Recentemente Rick DuFer ha criticato un piccolo reel di Barbero in cui il noto storico piemontese sostiene che l’esistenza dell’URSS abbia imposto limiti al capitalismo ed ha permesso ai lavoratori di strappare concessioni economiche e diritti. DuFer pretende di attaccare Barbero con degli argomenti a nostro avviso molto fragili. Il primo è forzare l’esistenza di un Barbero filo-sovietico che non condanna Stalin. Consigliamo a DuFer di recuperare su YouTube un evento live di tre anni fa organizzato dal Partito Comunista di Marco Rizzo sul 25 Aprile. Basta andare al minuto 10 per sentire Barbero attaccare lo stalinismo e paragonare al nazismo i suoi crimini. Ribadisce un concetto molto semplice: si può essere comunisti senza condividere nulla dello stalinismo. Invece non è possibile essere nazisti e condannare l’operato di Hitler. Il secondo punto riguarda l’esistenza dell’URSS e l’affermazione di partiti socialisti e socialdemocratici in Europa. Secondo DuFer l’URSS avrebbe impedito la nascita o l’affermazione in Europa di “una sana coscienza socialista” perché l’esperienza del comunismo “realizzato” avrebbe spaventato gli occidentali. In realtà abbiamo avuto nel corso del XX secolo molti governi socialisti in Occidente, talvolta con progetti riformisti estremamente ambiziosi e distanti dal modello sovietico. Pensiamo all’esperienza di Olof Palme in Svezia oppure alla prima fase della presidenza Mitterand in Francia, in coalizione con lo stalinista Partito Comunista Francese, o il primo governo Papandreou in Grecia. DuFer polemizza anche con il PCI che era un partito molto diverso dalle altre forze comuniste in Europa. Con il Partito Nuovo Togliatti aveva conservato dello stalinismo solo l’organizzazione interna ma nella prassi il partito si comportava da forza socialdemocratica. A nostro avviso anche in maniera molto meno radicale di esperienze come quella di Olof Palme. Basti vedere con quanta fatica il PCI ha aggiornato, alla luce della rivoluzione keynesiana, la sua analisi del capitalismo. Nonostante ciò, un italiano su tre votava comunista negli anni ‘70, quando i crimini dello stalinismo era noti a tutti. Ricordiamo che Arcipelago gulag, con la sua descrizione dei campi di lavoro forzato in URSS, uscì nel 1974 in Italia. L’ultimo punto riguarda i diritti permessi in Occidente dall’esistenza dell’URSS. DuFer dice mezze verità quando parla delle condizioni di lavoro in URSS. Si, non esistevano sindacati indipendenti dal partito ma esistevano gli scioperi spontanei dei lavoratori. Esistevano le ferie e i ritmi di lavoro, soprattutto dopo Stalin, riflettevano la contraddizione tra uso del taylorismo nell’organizzazione della fabbrica e gestione non capitalistica della fabbrica. Gli operai lavoravano a ritmi forsennati per una settimana al mese, mentre le restanti settimane lavoravano il meno possibile. Era un sistema inefficiente, volto allo spreco delle sue risorse materiali, che si reggeva su un patto sociale tra burocrati e operai. Gli operai lavoravano a queste condizioni, godevano del welfare sovietico che includeva le ferie pagate al mare ma in cambio non toccavano il potere dei burocrati. Il vero perdente in questo sistema erano i lavoratori cognitivi, pagati quasi quanto un operaio senza essere considerati classe dominante. Per questo motivo non è scoppiata in URSS nessuna rivoluzione proletaria contro la borghesia di partito. Consigliamo vivamente la lettura dei libri di Rita Di Leo1 per approfondire l’organizzazione del lavoro in URSS. Per quanto riguarda i diritti, rispondiamo a DuFer con Toni Negri2. L’aumento del benessere dei lavoratori durante il Trentennio Glorioso è figlio della rivoluzione keynesiana e della sua lettura della crisi del 1929. La crisi del 1929 aveva spazzato via la fiducia nel futuro ed era necessario salvare questo elemento per salvare il capitalismo. Da qui la necessità dell’intervento dello Stato per ristabilire la fiducia. Lo Stato si fa capitale e organizza la produzione, oltre ad assicurare il rispetto della legge. Lo Stato agisce nel presente per programmare il futuro. Ad esempio regolando il flusso del risparmio e degli investimenti, garantendo la domanda effettiva. Facendosi garante nel presente contro l’incertezza futura, Keynes aveva riconosciuto e inserito nella sua teoria la lotta di classe operaia contro lo sfruttamento capitalista. È evidente che proteggere il presente dalle incertezze del futuro significa ridurre le tensioni future prodotte dalla lotta di classe e garantire la fiducia dell’investitore capitalista. Pensare alla lotta operaia come una minaccia per il futuro significa pensarla esterna al capitale anche se è inserita nella sua struttura. Arriva a determinare una sua riforma da cui derivano le concessioni di cui parla Barbero. Non è casuale l’espressione utilizzata da Negri per descrivere questo cambiamento, ovvero un salto in avanti nella scienza del capitale. Keynes riconosce la classe operaia come momento autonomo dentro il capitale. Questo è possibile solo perché la classe operaia si è costituita come soggetto politico in maniera definitiva grazie alla Rivoluzione d’Ottobre che ha contribuito anche alla riuscita delle lotte di liberazione nazionali nel Terzo Mondo. L’esistenza dell’URSS ha fatto penetrare il marxismo in Cina dando vita a quei processi che si conclusero con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, una vittoria essenziale per i popoli del Terzo Mondo che nel giro di una trentina d’anni si scrollarono di dosso le catene del colonialismo.
- Consigliamo in particolare Rita Di Leo, L’esperimento profano. Dal capitalismo al socialismo e viceversa
L’ascesa e il declino dell’esperimento sovietico contro l’avanzata del capitalismo attraverso l’affermazione dell’utopia comunista, Ediesse, Roma 2012 ↩︎ - Facciamo riferimento a A. Negri, J. M. Keynes e la teoria capitalistica dello stato nel ’29, in AA. VV, Operai e Stato. Lotte operaie e riforma dello stato capitalistico tra rivoluzione d’Ottobre e New Deal, Feltrinelli, Milano 1973. Prossimamente verrà ristampato dalla casa editrice DeriveApprodi. ↩︎