Femminielli e Janare: marginalità e questione di genere nel contesto campano

di Paola Pia Santoro

  1. Introduzione

Questo scritto si pone come una lente di ingrandimento in un contesto politico ben preciso, quello del nord della Campania. Prenderemo in considerazione il testo che ha messo in crisi la dialettica hegeliana, quale Sputiamo su Hegel1 di Carla Lonzi. L’intenzione non è quella di portare avanti il discorso di Lonzi, ma usarla come definizione metodologica. “Sputare” su un certo tipo di testi dell’epoca moderna, in questo caso principalmente del ‘600, può considerarsi utile al fine di una lettura differente delle categorie marginalizzate da e tramite una determinata letteratura. L’approccio di Lonzi si basa sull’impossibilità, nel discorso hegeliano, di applicare alla donna la dialettica servo-padrone. È la stessa impossibilità di cui risentono quelle che con grande rabbia e dissenso nella stessa pronuncia della frase si possono definire delle “donne incomplete”: i femminielli, soggettività e figure della cultura napoletana che tramite performance teatrali o con il loro stesso esistere sfidano le norme di genere. Sempre nel contesto campano, spostandoci di qualche chilometro, troviamo un’altra figura che è rappresentativa, invece, dell’angosciante pratica di caccia alle streghe che è stata fatta nel contesto europeo durante la transizione dal feudalesimo al capitalismo: la janara, etimologicamente discendente dal culto della dea Diana. Il confronto tra femminielli e janare, attraverso le prospettive teoriche di Judith Butler e Silvia Federici, richiede un’esplorazione delle dinamiche di genere, potere e resistenza. L’analisi di Federici traccia una connessione tra il periodo della caccia alle streghe e l’emergere del capitalismo, approfondendo il ruolo delle donne nell’accumulazione primitiva di capitale ed esaminando il modo in cui il corpo femminile è stato sfruttato nel lavoro riproduttivo. Tale prospettiva offre una visione della strega come figura ribelle, rappresentando una minaccia al sistema di oppressione capitalistico e patriarcale. Rispetto alle janare, legate alle tradizioni folkloristiche, l’approccio di Federici può essere applicato per esaminare come queste possano incarnare una forma di resistenza in risposta alla caccia alle streghe e all’oppressione patriarcale. Affacciandoci al contesto dei femminielli l’analisi butleriana della performatività può, d’altro canto, illuminare il modo in cui queste identità destabilizzino le categorie di genere. Attraverso l’intreccio delle teorie di Butler e Federici, si propone di esplorare come i femminielli e le janare possano essere comprese alla luce delle dinamiche storiche e culturali delineate dalla caccia alle streghe e della repressione delle persone queer nel sud Italia. In tale confronto si riflette su come queste figure incarnino la complessità delle identità di genere all’interno di specifici contesti culturali. Entrambi gli approcci offrono uno sguardo critico sulle costruzioni sociali di genere e suggeriscono che le identità di genere non sono fisse, ma fluide e soggette a contestazioni. Questo studio mira a offrire una comprensione più approfondita delle complesse relazioni tra genere, potere e resistenza all’interno del contesto campano.

2. La performatività del femminiello

Il femminiello è una figura complessa da definire, in particolare con il lessico degli studi di genere odierno. È l’anomalia della cultura napoletana, la rottura con l’eteronormatività. Maria Carolina Vesce, in Altri Transiti2, lo definisce come «un individuo biologicamente maschio che si sente, si comporta ed è riconosciuto come una donna e che assume, in modo più o meno evidente, comportamenti, atteggiamenti e ruoli normalmente attribuiti al genere femminile». Il termine affonda le sue radici nell’infelice espressione di cui parla Dall’Orto3, la cosiddetta omosessualità mediterranea, basata sul ruolo sessuale attivo/passivo. Secondo tale principio, omosessuale è chi ha nel rapporto sessuale un ruolo “passivo”, non chi svolge il ruolo “attivo”, che in Europa fino agli anni ’70 del ventesimo secolo commetteva “un male minore” in quanto dettato dall’impossibilità del giovane di poter pagare una prostituta4, e dall’altro della sacralità che si attribuiva alla verginità femminile. Come approfondiremo in seguito, il ruolo passivo aveva una connotazione negativa perché attribuibile al contesto femminile, ma dal momento in cui non c’era la possibilità di riproduzione non si trattava di una femmina, ma di una femmenella. Insomma, il negativo del negativo. Vesce dà un contrappeso positivo a tale antropologia negativa del femminiello, definito da un lato dallo sguardo che gli dà vita, ma anche uno sguardo affettuoso ed emotivo. Non appare affatto strano se ascoltiamo le parole de La Tarantina, che parla di come la prima volta che la chiamarono “femmenè” si sentì subito accolta da un calore che tale parola le aveva dato5.

I femminielli sono per una questione di performatività di genere molto simili all’ambiente drag, sebbene si tratti di due concetti che appartengono a due contesti culturali diversi. È stato detto come i primi siano figure caratterizzanti della cultura napoletana, mentre il termine drag è più ampiamente associato alla cultura LGBTQ+ anglofona, nel tempo estesa anche in altri ambienti, e alle esibizioni di spettacolo. Nonostante le differenze, entrambi i concetti coinvolgono la rappresentazione di identità di genere attraverso atti performativi. I femminielli sono spesso associati a contesti teatrali e carnevalizi. D’altra parte, gli artisti drag, noti come drag queen o dragking, creano personaggi esagerati attraverso abiti, trucco molto pesanti. Questi spettacoli possono avvenire in contesti come locali notturni, spettacoli teatrali o eventi sociali. L’obiettivo del drag è spesso quello di esplorare e celebrare la diversità di genere, sfidando le norme e offrendo un’interpretazione spettacolare e creativa delle identità.

Lasciando la parola a Judith Butler:

“la performance indica una dissonanza non solo tra il sesso e la performance, ma anche tra il sesso e il genere e tra il genere e la performance. Il drag, così come crea un’immagine unificata della «donna» (cosa che viene spesso contestata), rivela anche la distintività di quegli aspetti dell’esperienza connotata dal punto di vista del genere che vengono falsamente naturalizzati come un’unità attraverso la finzione regolativa della coerenza eterosessuale. Nell’imitare il genere, il drag rivela implicitamente la struttura imitativa del genere stesso, nonché la sua contingenza”6.

La parodia del concetto di genere attuata dal drag non è però imitazione, perché nella parodia si esplica la disfatta del genere. Sulla performatività Butler si spiegherà meglio in Corpi che contano, in cui la pratica drag è presa ancora più come modello in una visione del genere come travestismo, con la consapevolezza che l’identità non coincide con tali abiti o ruoli indossati. Se spieghiamo la performatività del genere con un lessico lacaniano, l’assumere un sesso denota grammaticalmente una scelta soggettiva. Si tratta in verità di un’imposizione, un «apparato regolativo»7 eterosessuale: il corpo che conta è il corpo che rispetta tale apparato secondo un principio di eteronormatività. Entrambi, drag e femminielli, coinvolgono una forma di performatività di genere, sfidando e giocando con le norme culturali e sociali. La rappresentazione teatrale e l’uso di costumi sono fondamentali per creare personaggi che vanno oltre le aspettative di genere tradizionali. Sia i femminielli che gli artisti drag sottolineano la fluidità e la costruzione sociale delle identità di genere, suggerendo che queste non siano fisse o predeterminate, ma soggette a interpretazioni creative e contestazioni. Questi fenomeni offrono una prospettiva critica e creativa sulle dinamiche di genere, contribuendo a una comprensione più sfumata e aperta delle identità di genere stesse.

2. Lesbismo e femminismo

Com’erano gli incontri delle janare? C’è una testimonianza da considerarsi interessante:

Una volta, quando mio padre era ancora giovane, c’era zia S che aveva un libro di magia.

“Va’ via. Tu non sai far niente!”, le diceva mio padre. E lei: “Non so far niente? lo so fare tutto. Se vui vedere, vieni domani a mezzanotte nel campo di don P. C.”. Andarono per curiosità, mio padre ed un’altra persona e qui trovarono, a mezzanotte in punto, gli alberi capovolti, le radici in aria e le cime in terra. Si diedero alla fuga spaventati, dicevano: “Madonna mia! Ma questa è veramente una strega!”. Quando la videro, il giorno dopo, lei disse: “G., hai avuto paura e sei scappato, eh?…”. Mio padre si impressionò moltissimo. A quei tempi esistevano queste cose”8.

Ciò che spaventa della testimonianza non è, come si potrebbe presumere da una prima lettura, il contesto magico narrato, ma le parole dure del padre nei confronti della donna. Il pregiudizio sulla mancanza di consapevolezza e la risposta della donna sono i termini dell’esclusione da un lato, ma della “spaventosa” resistenza di colei che “sa fare tutto”. Cosa facevano quindi le janare di notte? La leggenda più comune narra che uscissero a mezzanotte per andare dai cavalli e intrecciarne criniera e coda. Dopodiché sarebbero salite in groppa e gli avrebbero fatto fare tante corse, motivo per cui il cavallo al mattino seguente sarebbe stato ritrovato sempre sudato9.

L’assimilazione streghe-animale della leggenda non è casuale, ma un topos ricorrente che ha origini più complesse riguardanti il cambiamento di visione sul corpo e il suo rapporto con la mente. Con l’affermazione della filosofia cartesiana il corpo assume un aspetto meccanico, e un corpo non- meccanico è da considerarsi un corpo ribelle. Tale questione si collega alla differenza di rapporto degli umani con gli animali nel passaggio dalla società precapitalistica, in cui veniva data per scontata una continuità tra il mondo umano e animale, e l’affermazione del capitalismo, in cui tale continuità si rompe10. Nelle Meditazioni Metafisiche, come nota Silvia Federici, avviene sin dalla Prima Meditazione la separazione ontologica mente-corpo in cui il corpo viene a poco a poco disumanizzato perché assume la connotazione di un involucro, un involucro che non è nient’altro che forza-lavoro distinta dalla persona. Inoltre, come era già stato ben precisato all’interno del Discorso Sul Metodo, gli animali non umani nella lettura di Descartes non possiedono anima11.

Avere animali da compagnia era quindi visto con grande sospetto perché manifestazione dell’ «istintualità incontrollata»12 ed aiutanti delle streghe.

Se pensiamo al sabba, la grande riunione notturna in cui le streghe organizzavano i propri “crimini”, si può considerare tale riunione una sorta di separatismo saffico, una relazione tra donne. Tale relazione e separazione si affaccia a Monique Wittig13, che tramite la categoria di lesbismo che travalica il discorso del sesso (donna e uomo) definisce il rifiuto lesbico di sottoporsi al dominio maschile dell’eterosessualità. La relazione del sabba è al plurale, non quindi la donna singolare che, riprendendo l’analisi di Wittig, è formazione immaginaria. Ma il sabba può sembrare anche una forma di matriarcato che, sulla base di gerarchie di potere è solo la riproposizione di un sistema patriarcale senza uomini? Se ci basiamo sull’analisi di Federici il sabba è strettamente connesso alle assemblee contadine che servivano per preparare le rivolte14. Ma tramite il testo dì Ferraiuolo vediamo testimonianze in cui nel contesto delle janare si esplicitava la presenza di una “capa”15 che ci può far pensare ad un contesto gerarchico. Non conoscendo le dinamiche di subordinazione, per mancanza di fonti in merito, si può essere inclini più verso la forma di separatismo e di rottura con il sistema eteronormativo che faceva parte sia della cultura capitalistica che di quella pre-capitalistica e rurale.

3. Altre marginalizzazioni: cosa accomuna il femminiello e la janara

La riproduzione si dice in due modi:

  1. riproduzione biologica, di forza-lavoro
  1. riproduzione dei modelli eteronormativi e culturali

Il femminiello e la janara sono in antitesi con entrambi. Se ci poniamo sul piano della riproduzione biologica nel primo paragrafo si è osservato come la connotazione negativa del femminiello derivasse da un solo punto: avere le caratteristiche della donna (e quindi negative) senza avere la sola positiva: la possibilità di riprodurre. Si è visto invece nel secondo paragrafo come il corpo della donna non-eteronormata sia un corpo ribelle. Bisogna considerare una questione importante: le janare erano tacciate di uccisione dei bambini sia per la produzione dell’unguento che permetteva loro di volare, che per semplici atti demoniaci che avevano come fine l’uccisione dei neonati. L’accusa di lussuria sulla strega l’ha definita come antitetica alla riproduzione, l’unico ruolo della donna. Non si può nemmeno parlare di sessualità femminile perché:

“Così come si sono recintate le terre, è stato recintato il corpo femminile. […] La caccia alle streghe è servita a imporre alle donne una maternità forzata e l’obbligo alla castità, perché una sessualità femminile non controllata e non esorcizzata appariva pericolosa in quanto elemento sovversivo della disciplina del lavoro e dei rapporti di classe”16.

Si analizza ora la riproduzione sociale. Se consideriamo il femminiello possiamo dire che la sua identità di genere sia estremamente contrapposta a quella della classe dominante. Restando però nel sistema delle classi non possiamo dire che, sia un transclasses, basandomi sulla terminologia utilizzata da Chantal Jaquet ne Les Transclasses ou la non- reproduction17. Egli è cultura popolare, dei cosiddetti “bassi” napoletani e la sua espressione è definita in quel tipo di contesto. Stesso motivo per cui il femminiello è da considerarsi un termine ombrello più che dell’omosessualità mediterranea direi dell’ omosessualità meridionale e nello specifico campana. La sua figura riproduce quindi, utilizzando il lessico di Bourdieu ripreso da Jaquet, parti delle caratteristiche della propria classe, ma allo stesso tempo è anche contro la sua stessa classe perché l’eteronormatività travalica le classi sociali.

Passando alla janara, anche in questo caso si tratta di un fenomeno estremamente territoriale, perché discendente dalla cultura pagana dell’antica Roma. È parte della cultura popolare e più precisamente rurale, soprattutto se consideriamo come le cosiddette medicotte fossero indispensabili in quello che negli studi femministi degli anni ‘70 viene chiamato “lavoro di cura”, lavoro che veniva attuato nei confronti delle persone e degli animali. Allo stesso tempo è però una figura che si ribella alle regole imposte dal suo stesso contesto perché portatrice di una controcultura, una cultura differente anche dalla classica cultura contadina eteronormata. Espressione di volontà di libertà sessuale e conoscitiva è il modo in cui possiamo definire la janara.

Conclusione

In Altri Transiti, Vesce spiega come ci sia un fondamentalismo biologico che si basa sulla ricerca di un transessuale paleolitico che spieghi le origini della transessualità. Più che di un fondamentalismo biologico parlerei di un giusnaturalismo biologico, lo stesso giusnaturalismo che ha spinto molte filosofie in epoca moderna a considerare la società delle Amazzoni l’anomalia della storia del dominio maschile18, ma un’anomalia che allo stesso tempo non reggeva il confronto con l’attuale e che quindi veniva sempre, in fin dei conti, accantonata. Ad oggi, dopo secoli di colonizzazioni da cui deriva direttamente il pensiero del cosiddetto “stato di natura”, che ha da sempre definito il pensiero del giusnaturalismo, possiamo dire come non ci serva alcuna spiegazione primordiale nelle soggettività odierne, frutto dei processi storici che le hanno definite, oppresse e liberate. Lavorare in termini di associazioni (e non di sommatoria, come ricorderebbe Butler19), è ciò che permette di capire le radici delle marginalizzazioni, consentendo di liberarle dell’ontologia del negativo. Sebbene sembri oggi antiquato parlare di caccia alle streghe e femminielli, con l’affermazione del femminismo liberale, si può ritenere invece sia ancora più urgente per permettere una liberazione territoriale non omologata e non colonialista, considerando come le attuali realtà rurali siano quelle dei territori Africani e della Papua Nuova Guinea in cui si sta continuando con la caccia alle streghe. Le figure dei femminielli e delle janare messe in luce in questo saggio sono quelle che secondo un principio di rivalutazione del meridione italiano possono considerare una loro affermazione degli studi di genere nell’ottica di un confronto con le discussioni con gli studi di genere anticoloniali.

  1. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, La Tartaruga, Milano 2023 ↩︎
  2. M. C. Vesce, Altri transiti: corpi, pratiche, rappresentazioni di femminielli e transessuali, Mimesis, Milano 2017 ↩︎
  3. G. Dall’Orto, Tutta un’altra storia. L’omosessualità dall’antichità al secondo dopoguerra, Il Saggiatore, Milano 2015 ↩︎
  4. Le espressioni inattuali come “prostituta” si inseriscono nella lettura di eventi accaduti nella seconda metà del ventesimo secolo. Attualmente si preferisce all’interno di una buona parte degli studi femministi l’espressione “sex worker”. ↩︎
  5. https://youtu.be/ICyG5r9c6bY?si=PSjj5Ta54TN2Rpp7 ↩︎
  6. J. Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, Roma-Bari 2017, p.195 ↩︎
  7. J. Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”, Feltrinelli, Milano 1996 ↩︎
  8. A. Ferraiuolo, Fiabe e racconti popolari casertani, Comune di Caserta, Assessorato alla cultura, Caserta 1986 ↩︎
  9. Ivi. ↩︎
  10. Si veda la lettura di Federici in merito alle enclosures in Calibano e la strega: le donne, il corpo e l’accumulazione originaria ↩︎
  11. R. Descartes, Discours de la méthode, Cinquième Partie 1637 ↩︎
  12. S. Federici, Caccia alle streghe, guerra alle donne, Tradzione di S. Veli, Nero, Roma 2020 ↩︎
  13. M. Witting, One is not Born a Woman, The Lesbian and Gay Reader, Routledge, 1993 pp. 103-109 ↩︎
  14. Si consideri qui il periodo delle lotte contro le enclosures, in cui, come riporta Federici, le donne erano in prima linea. Cfr. Federici, Caccia alle streghe e capitale (2022). ↩︎
  15. «[…] Le janare sono comandate da una “capa”. La “capa”ordina “Tu questa notte devi andare a tale parte e fare questo sfregio!”». Vedi Ferraiuolo, Fiabe e racconti popolari casertani (1986). ↩︎
  16. S. Federici, Caccia alle streghe, guerra alle donne, Tradzione di S. Veli, Nero, Roma 2020,  le citazioni legate al libro sono prese da un ebook e pertanto non sono disponibili le pagine. ↩︎
  17. C. Jaquet, Les Transclasses ou la non-reproduction, Puf, Parigi 2014 ↩︎
  18. Cfr. B. Spinoza, Trattato Politico, 1677 ↩︎
  19. J. Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, Roma-Bari 2017, pp. 21-23 ↩︎

Bibliografia

Butler J. 2017. Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità. Laterza, Roma- Bari.

Butler J. 1996. Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”. Feltrinelli. Milano.

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Cobisiero, F., Nocenzi, M. (a cura di) 2022. Manuale di educazione al genere e alla sessualità. Utet, Torino.

Dall’Orto G. 2015. Tutta un’altra storia. L’omosessualità dall’antichità al secondo dopoguerra. Il Saggiatore, Milano.

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Federici S. 2020. Caccia alle streghe, guerra alle donne. Traduzione di S. Veli. Roma: Nero. Federici S. 2022.

Caccia alle streghe e Capitale. Donne, accumulazione, riproduzione. Introduzione di A. Curcio. DeriveApprodi, Roma.

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Lonzi C. 2023. Sputiamo su Hegel e altri scritti. La Tartaruga, Milano.

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Wittig M. One is not Born a Woman. 1993. The Lesbian and Gay Studies Reader, Routledge. 103-109.

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