internazionale sempre più teso intorno all’Ucraina e a Taiwan, si dichiari faro dei diritti e nel frattempo compia tutto questo.
Sicché il ricordo non basta, è necessaria una sferzante critica anche delle ideologie che oggi condannano nostri fratelli di classe al freddo sul confine tra la Bielorussia e la Polonia, all’annegamento o all’assideramento nel mar Mediterraneo e, preventivamente, la loro prigionia in campi di lavoro e concentramento in Libia, Turchia e Marocco. I campi di concentramento esistono anche oggi, e buona parte sono finanziati dall’Europa!

L’ideologia del “sovranismo europeo” è oggi un tema comune nelle scuole, chiunque sia oggi circa ventenne l’avrà vissuto almeno in parte, e indubbiamente appare seducente per il “cittadino” italiano sentirsi un po’ “cittadino” di una più larga, democratica e pacifica Europa. Ma i tempi di guerra sferzano nel mondo, e l’UE non può essere da meno! Ecco un pezzetto del discorso di Macron, presentante il semestre di presidenza francese del Consiglio Europeo:

We need to protect our external borders, including by creating an intergovernmental rapid reaction force [già progettata con il piano Strategic Compass presentato dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell] […]

To face this return of tragedy in history, Europe needs to arm itself; not in mistrust of other powers, no, but to ensure its independence in this world of violence, to not simply be subject to the choices of others: in order to be free. […]

Firstly, to restore control of our territory and borders. […]

During this semester, we will have to ensure considerable progress in many areas, with the adoption of the Strategic Compass that was launched under the German Presidency, with the definition of our own security doctrine, in complementarity with NATO, and with a genuine technological independence, industrial and defence strategy, without which this Europe of Defence is meaningless and not embedded in reality.

Emmanuel Macron, discorso al Parlamento Europeo, 19 Gennaio 2022


Il ricordo non basta, perché la barbarie continua sotto nuove forme, sebbene quella nazista sia stata una tra le più orripilanti di tutte. È necessario che il proletariato lotti per disfarsi delle cause della barbarie che quotidianamente frustra le sue immense potenzialità, del processo lavorativo tecnico combinato di miliardi di uomini raccolti in gigantesche concentrazioni produttive, amministrative e scientifiche, che consentirebbero anche un libero sviluppo delle arti, della filosofia e della scienza, liberate dalle catene del profitto. Finché esisterà la proprietà privata dei mezzi di produzione, esisteranno sfruttamento, guerra e disagio; la società ha già i mezzi per risolvere molti problemi, il punto è lottare perché ciò sia possibile.

Che forma deve, può, assumere questa lotta ? Un lavoro quotidiano di elaborazione, diffusione e organizzazione delle forze che la nostra classe riesce ad esprimere, anche e soprattutto in questo tempo di pandemia che ha scoperchiato per l’ennesima volta le contraddizioni anche in casa nostra e sullo scenario mondiale con la mancata cooperazione internazionale e ora la limitata vaccinazione di tutti i paesi; con il ritorno dell’oscurantismo in Afghanistan, con le tensioni intorno all’Ucraina e a Taiwan, e ovviamente con le quotidiane contraddizioni che la nostra società produce costantemente e, nel suo procedere, contravviene alle sue reali ed effettive potenzialità.

Contro ogni guerra, Rivoluzione!

Proletari di tutti i paesi, unitevi!

– Compagno S

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