Dialoghi possibili tra “musica leggera” e “teoria critica della società”
Introduzione
Il presente scritto propone di osservare ed ascoltare tre tra gli infiniti brani della “musica leggera” attraverso alcuni degli sterminati concetti della tradizione filosofica che si è interessata di musica e, più in generale, d’arte.
Verranno chiamati in causa autori diversissimi tra loro, distanti e apparentemente inconciliabili. Questa scelta verte sulla figura di Luigi Tenco e del gruppo Antony and The Johnsons per quanto riguarda la musica, su Adorno e Marcuse per quanto riguarda la filosofia. Universi culturali del tutto eterogenei che cercheremo di far dialogare anche per mezzo della controversa, stravagante e geniale figura di Frank Zappa, ascoltato nella prospettiva di Stefano Marino (“La Filosofia di Frank Zappa, Un’Interpretazione Adorniana” Mimesis, 2014).
Nello specifico ci avvicineremo a tre coppie di canzoni e concetti, che fungono da parole chiave per la comprensione del testo:
- “Ballata della moda” di Luigi Tenco e il concetto di plugging spiegati da Adorno
- “Cara Maestra” di Luigi Tenco, censura e ironia con Adorno e Zappa
- “Bird Guhl” di Antony and the Johnsons, tentativo di politicizzazione con Marcuse
La Ballata della Moda e Il concetto di Plugging
Il controllo dei mezzi tecnici per la produzione della cultura (cinema, radio) dell’America degli anni ‘40, l’esilio causato dal nazismo, l’appartenenza ad una tradizione colta ed eurocentrica, sono tutti elementi da tener ben presenti quando si parla di Adorno e della popular music.
È ben nota la sua posizione rigida e quasi disprezzante nei confronti della musica popular, sempre di nuovo identica a sé stessa e destinata ad anestetizzare le sue masse di illusi ascoltatori passivi. Adorno è abilissimo nell’individuare e criticare i dispositivi di controllo che agiscono sulle persone, trovandone tracce nel modo in cui la musica viene costruita (standardizzazione della struttura musicale dei brani), diffusa e imposta all’ascoltatore. In quest’ottica è necessario parlare del concetto di plugging e sfruttare le numerose analogie che intercorrono tra funzionamento della musica e funzionamento della società nel pensiero di Adorno, per mantenerne la straordinaria attualità, pur riducendone lo “spettro d’azione”. È lecito affermare, infatti, che esiste della buona musica leggera. Il vastissimo orizzonte della popular music contemporanea ci permette di dire con certezza che non tutto è da buttare. Gli sviluppi tecnici hanno aiutato la stessa musica leggera ad evolversi e l’avvento di Internet (di cui però qui non parleremo) ha cambiato del tutto la trasmissione della cultura, spesso dando voce a chi, nell’epoca di Adorno, sarebbe rimasto sconosciuto, e quindi inascoltato dai molti.
Il plugging, il bombardamento, il martellamento, “la ripetizione senza sosta di qualcosa al fine di imporla” (Santoro 1962), concetto chiave del saggio “Sulla Popular Music” del ‘41, ci presenta l’oppressione dell’industria musicale per quello che è: una macchina che ha il potere di plasmare i desideri delle persone, sfruttandone la psicologia. È per mezzo del plugging che certa musica ci insegue in ogni luogo e in ogni momento delle nostre giornate. Questa ripetizione infernale fa sì che la canzone venga accettata passivamente dall’ascoltatore, addirittura illudendolo di aver scelto secondo il proprio gusto e la propria individualità. Attraverso questa accettazione l’ascoltatore riconosce la musica, come familiare e naturale, e la musica, per così dire, gli restituisce una casa: avviene infatti un riconoscimento per mezzo del quale l’ascoltatore sa di non essere solo, perché quella musica c’è sempre, ed è ovunque. In un contesto del genere, dove la società può controllare il modo in cui le masse percepiscono le cose, è naturale identificarsi con un modello della stessa che fa di qualsiasi cosa un oggetto, che rende tutto e tutti sostituibili, che nega, illudendola, l’individualità. È curioso osservare la corrispondenza tra la struttura della musica popular imposta alle masse e il modo in cui queste funzionano: ogni elemento della canzone, privo di un rapporto con la totalità del brano, è sostituibile da qualsiasi altro dello stesso tipo. Così nella nostra società la maggior parte dei lavoratori non è che una forza utile fin quando non può essere sostituita da un’altra più efficiente.
Nonostante la realtà del plugging e di questa manipolazione, molta musica leggera è in grado di interrompere questo cieco meccanismo. Un artista può infatti “sottrarsi”, sfuggire ai modi in cui la società gli impone di fare arte. Attraverso la struttura e il testo della canzone, il modo di produzione e il modo di diffusione: è qui che si lotta per il diritto alla libertà d’espressione, ed è qui che chiamiamo in causa la figura di Luigi Tenco (personaggio raro, ma comunque scelto in modo arbitrario, come un esempio tra i molti possibili) e la sua “Ballata della Moda”, canzone pubblicata postuma nel 1972. Con l’attenzione ben salda su ciò che abbiamo detto riguardo all’imposizione, al bombardamento continuo che costituisce la strategia del plugging, credo che non ci sia miglior modo di comprendere questa canzone se non ascoltandola nella sua puntigliosa semplicità.
Tenco, attraverso la figura del cameriere Antonio (il protagonista della vicenda narrata nella canzone), proprio come Adorno, individua il meccanismo repressivo che impone alle masse una certa cultura e certi oggetti di moda (in questo caso l’oggetto imposto corrisponde all’“acqua blu”). Antonio, ridente e convinto, “se ne infischia della moda, beve solo quello che gli va” o almeno, crede di poterlo fare. Infatti, nonostante tutte le sue resistenze, egli finisce per intossicarsi di acqua blu, ammalandosi. Questa evocativa scena ribadisce il potere distruttivo del nostro attuale modo di vivere e diffondere cultura: Antonio non può non bere l’acqua blu, perché questa è ovunque ed è molto più accessibile di qualsiasi altra bibita.
Adesso Antonio è all’ospedale “intossicato perché beveva troppo” e viene sostituito dall’amico Pasquale, che non ci mette troppo a capire che a quel tavolo di grandi industriali:
Stan decidendo per la prossima moda
Un pantalone a strisce gialle e nere
Basterà fare una gran pubblicità
Farlo indossare da qualche grande attore
Pasquale tra sé sorride
Ahahah ahahah
E dice: “Me ne infischio della moda
Io porto solo quello che mi va”
Ma io vedo già Pasquale
Ahahah ahahah
Chissà come starà male
Coi pantaloni a strisce gialle e nere
La canzone si conclude lasciando non molte speranze all’ascoltatore: è certo che anche Pasquale, prima o poi, indosserà quei terribili pantaloni a strisce gialle e nere.
A questo punto, intercambiare la musica leggera a cui fa riferimento la critica di adorno, (quindi quella standardizzata, priva di nuovo e di senso) l’acqua blu e i pantaloni a strisce gialle e nere, non sembra un’operazione così difficile. Tutti questi sono, di fatto, oggetti che l’industria produce e impone. È importante riconoscere ciò per ribadire quanto la “buona musica leggera” possa avvicinarsi al pensiero sofisticato di un grande e poliedrico autore come Adorno, conservandolo e superandolo allo stesso tempo.
“Cara Maestra”, Ironia e Censura tra Tenco, Zappa e Adorno
Frank Zappa e Luigi Tenco.
Certo è che non è possibile avviare un dialogo tra questi due personaggi sulla base della struttura della loro musica. L’universo zappiano è infatti contaminato da moltissimi generi diversi e la sua sterminata discografia non può essere univocamente ricondotta a nessun genere in particolare. Tenco e la “scuola genovese”, più in generale, seppero dar vita nuova alla musica italiana, ma sempre all’interno del panorama della “musica leggera”.
In ogni caso, ciò che sembra accomunare questi due artisti così diversi è piuttosto la forza demistificatrice della loro musica:
“Gran parte di quello che facciamo è concepito allo scopo di infastidire la gente al punto da indurla perlomeno a porsi qualche interrogativo sul proprio ambiente, quanto basta per sentirsi spinta a cambiarlo”, così disse Zappa alla BBC nel 1968 [1].
Solo pochi anni prima, nel 1962, usciva “Cara Maestra”, un brano che scuote la realtà a partire dalle sue fondamenta. Scuola, chiesa, istituzioni politiche: Tenco (proprio come Zappa) non riesce a non denunciarne le contraddizioni interne, attraverso la schiettezza del testo e l’ironia della melodia sopra alla quale esso viene cantato. Eccolo per intero:
Cara maestra
Un giorno m’insegnavi
Che a questo mondo noi
Noi siamo tutti uguali
Ma quando entrava in classe il direttore
Tu ci facevi alzare tutti in piedi
E quando entrava in classe il bidello
Ci permettevi di restar seduti
Mio buon curato
Dicevi che la chiesa
È la casa dei poveri
Della povera gente
Però hai rivestito la tua chiesa
Di tende d’oro e marmi colorati
Come può adesso un povero che entra
Sentirsi come fosse a casa sua
Egregio sindaco
Mi hanno detto che un giorno
Tu gridavi alla gente
Vincere o morire Ora vorrei sapere come mai
Vinto non hai, eppure non sei morto
E al posto tuo è morta tanta gente
Che non voleva né vincere né morire
Prova indiretta della forza di questa canzone è la censura che subì. L’intero disco di Tenco venne censurato e il giovane cantante non fu ammesso nei canali Rai per ben due anni!
Anche in questo caso ci è possibile osservare delle analogie con Frank Zappa: è nota, infatti, la lotta del compositore di Baltimora contro la censura (si pensi all’impegno nella battaglia contro il Parents Music Resource Center, PMRC). Per Zappa (e per la costituzione americana) le libertà di pensiero e d’espressione rimangono, al di là di ogni satira, dei diritti inalienabili, e di certo egli non si risparmiò mai quando aveva qualcosa da dire. Da questo punto di vista sono ammirabili la sua coerenza e la sua tenacia
“Questo non è un paese nobile, delicato e sublime (come l’arte che il PMRC avrebbe voluto); questo è un merdaio governato da criminali, e gli artisti che fanno le cose che Bloom (membro della PMRC) trova tanto rozze, volgari e repellenti altro non fanno che commentare tale dato di fatto”.
In fondo è la stessa opera zappiana a suggerirci dei possibili punti di contatto con la vicenda personale di Tenco: si pensi all’album “Joe’s Garage” del 1979.
Questo complesso e variopinto album inizia con la voce del “Central Scrutinizer” una sorta di “Big Brother” orwelliano che annuncia la pericolosità di una forza oscura e terribile: la musica. “Leggi speciali stanno per essere approvate al fine di fermarla”, ecco allora che attraverso la musica di Zappa ci è possibile rileggere la biografia e la carriera di Tenco, tristemente indirizzata dalla censura italiana.
La vera arte non può permettersi di edulcorare, abbellire o accettare il reale. La vera arte deve smascherarlo, smascherarne le contraddizioni ad ogni costo. Questi due rivoluzionari personaggi della musica sembrano trovarsi d’accordo su questo punto e, in definitiva, il loro insegnamento non sembra troppo distante, ancora una volta, da quello di Adorno, per il quale è da condannare tutta la musica priva di senso e di nuovo (Das Neue), che semplicemente riordina il “già dato” e lo combina in forme fruibili senza alcuno sforzo, privando l’ascoltatore dei suoi stessi desideri, ormai oscurati, inibiti, dimenticati, “censurati”, perché diversi da quelli imposti.
Speranza e Trasformazione, Antony and The Johnsons e Marcuse
Inquisire e denunciare, questo fa l’arte capace di “Verità” secondo Marcuse. La dimensione artistica dovrebbe fare dell’“estraniazione” un essenziale principio conoscitivo trasmettendo “verità non comunicabili in altri linguaggi”, contraddicendo l’ordine prestabilito e già dato. Così nel saggio del 1977:
La trascendenza (dell’arte) rispetto alla realtà immediata riduce in frantumi l’oggettività reificata dei rapporti sociali costituiti e schiude una nuova dimensione dell’esperienza, la rinascita della soggettività in rivolta
[2]
Soggettività in rivolta come quella di Anhoni, ex-voce degli Antony and The Johnsons, gruppo il cui nome deriva dall’oscura storia di una morte, quella dell’attivista Marsha P.Johnson (nota drag queen battutasi per i diritti LGBT negli U.S.A. e ritrovata senza vita nel fiume Hudson in circostanze mai chiarite del tutto).
Per il nostro discorso è necessario parlare del concept album “I Am A Bird Now”, pubblicato nel 2005, dove la nostra Anhoni collaborò con personaggi importanti come Boy George e Lou Reed.
Questo album è un esempio di come un’opera d’arte ben riuscita sfidi il cosiddetto “reale”, contraddicendolo, frantumandolo e, soprattutto, come essa sia allo stesso tempo promessa di trasformazione attraverso la creazione fittizia che è “più reale della realtà stessa”, citando nuovamenre “La Dimensione Estetica”.
L’Arte ha il dovere di trascendere la “realtà”, anche politica: l’appartenenza ad una o un’altra classe non può in nessun modo entrare in conflitto con l’opera d’arte in sé. Secondo Marcuse la coscienza collettiva che interessa l’arte è la coscienza del “tutti”. Dove “tutti” è l’unione degli individui “nella consapevolezza di un’universale istanza di liberazione” [3] che prescinda anche dalle istituzioni politiche. In questo senso potremmo dire che il potere politico di un’opera d’arte è in primis etico.
L’etica, questo discorso vecchio quanto il bene e il male, viene cantata. È proprio la musica a poter parlare delle storie nascoste, vicine al “mondo della vita”, di quelle storie che parlano dei nostri comportamenti, le nostre abitudini, la nostra prassi nella vita di tutti i giorni. Gli “Antony and The Johnsons” sanno far parlare storie di lotta, di trasformazione, di liberazione, che provengono dalla materialità della vita cruda, in carne ed ossa. È esemplificativa la stessa copertina del sopracitato album, che dobbiamo al fotografo Peter Hujar. La foto, intitolata “Candy Darling on her deathbed”, ritrae Candy Darling sul letto di morte (una leucemia improvvisa la colse a soli 28 anni) e non può esser spiegata, se non vedendola.
L’intero album parla dell’anima femminile di Candy (nata James Lawrence Slattery), la cui storia ben si intreccia con quella della cantante Anonhi (nata Antony), che urla nel modo più gentile possibile la propria identità che, nonostante il mondo che la nega, resiste: storie del mondo che prendono vita nuova attraverso la musica. Storie contagiose che di certo non potranno cambiare il mondo ma che potranno contribuire “a mutare la coscienza e gli obiettivi di coloro, uomini e donne, che potrebbero cambiarlo” [4].
L’ultima canzone dell’album, “Bird Guhl”, della quale consigliamo l’ascolto, rappresenta il simbolo definitivo di una trasformazione avvenuta, il simbolo dell’anima che ha trovato pace, che si è accettata, ed è solo l’ultimo pezzo di un puzzle che non avrebbe senso se non fosse esattamente ciò che è. (Così come per Adorno, anche per Marcuse un’opera autentica lo è nell’insostituibilità di ognuna delle sue parti.) Comprendere il reale, constatarne il suo “male” non è che una parte del lavoro dell’arte. Per Marcuse (forse più che per Adorno) “l’arte è anche promessa di liberazione” e Anohni ce la canta:
I am a bird girl now
I’ve got my heart
Here in my hands
I’ve got my heart
Here in my hands now
I’ve been searching
For my wings
I’ve been searching
For my wings some time
I’m gonna be born
Into soon the sky
I’m gonna be born
Into soon the sky Cause I’m a bird girl
And the bird girls go to heaven
Gli uomini e le donne vivono nell’arte ciò che il reale non concede loro: l’autonomia dell’arte è il simbolo di una società che non è libera. Questa consapevolezza ci viene consegnata, ancora una volta, dalla musica, e il suo insegnamento è paragonabile, forse complementare, a quello della “Teoria critica della società”.
Conclusione
L’intento sperimentale di questo piccolo scritto è quello di ribadire la potenza dell’arte e della sua pervasività “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Crediamo che un suo dialogo con la filosofia non possa che giovare ad entrambe. Musica e riflessione filosofica possono coesistere e aiutarsi. La musica ha bisogno di non essere soltanto “svago” o “intrattenimento” e il suo carattere di “forma di conoscenza” può attingere alla filosofia per emendarsi. Allo stesso tempo un certo tipo di riflessione filosofica (in questo caso la “teoria critica della società”) può fare un passo verso la musica per allargare i propri orizzonti e diventare accessibile a più persone. L’innegabile e intrinseca forza, prima di tutto estetica, della musica ha bisogno di una ricezione attiva e creativa che gli strumenti della filosofia possono favorire. La musica non può e non deve soltanto ammaliare e rendere passivi perché perderebbe il suo inestimabile valore di forma di conoscenza.
Il nostro intento è stato quello di dimostrare il valore conoscitivo dell’arte attraverso tre piccoli paragrafi pensati arbitrariamente in concomitanza con l’ascolto dei brani di cui abbiamo parlato.
-Pietro Rovini
[1] Intervista riportata in “La Filosofia di Frank Zappa, un’interpretazione adorniana” Stefano Marino, Mimesis, 2014
[2] “La Dimensione estetica” Herbert Marcuse, edizione Mondadori, 1979 pp. 24
[3] Ivi pp. 47
[4] Ivi pp. 48