Revisionismo e Strumentalizzazioni alla luce dei recenti eventi in Europa dell’Est

Compagno CAS

Introduzione

La tendenza a dimenticare o volutamente censurare il ruolo chiave avuto dall’URSS nella lotta al nazifascismo dell’Asse non ha origine al giorno d’oggi, ma già negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, anni in cui nei paesi NATO l’Unione Sovietica torna (e sottolineo “torna”, non “va”) a delinearsi come “il Nemico” dopo la breve ma fruttuosa collaborazione del periodo bellico.
Vari sondaggi dimostrano come in Francia, Paese liberato dagli angloamericani, la risposta più data alla domanda “Chi ha contribuito maggiormente alla sconfitta della Germania nel 1945?” fosse “l’URSS” (57% degli intervistati) proprio nel 1945 per diventare “gli USA” per il 49% degli intervistati nel 1994 e per il 58% degli intervistati nel 2004 (fonte IFOP). Si tratta dunque di un cambio d’opinione avvenuto nel corso di quasi un secolo ed intensificatosi dopo la caduta del Secondo Mondo, frutto sicuramente anche di un certo tipo di propaganda mediatica e scolastica. Insomma, niente di nuovo sul fronte occidentale.

Quello che al giorno d’oggi più mi fa ribrezzo non è la constatazione di questo processo ormai assodato, è la più recente strumentalizzazione che si fa di questo evento e più in generale dell’intero coinvolgimento sovietico nella lotta al regime tedesco e a ciò che rappresentava, specie nel quadro dell’attuale conflitto in Ucraina. Entrambe le parti infatti hanno giovato e tutt’ora giovano dal ripetuto revisionismo storico, a fare le spese del quale è in ogni caso l’URSS, alle azioni della quale però si possono far risalire molte delle cause che hanno portato alla situazione attuale.
Se da un lato l’Ucraina (come tanti dei Paesi ex URSS ed ex Patto di Varsavia) ha trovato dopo il ’91 una nuova identità nazionale nell’anticomunismo e nell’antirussismo che ha portato all’attuale esaltazione ed elezione ad eroi nazionali di figure come Stepan Bandera, dall’altro la Russia di Putin ha accuratamente selezionato gli elementi dell’URSS che erano funzionali alla nuova narrazione di regime, configurandosi come fortemente e chiaramente post e anticomunista ma feticizzando al contempo gli elementi di patriottismo e nazionalismo riscontrabili nel marxismo-leninismo di stampo sovietico per eleggerli a simboli della “nuova Nazione russa” svuotandoli di qualsiasi significato positivo possano mai aver avuto e aprendo il fianco alle numerose critiche che da occidente si possono fare attribuendo ai russi certi crimini sovietici, veri o presunti.

La Retorica Putiniana

Gli eventi della Grande Guerra Patriottica, nome sovietico per la Seconda Guerra Mondiale, vengono così strumentalizzati dalla propaganda russa per giustificare le azioni del moderno regime come risposte ad un “occidente brutto e cattivo” dalle cui mire espansionistiche ci si deve difendere come ci si era difesi un tempo dall’invasione delle forze dell’Asse, in un accostamento vittimista e fallace che si serve del revisionismo storico per dipingere come difensive quelle che sono guerre imperialiste volte ad espandere la russosfera fino a farle raggiungere i suoi “confini naturali” come immaginati dagli ideologi circondanti Putin (es. Aleksandr Dugin), ovvero l’ex Impero Russo degli zar come limite minimo e l’intera Eurasia come aspirazione ultima.
Non a caso l’ossessione che il regime putiniano ha per l’Unione Sovietica si concentra sull’Era Stalin, esaltando la figura di quest’ultimo tanto quanto denigra quella di Lenin. Stalin è visto come un restauratore, come colui che ha corretto gli “errori” di Lenin (tra i quali di recente Putin con l’arma del revisionismo storico ha inserito quello di aver creato l’Ucraina) riportando l’URSS su una posizione russocentrica e ristabilendo una continuità con l’Impero Russo che è oggi cercata dallo stesso Putin.
Non è strano dunque che gli attuali propagandisti russi accostino positivamente Stalin, Nicola II, Pietro il Grande e Ivan il Terribile senza timore di risultare ipocriti, perché sono tutti visti come eroi nazionali russi che hanno lavorato per rendere la Russia grande e darle lo spazio che Dio ha riservato per lei nel mondo. Stalin stesso durante il proprio periodo di governo accostò la propria immagine a “figure forti” della Russia zarista, chiaro esempio ne è il film Ivan il Terribile del 1944, che il Segretario commissionò personalmente al regista Sergei Eisenstein.
Un forte alleato della propaganda russa che contribuisce alla presa che questa ha in primis sulla popolazione rurale e provinciale della Federazione è la Chiesa Ortodossa Russa, il cui patriarca da mesi dipinge la guerra in Ucraina come una Guerra Santa contro “il satanismo occidentale” rappresentato da quelle che lui chiama “deviazioni”, in primis l’omosessualità. Questa alleanza in chiave reazionaria ricalca pienamente quella tra la famiglia reale degli zar e la Chiesa Ortodossa prerivoluzionaria, strumento chiave di controllo delle masse e repressione del dissenso. Gli interessi del Patriarcato di Tutte le Russie e gli interessi degli oligarchi rappresentati da Putin trovano un punto d’incontro nel comune desiderio di espansione politica e soprattutto economica in aree geografiche su cui entrambe le fazioni hanno già una forte presa, corrispondenti soprattutto (ma non solo) a quelle un tempo comprese nell’Impero Russo prima e nell’Unione Sovietica poi.

Antirussismo e Antisovietismo nel vecchio blocco sovietico

Per quanto riguarda l’Ucraina il discorso è simile e al contempo diverso, poiché ogni ex Repubblica Sovietica ha seguito una propria strada autonoma dopo il discioglimento dell’URSS. Il filo rosso che le collega tutte (tranne forse la Bielorussia, che ha seguito un percorso particolare sotto Lukashenko) è un forte anticomunismo che identifica l’essere comunista con l’essere russo, trasformandosi in un antirussismo dilagante. A causa anche del forte russocentrismo dell’URSS post Lenin (presente anche sotto un Segretario Generale di etnia ucraina come Cruschev) nelle altre RSS è montato nel tempo un forte risentimento verso la Russia che è esploso nei primi anni ’90, quando questi Paesi nuovamente indipendenti hanno dovuto costruire quasi da zero un’identità nazionale alternativa a quella sovietica e lo hanno fatto cercando in tutti i modi di distanziarsi da e contrapporsi alla Russia.
In diversi di questi Paesi esistono, sono esistiti o sono stati proposti e poi rigettati dei provvedimenti che rendono illegale mostrare simboli comunisti e soprattutto sovietici e istituiscono un reato chiamato “apologia del totalitarismo comunista”:

  • In Georgia (ex RSS) è proibito mostrare simboli di era sovietica in pubblico e su edifici governativi.
  • Lituania e Lettonia (anche loro ex RSS) hanno reso illegale l’uso (eccezion fatta per questioni di collezionismo, antiquariato e attività educative) di simboli, musiche ed uniformi sovietiche.
  • In Germania è illegale l’uso del logo e della bandiera del disciolto Partito Socialista Unificato di Germania, il partito alla guida della RDT, ma non di falce e martello.
  • In Ungheria (ex membro del Patto di Varsavia) e Moldavia (ex RSS) esistevano delle leggi in merito, che sono poi state dichiarate incostituzionali e abrogate.
  • In Ucraina, infine, dal 2015 in reazione all’aumentare delle tensioni con la Russia è stata promulgata una serie di leggi che rendono illegale mostrare simboli comunisti e nazisti, equiparano il totalitarismo comunista a quello nazista, rendono illegali tutti i partiti comunisti ucraini e ne impediscono una rifondazione, rendono illegale cantare, suonare o riprodurre gli inni nazionali dell’URSS e di tutte le RSS e l’Internazionale.

Guardando a questa lista si nota facilmente una tendenza, quella a prendere le distanze non tanto dal comunismo in sé (i legislatori che hanno provato a prendere questa strada hanno visto ovunque tranne che in Ucraina le loro leggi venire bocciate dalle rispettive Corti Costituzionali) ma dal comunismo di chiara matrice e ispirazione sovietica, perché URSS in Est Europa è sinonimo di repressione, violenza e occupazione militare russa. La scelta del regime putiniano di integrare nella propria retorica gli elementi più nazionalisti e russocentrici della retorica sovietica non ha fatto altro che confermare e rafforzare agli occhi del resto dell’Est Europa questa equazione, trasferendo alla Russia di oggi gli attributi negativi dell’URSS di ieri.

Come già accennato a deviare da questa tendenza è l’Ucraina, che ha optato per una norma di carattere ben più generale bandendo addirittura il canto e la riproduzione di musica sovietica e comunista. Questa decisione, per quanto storicamente coerente, desta a mio avviso una ben maggiore preoccupazione rispetto alle altre, specie alla luce dei recenti avvenimenti. Ad essa infatti si accompagna tutta una serie di scelte politiche molto discutibili da parte delle autorità ucraine, che dal 2014 in poi hanno condotto la propria reazione alle ingerenze russe sul loro suolo facendo ricorso a e scendendo a patti con organizzazioni politiche e paramilitari mosse da un’ideologia molto simile a quella che a parole dichiarano di osteggiare e alla quale hanno legalmente equiparato il comunismo, quella nazista. Per capire il perché è necessario fare un altro breve excursus storico nella recente storia della regione.

L’Ucraina è storicamente stata a lungo una terra di confine, contesa tra altre potenze e disunita. La stessa parola “Ucraina” deriva da un termine dell’antica lingua slava orientale il cui significato è “terra di confine”. Il concetto stesso di Stato ucraino ha un’origine molto recente, essendo emerso dal marasma che erano i territori occidentali dell’ormai defunto Impero Russo nel 1917. In quegli anni numerose fazioni ed entità statali diverse e spesso opposte ideologicamente hanno cercato riconoscimento come unico effettivo Stato ucraino, tra cui le più importanti sono senza dubbio la Repubblica Popolare Ucraina, sotto la protezione della Germania prima e dell’Intesa poi, e la RSS Ucraina, allineata alla neonata RSFS Russa. Saranno i comunisti sovietici ucraini a vincere questo scontro nel 1921 e a co-fondare l’URSS. I nazionalisti sconfitti fuggono dunque a Vienna considerandosi governo in esilio come Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN).

Vent’anni dopo, nel 1941, l’OUN si accorda con Hitler per poter rifondare nei territori ucraini occupati dall’esercito tedesco un’Ucraina alternativa a quella sovietica, allineata politicamente, militarmente e ideologicamente alla Germania nazista, ma questo esperimento dura un solo mese per decisione dello stesso Hitler, che scioglie il neonato governo e ne imprigiona i membri a Mauthausen. Il membro più di spicco dell’OUN è Stepan Bandera, che Hitler libera nel 1944 per servirsi di lui e della sua milizia in funzione anti-partigiana e di sabotaggio nei territori occupati. Bandera e i suoi si macchiano di terribili crimini di guerra e crimini contro l’umanità ai danni di militari e civili, soprattutto ebrei e polacchi, ma lui non viene mai processato perché dopo la guerra riesce a fuggire in Germania dell’Ovest sotto protezione alleata dove muore nel 1959 per mano di un sicario sovietico.

Quando finalmente l’Ucraina ottiene la propria indipendenza dall’URSS nel 1991 è questo il pool di personaggi da cui può pescare per trovare degli eroi nazionali attorno ai quali unirsi: dei campioni dell’anti-russismo, certo, ma anche delle figure estremamente controverse che, come Stepan Bandera, non hanno mai pagato per i loro crimini. Su Bandera non c’è consenso nemmeno all’interno della stessa Ucraina, con l’Ovest del Paese (l’area dove ha operato durante la guerra, facente parte della Polonia fino al 1939 e avente una sostanziosa minoranza polacca ed ebraica concentrata nelle città) che lo vede come un eroe e l’Est, specie la minoranza russa, come un traditore e un fascista (opinione condivisa ancora oggi dalla Polonia, che lo accusa di pulizia etnica nei confronti della minoranza polacca già citata).
Nel 2010 viene insignito dell’onorificenza postuma di Eroe dell’Ucraina dal governo, ma solo un anno dopo gli viene revocata in seguito ad una sentenza di tribunale. L’eredità di Bandera è dunque un’eredità pesante per il governo ed il popolo ucraino, ma allo stesso tempo un potente strumento di propaganda nell’attuale situazione. Dal 2014 in poi, infatti, la figura di Bandera è tornata in auge proprio in funzione di collante anti-russo, ispirando la nascita di organizzazioni dichiaratamente neonaziste come il partito Pravyj Sektor e l’organizzazione paramilitare Battaglione Azov, poi integrata nell’esercito ucraino.

Queste organizzazioni, che non nascono dal niente ma vengono da una lunga storia di militanza antirussa e anticomunista che parte da addirittura prima del collasso dell’URSS, sono state strumentali nello svolgersi dei fatti della Rivoluzione di Maidan del 2014 e da quel momento sono diventate pienamente organiche allo sforzo politico prima e militare poi del governo ucraino volto a combattere le ingerenze russe sul proprio territorio.
I primi che hanno fatto le spese di questo accordo tra le forze di estrema destra e il governo ucraino sono i cittadini delle regioni separatiste del Donbass, in gran parte di etnia russa, la cui origine li ha resi bersagli e vittime della rabbia antirussa da un lato e del desiderio di espansione dall’altro.

Alla luce di quanto appena discusso il conflitto russo-ucraino si configura innegabilmente come una mossa di piena matrice imperialista da parte della Russia che intende integrare un’area ad essa adiacente nel proprio mercato, basato principalmente sull’estrazione e vendita di materie prime come quelle di cui curiosamente è ricca la porzione di Ucraina invasa ed unilateralmente annessa. Le giustificazioni storico-ideologiche dietro a questa guerra, che ho esplicato nei paragrafi precedenti, permettono alle autorità russe di farsi scudo del proprio vittimismo e spacciare questa come una mossa difensiva, persino umanitaria a difesa della minoranza russa perseguitata del Donbass, quando la realtà è che la popolazione del Donbass non è stata liberata, ha semplicemente cambiato padrone. Allo stesso modo ai russi viene facile l’accusa di nazismo e antisemitismo nei confronti delle autorità ucraine tutte, accusa che ha un certo fondamento ma che abbiamo visto essere un classico caso di bue che dà del cornuto all’asino.
Bue ed asino che hanno in questo caso entrambi delle corna molto lunghe e molto antiche.

Il Ruolo della Liberazione di Auschwitz nella Propaganda

In questo scenario di reciproca accusa un evento come la liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa diventa oggetto di contesa poiché entrambe le parti lo rivendicano, cercando di assorbirlo nella propria narrativa e renderlo organico all’immagine che vogliono dare di sé al mondo. I russi, le cui forze armate si reputano dirette eredi materiali e spirituali dell’Armata Rossa, si appuntano questo evento al petto come una medaglia al valore da mostrare a tutti coloro che ne denunciano l’ipocrisia e il distacco tra quanto esprimono a parole in merito alla difesa delle minoranze e quanto invece dimostrano coi fatti.
Gli ucraini e chi nell’Europa a guida NATO supporta acriticamente la loro narrazione dei fatti in funzione anti-russa trattano questo avvenimento come un trofeo da strappare dalle mani della propaganda del Cremlino per farne una freccia al proprio arco, talvolta censurandolo del tutto, talvolta strumentalizzandolo anch’essi per rivolgerlo contro la Russia e farne una vittoria personale. È così che nascono le operazioni di revisionismo storico di cui si parlava in apertura come la recente notizia che, con l’intento di estendere la contrapposizione tra Ucraina e Russia anche al periodo sovietico, vorrebbe attribuire la liberazione di Auschwitz ad un battaglione sovietico composto da soli soldati ucraini.

Anche se fosse vero, e non lo è, questo non significherebbe nulla in un esercito come l’Armata Rossa, esercito di un Paese federale e multietnico le cui forze armate comprendevano più di cento etnie diverse che combattevano fianco a fianco per lo stesso Paese e con lo stesso intento. Distorcere la Storia in questo modo significa tentare di frammentare l’idea e l’identità multietnica dell’Unione Sovietica per favorire una narrazione nazionalista volta ad isolare la Russia, un comportamento che fa un disservizio non solo alla Storia ma anche e soprattutto alla memoria di migliaia di coraggiosi uomini e donne che da tutto il mondo, non solo dalle varie nazionalità dell’URSS, hanno unito i propri sforzi per combattere la minaccia nazista che li voleva fare schiavi o fare cenere.

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