Il sistema comune in Venezuela: una via inedita al socialismo

1. Introduzione

Il libro Commune or Nothing! Venezuela’s Communal Movement and its Socialist Project di Chris Gilbert parla degli sforzi del Venezuela chavista per costruire un socialismo basato sulle comuni popolari che sono portatrici di nuove relazioni sociali visibili in una diversa concezione del lavoro sociale. Le attività lavorative sono svolte in nome di obiettivi comuni determinati dalla stessa comune. Il sistema venezuelano cerca di restituire le condizioni e gli strumenti di lavoro ai produttori liberamente associati che decidono come usarli e controllarli producendo disalienazione e liberazione del lavoro. L’obiettivo è rimettere tutto il lavoro sotto il controllo sociale e democratico diretto dei lavoratori, impedendo che le attività lavorative diventino sociali solo post festum, cioè solo dopo lo sbocco delle merci sul mercato. In questo modo si cerca di ricondurre la produzione di valori d’uso al consumo e ai bisogni reali che diventano parte del consumo delle comuni. La priorità non è più l’accumulazione del capitale ma il benessere della comune e la riproduzione della vita nelle sue diverse e ricche manifestazioni.

“Non ci sarebbe alcun processo automatico di valorizzazione, nessuna routine insensata. Liberata dai vincoli della produzione di valore, la società dei produttori associati – produttori riuniti in comuni di diverso tipo – potrebbe disporre del tempo secondo obiettivi autodeterminati, con l’obiettivo di espandere il tempo libero individuale e promuovere lo sviluppo umano a tutto tondo in un modo che sia armonioso con l’ambiente naturale”1.

Inoltre, qualsiasi pregio del capitalismo viene conservato e gestito in maniera diversa da questo sistema. Per esempio l’innovazione tecnologica e il relativo aumento di produttività è presente nel sistema comune ma assume una forma più gestibile perché l’espansione incontrollata e automatica è impossibile in un regime del lavoro direttamente sociale.

Questo sistema si inserisce nella storia della rivoluzione venezuelana con i suoi tentativi di stimolare l’organizzazione delle comuni come espressione del potere popolare e di una solida partecipazione democratica. La prima fase del processo rivoluzionario coincide con l’Assemblea Costituente del 1999 e i successivi referendum del 1999, 2004 e 2007 che sono stati svolti parallelamente alla nascita di organizzazioni di base come i consigli comunitari nel 2005 o la Mesas Técnicas de Agua e il Comités de Tierra Urbana con l’intento di ampliare gli spazi di democrazia. Con la trasformazione socialista, nel 2006, ma soprattutto dopo la sconfitta del 2007 al voto sulla riforma costituzionale, inizia ad emergere il modello del socialismo comunale che trova nella comune la sua cellula di base. Il progetto venne lanciato nel 2009 ma è con la legge sulle Comuni del 2010, approvata assieme alle Leggi sul Potere Popolare, che viene stabilito il modello strutturale delle comuni venezuelane. Esse dovevano essere esempi di democrazia politica ed economica capaci di unirsi in consigli comunali e altre organizzazioni popolari attive nella pianificazione urbana e in altre attività economiche e sociali stabilite dalle leggi sul potere popolare. In questo processo fu importante il ruolo ricoperto dal presidente Hugo Chavez che ha incoraggiato attivamente la costruzione delle comuni da parte dei lavoratori venezuelani, definendo la loro costruzione un atto eroico portato avanti dalle stesse masse e come il luogo dove nascerà il socialismo. Inoltre ha sottolineato sempre la necessità di rendere queste organizzazioni autonome dal PSUV, il suo partito.

Tuttavia questo progetto, quando venne proclamato, ottenne una ricezione tiepida da parte delle masse drogate dalle risorse del ciclo favorevole dei prezzi delle materie prime che hanno portato il Venezuela a generare enormi profitti dalla vendita del petrolio sul mercato mondiale. Questa circostanza ha favorito, in contrapposizione a questo modello di socialismo, la socialdemocrazia assistenzialista e il socialismo di Stato. Per Gilbert l’umore generale della popolazione era di aperta ostilità ai sacrifici che questa strada richiedeva dal momento in cui erano a disposizione i profitti del petrolio che permettevano di ripagare il debito sociale e persino di risolvere l’enigma dell’accumulazione socialista. Era un’idea prematura rispetto al contesto in cui venne lanciata. Le condizioni per la sua affermazioni emersero dopo la morte di Chavez, sotto il governo del suo successore Maduro quando il paese perse la possibilità di usare il petrolio come leva per costruire il socialismo e si trovò dentro una delle crisi economiche più dure della storia dell’America Latina aggravata dalle sanzioni internazionali e da tentativi falliti di colpo di stato.

“Il governo ha risposto con palese pragmatismo. Ha perseguito un percorso essenzialmente capitalista di minor resistenza, il che significava allontanarsi dal socialismo e persino dalla democrazia di base, e a fortiori mettere la comune in un angolo. I controlli sui prezzi furono eliminati, i salari reali ridotti e i programmi sociali tagliati. Ora, tra attacchi imperialisti, recessione economica e terapia d’urto imposta internamente, la meravigliosa abbondanza che i venezuelani avevano vissuto nel primo decennio del secolo si è dissipata come foschia mattutina al sorgere del Sole. È stato il periodo peggiore: un momento in cui il venezuelano medio perdeva 22 chili, l’emigrazione disperata distruggeva famiglie e l’atteggiamento ferreo del governo nei confronti dei reati provocati dalla fame lasciava migliaia di giovani morti nei barrios”.

Nonostante ciò, l’ideale del socialismo basato sulle comuni è riemerso. Piccoli gruppi in tutto il paese si sono autorganizzati per trovare una soluzione ai loro problemi e nel fare ciò cercano di rivitalizzare il chavismo e il suo progetto originario, nel segno dell’ultimo disperato discorso di Hugo Chavez chiamato Golpe de Timón dove coniò il famoso slogan “¡Comuna o nada!”.

2. István Mészáros e Hugo Chavez: una connessione per la transizione al socialismo nel XXI secolo2

István Mészáros, di cui abbiamo già parlato altrove, è un pensatore essenziale per Hugo Chavez. La particolarità della sua biografia lo rende un fondamentale analizzatore dei fallimenti del socialismo reale avendo vissuto in entrambi i campi durante la Guerra Fredda. Giunse alla conclusione che entrambi fossero due facce dello stesso sistema ed erano accomunati dall’estrazione di pluslavoro e da lavoratori che non controllavano i processi lavorativi. Alla base di queste idee c’è la comprensione del capitalismo come sistema metabolico dipendente da una divisione verticale del lavoro che si manifesta come capitalismo o come società post-rivoluzionaria in cui il metabolismo gerarchico e antidemocratico del sistema del capitale permane con la sua estrazione del pluslavoro in un contesto dove le merci dominano le persone. Uno dei modi per superare questo stallo è la riorganizzazione della società in una dove i lavoratori controllano consapevolmente e democraticamente la produzione. Il sistema comune per Mészáros doveva basarsi su una democrazia sostanziale e sull’autogestione della produzione. Di conseguenza, davanti alla crisi del socialismo reale serviva un socialismo più socialista. Hugo Chavez si aprì a questa prospettiva a partire dai precedenti fallimenti nel tentativo di modificare i rapporti di produzione come l’incentivo a formare cooperative all’inizio della rivoluzione.

“Questa iniziativa, avviata intorno al 2003, ha comportato un quadro giuridico speciale e un’enorme mobilitazione di risorse, per lo più attinte dai profitti petroliferi durante il decennio di boom. Con l’entusiasta partecipazione di massa tipica del Processo Bolivariano ai suoi tempi d’oro, le cooperative iniziarono a spuntare in tutto il Venezuela […]. C’erano una serie di progetti di cooperative di servizi, comprese cooperative di taxi, hotdog e parrucchieri, nonché cooperative produttive, come quelle dedite all’agricoltura e a diverse forme di produzione e industria leggera. Il panorama delle cooperative organizzate in quegli anni presentava diversi livelli di concretezza. Gli esseri umani sono il prodotto del loro contesto e, data la disperata situazione di esclusione di lunga durata che ha vissuto la maggior parte dei venezuelani, non sorprende che molte persone abbiano formato cooperative che esistevano solo sulla carta, poiché registrando una cooperativa si poteva accedere ai diritti statali, contratti e sovvenzioni. Ma c’erano anche cooperative registrate che esistevano davvero, gestite da lavoratori in carne e ossa con mezzi di produzione tangibili, che ancora non erano vere cooperative. A tutti gli effetti, molte erano semplicemente normali imprese capitaliste, con un’intera struttura di capi e gerarchia nascosta dietro le leggi cooperative”.

Chavez capì che le cooperative non erano sufficienti, erano ancora imprese capitaliste. Si trattava di proprietà privata collettiva in competizione sul mercato con le altre imprese, incluse quelle cooperative. Con la svolta socialista del 2006 vengono sperimentate varie forme di impresa statale per superare i problemi delle cooperative. Parliamo di imprese dove vigeva la cogestione o le imprese di proprietà sociale (EPS).


“Quest’epoca ha avuto i suoi momenti affascinanti, ma è stata anche piuttosto accidentata. Ci sono stati alcuni successi notevoli. Per alcuni anni l’industria dell’olio da cucina Industrias Diana è stata un’impresa statale di punta che operava in modalità di ‘cogestione’. Il suo momento di gloria fu quando gli stessi operai si misero a gestire l’attività, ma poi vennero chiamati alcuni ufficiali dell’esercito a dirigere la produzione e le cose presero una brutta piega. La fabbrica di alluminio nella regione venezuelana della Guayana, Alcasa, gestita dall’ormai scomparso Carlos Lanz, è stato un altro esperimento interessante”.

La tappa successiva in questa successione di esperimenti è la costruzione di un modello alternativo di produzione basata sulle comuni. Chavez ci lavora tra il 2009 e il 2010, influenzato dall’esperienza delle comuni popolari cinesi e dal pensiero di Mészáros a cui giunge tramite l’economista Jorge Giordani con cui dialoga durante il suo periodo in carcere dopo il fallimento del golpe che aveva guidato agli inizi degli anni ‘90. L’idea fondamentale per la transizione al socialismo del filosofo ungherese è che il capitale non è il capitalismo. Infatti Mészáros si sofferma sulla categoria di capitale invece di capitalismo che secondo il pensatore magiaro è il principale oggetto di studio di Marx incarnante un metabolismo diffuso e onnipervasivo.

“Ciò non può essere ridotto a uno scenario in cui avidi capitalisti sfruttano i lavoratori attraverso l’estrazione di plusvalore, ma consiste piuttosto in tutta una serie di mediazioni più fondamentali (“di secondo ordine”) che sono imposte dalla logica del capitale agli esseri umani (“di primo ordine”) nelle relazioni con la natura e gli altri esseri umani. Attraverso queste mediazioni, il capitale genera e riproduce costantemente un sistema integrale che coinvolge, da un lato, mezzi di produzione alienati, produttori separati dal controllo sul processo produttivo e un comando del lavoro che opera attraverso obiettivi di produzione imposti dall’esterno; d’altro canto, il sistema del capitale modella anche le relazioni familiari, impone il denaro e le sue forme mistificanti su una gamma sempre più ampia di interazioni sociali e genera forme statali alienate di amministrazione e controllo”.

Di conseguenza è possibile superare il capitalismo ma riprodurre ancora il metabolismo del capitale. Costruire l’alternativa significa generare un sistema integrale e organico che possa riprodursi e i cui elementi possano sostenersi vicendevolmente. Per Mészáros questo sistema dovrebbe essere basato su una produzione comunitaria fondata su qualcosa di simile alle comuni e funzionanti tramite la cooperazione, la libera associazione dei lavoratori e la responsabilità degli obiettivi che vengono autodeterminati.

“Ma non possono farlo se si trovano sempre con altri attori sociali che spingono costantemente nella direzione opposta, con obiettivi opposti. Pertanto, l’alternativa socialista richiede una coscienza sociale comprensivamente coesa che sia suscettibile al coinvolgimento personale dei lavoratori nel processo di controllo e nel processo decisionale sugli obiettivi. Altrimenti, le relazioni contraddittorie e il conflitto tra gli individui e il collettivo genereranno forze centrifughe incontrollabili che provocano distruzione della coerenza della società. Questa è la base dell’affermazione di Mészáros secondo cui le relazioni contraddittorie – insite nella logica del sistema del capitale (antagonismo sia tra capitali che tra capitale e lavoro) – possono essere superate solo attraverso un sistema comune, basato sulla cooperazione”.

Nelle comuni del Venezuela si intravede un nuovo metabolismo sociale qualitativamente diverso, dove il controllo della produzione è autodeterminato attraverso assemblee e altre forme di organizzazione di base. Allo stesso tempo, con i loro processi decisionali democratici, prefigurano il superamento di uno degli elementi chiave del metabolismo sociale del capitale, ovvero lo Stato di cui viene abolita la legalità e le sue amministrazioni separate dai lavoratori.

“Alcune delle caratteristiche del sistema sociale emergente possono essere viste – e si possono osservare i loro diversi gradi di espressione nelle comuni sparse sul vasto territorio del Venezuela – semplicemente anteponendo un segno di negazione a ciò che Mészáros ha identificato come le caratteristiche chiave del metabolismo sociale del capitale. Se il sistema del capitale aliena i mezzi di produzione dai lavoratori, la comune fa sì che tali mezzi appartengano alla comunità. Se la divisione gerarchica del lavoro del capitale richiede che i lavoratori siano controllati da strutture di comando dall’alto, la comune fa sì che tutti i metodi e gli obiettivi di produzione siano il risultato di un processo decisionale democratico, con gli obiettivi di produzione imposti esternamente dal capitale sostituiti da obiettivi autodeterminati internamente”.

3. Le esperienze delle comuni venezuelane e dell’Ejercito Productivo Obrero

Tra gli stati di Lara e Portuguesa sorge la comune di El Maizal, inaugurata nel 2009 sulle ceneri di una fattoria privata3. Oggi la comune di El Maizal coinvolge nelle sue attività circa 8000 persone di 20 consejos comunales. Davanti alla crisi che ha investito il paese, con persone nelle campagne spinte dalla fame a macellare il proprio bestiame, a El Maizal sono passati, seguendo gli insegnamenti della resistenza cubana all’embargo americano, all’offensiva occupando un vecchio allevamento di maiali in disuso e un vicino campus universitario abbandonato con l’obiettivo di produrre carne, formaggio e pesce d’allevamento. La comune è riuscita a crescere nel mezzo della crisi combinando produzione e sperimentazione sociale. Davanti alle sanzioni americane che limitano il commercio di molte merci, dal carburante alle medicine, la comune ha scelto di diversificare la propria economia incorporando nella sua rete i contadini locali a cui cede crediti e sostegno materiale in cambio di una parte del loro raccolto composto da sorgo, yuca e fagioli. Devono fare, però, i conti con una borghesia locale ostile che spesso si allea con l’anima del chavismo contraria allo sviluppo delle comuni la quale mette in atto dei veri e propri atti di sabotaggio. Per esempio, questi sostenitori della via capitalista provano ad ostacolare il loro accesso ai fattori di produzione agricoli di base per contrastare lo sviluppo della comune. L’istituzione statale AgroPatria non voleva vendere a El Maizal le sementi del mais, costringendo i comunardi a ricorrere al mercato nero per avere il raccolto di questo prodotto agricolo ma subirono per questo degli arresti da parte della polizia. Furono rapidamente scarcerati grazie ad avvocati amici e alle pressioni di politici del chavismo alleati. Inoltre provano a sfidare questi nemici della rivoluzione provando a candidare dei membri della comune nelle istituzioni. Esemplare per spiegare a tutti questo conflitto con pezzi del partito di governo è la seguente storia:

“Il dramma cominciò quando un pugno di campesinos nello stato di Barinas rispose con entusiasmo all’appello di Chávez a creare delle comuni. Questi erano i più veri credenti chavisti. Fondarono la propria comune e la chiamarono Eje Socialista. Ingenui fino al midollo, i comunardi socialisti di Eje decisero di disobbedire completamente allo Stato. Per loro la comune era la nuova e unica autorità. Ci hanno creduto totalmente e ci sono rimasti fino alla fine. Dopotutto Chávez, anche se morto, era dalla loro parte! Questi schietti comunardi erano audaci e onesti. Tuttavia, dopo alcuni scontri con le autorità statali, finirono tutti in prigione. I comunardi di El Maizal non sono così estremisti come quelli di Eje Socialista, né così ingenui. Tuttavia, la loro danza con le autorità statali prevede alcune delle stesse mosse. È vero che fanno di Chávez – che è dipinto, scolpito e iscritto in tutta la loro comune – un culto, ma, come la maggior parte dei culti, il modo di El Maizal di rendere omaggio al leader morto può essere altamente sovversivo. È sempre eretico comunicare direttamente con la massima autorità, senza alcuna mediazione dei sommi sacerdoti. Inoltre, per i comunardi di El Maizal, la lealtà verso l’ex presidente implica anche il fatto di non dover obbedire a nessun altro! Quindi, la comune porta avanti la sua interpretazione dell’eredità di Chávez, e ciò può significare qualsiasi cosa, dal disprezzo della proprietà privata alla sfida ai funzionari governativi”.

Per provare a riequilibrare i rapporti di forza con lo Stato le comuni provano a unirsi in un’unica associazione nazionale.

“Nonostante i loro scontri occasionali con il governo, tutti a El Maizal hanno interiorizzato un acuto senso politico che impedisce loro di romanticizzare l’autonomia della comune o di pensare allo stato venezuelano in termini unidimensionali. Queste sono lezioni apprese dalla traiettoria del chavismo negli ultimi due decenni. Questa esperienza ha dimostrato che il potere popolare – il controllo dal basso sulle dimensioni politiche ed economiche di una comunità – può crescere in modo molto più solido se esiste in una relazione dialettica con lo Stato. Il sostegno statale ai progetti autonomi può variare dall’assistenza materiale a un quadro giuridico che difenda il potere popolare. Il risultato di vent’anni di sperimentazione chavista, registrato nelle menti di milioni di venezuelani, è che le istituzioni statali, quando sono solidali, possono consentire al potere popolare di prosperare a livello locale e persino di proiettarsi a livello nazionale e internazionale”.

La Comune Che Guevara sorge invece nella regione andina del Venezuela. Si tratta di una comune basata su una fabbrica di cacao e su una cooperativa che produce caffè. È gestita da quadri esperti ed è una delle comuni di maggior successo del paese. I comunardi sono molto pragmatici e hanno scelto di basare il loro successo sulla produzione e la trasformazione di due colture ad alta intensità di manodopera e con il know-how proveniente dalla migrazione transfrontaliera con la Colombia, da dove vengono alcuni dissidenti di sinistra che sono stati fondamentali per fondare questa comune a partire da una fattoria diventata cooperativa nel 2004.

Il principale input produttivo della produzione di caffè è la forza lavoro e questa risorsa può essere trasformata in valuta forte a livello locale, in Colombia o sul mercato internazionale. Questo spiega il diffondersi della coltura del paese a seguito della crisi economica. Uno dei pilastri della comune è la cooperativa Colimir che per un certo periodo è stata autonoma da essa e ha ricevuto contributi statali tra cui una fondamentale macchina per essiccare il caffè. La particolarità di questa comune è la sperimentazione dell’uso di questa risorsa come moneta alternativa, il cafeto, al bolivar. Corrispondeva a un chilogrammo di caffè.

“L’ascesa e la caduta del cafeto nella Comune di Che Guevara è una storia che vale la pena raccontare per le sue intuizioni sulla produzione comunitaria, in particolare per l’importanza di rompere la camicia di forza dello scambio di merci, mostrando al tempo stesso le reali difficoltà di un simile tentativo. Con l’emissione del cafeto, la cooperativa Colimir non ha fatto altro che formalizzare ciò che le persone già facevano spontaneamente. Quando i produttori di tutta la regione si recavano negli uffici amministrativi di Colimir per vendere il loro raccolto, si incontravano con un “equivalente generale” che era allo stesso tempo familiare e nuovo. La cooperativa acquistava il caffè dai suoi associati e da altri produttori il più delle volte con una versione digitale del caféto – hanno persino sviluppato una propria app Android per questo – ma a volte anche con fatture cartacee. Inoltre, la cooperativa ha concesso prestiti nei bar, poiché i piccoli coltivatori della zona hanno sempre bisogno di sostegno finanziario durante i periodi di semina e raccolta. Ad un certo punto c’erano circa 17.000 cafetos in circolazione, sostenuti da una pari quantità di caffè immagazzinato a Colimir”.

Era una moneta più affidabile del bolivar perché più stabile ma un aumento del prezzo del caffè faceva aumentare anche il costo dei debiti contratti che non venivano restituiti ma nonostante ciò, il cafeto ha permesso alla comune di aggirare l’iperinflazione.

“Non sorprende che l’esperienza del cafeto sia stata fonte di riflessione continua presso la Comune di Che Guevara. Nella società capitalista, il denaro esprime tempo di lavoro socialmente convalidato. Il valore che rappresenta è universale – puoi ottenere qualsiasi merce con il denaro – ma deriva da attività lavorative private. Il feticismo del denaro deriva da questa situazione contraddittoria: una moneta ha un reale potere d’acquisto, ma questo potere deriva da attività lavorative private disperse che non lasciano traccia sulle bollette. Nella misura in cui le comuni tentano di fare del lavoro qualcosa di valore in sé – soprattutto per i valori d’uso che genera – invece di orientarsi semplicemente verso un valore di scambio anonimo, è comprensibile che si rivolgano a misure intermedie come il baratto o, in questo caso, l’uso delle valute locali più strettamente connesso alle attività lavorative concrete e ai loro prodotti. La valutazione finale di queste misure transitorie dipenderà essa stessa dall’andamento della transizione complessiva verso una società postcapitalista, di cui queste comuni d’avanguardia sperano di essere le cellule iniziali”.

Oltre alla Colimar è esiste una fabbrica di cacao nata cinque anni dopo la cooperativa di caffè sotto l’impulso dei consejos comunale (sono quattordici quelli che hanno fatto nascere la Comune Che Guevara). Nella fabbrica tutte le fasi della produzione vedono l’applicazione della democrazia per superare l’alienazione e lo sfruttamento del lavoro. I lavoratori si basano sulla loro autorganizzazione e non hanno alcun bisogno dei padroni. La loro è quella che Chavez chiamava proprietà sociale diretta, gestita direttamente dalla comunità, distinta da quella indiretta, gestita dallo Stato. Nella fabbrica non ci sono presidenti, capi o manager. Le decisioni sono prese in assemblee dove i lavoratori hanno gli stessi diritti e sono tra di loro pari. La comune, inoltre, difende la rivoluzione sostituendosi allo Stato che non riesce a fornire i servizi pubblici al territorio contribuendo allo sviluppo dell’istruzione, costruendo scuole, riparando gli autobus per il trasporto locale, fornendo il gas da cucina… Vengono offerte delle soluzioni tramite l’autorganizzazione dei lavoratori.

Le ultime esperienze che analizziamo vengono dalla regione della Guyana, sede di tentativi di sviluppo industriale a partire dagli anni ‘60. Il tipo di sviluppo emerso è di tipo dipendente e non ha mai raggiunto una sua vera autonomia. Davanti al deserto industriale lasciato dalla crisi economica, con le sue strutture arrugginite, sono sorti, per rispondere alla disoccupazione e alla sottoccupazione, i laboratori autogestiti da parte dei lavoratori che producono non per il mercato globale ma per i bisogni della comunità di cui fanno parte. La maggior parte di essi è legato al settore della metallurgia e mettono in campo pratiche di solidarietà, lavoro volontario e produzione di valori d’uso. Queste esperienze non sono paragonabili alle comuni, sono più simili alle ERT argentine e brasiliane che abbiamo già studiato, ma ne condividono i valori. Una delle ERT venezuelane più importanti è la Indorca, un’officina metallurgica specializzata in riparazioni nell’industria siderurgica e nella meccanica di precisione. Fino a una decina di anni fa era una ditta privata ma venne chiusa nel 2012 in risposta ad una legge, la LOTTT, che garantiva maggiori diritti ai lavoratori. Il padrone stava licenziando e svuotando la fabbrica allertando gli operai che hanno agito sequestrando gli impianti e occupando lo stabilimento per due anni. Ora l’attività è ripresa e Gilbert documenta la presenza di cinquanta operai disciplinati, in un clima non conflittuale, che fanno funzionare i macchinari pesanti della fabbrica, inclusa l’attrezzatura per saldare. La gestione della fabbrica avviene tramite un’assemblea dove i quadri e gli operai discutono e pianificano insieme il lavoro. Tutte le principali decisioni sono prese dopo un lungo e trasparente dibattito.

“Tuttavia, i lavoratori con cui parliamo nello stabilimento sono ansiosi di dirci che questo ambiente radicalmente cambiato è stato conquistato a fatica, è il risultato di una lotta intensa. Ad esempio, quando gli operai di Indorca hanno sequestrato lo stabilimento, mettendo la catena al cancello, non sono riusciti nemmeno ad entrare. Ciò significava che dovevano dormire a turno in una struttura aperta con il tetto di paglia chiamata maloca vicino all’ingresso, respingendo ripetuti attacchi da parte degli scagnozzi del proprietario e della polizia. Lo fecero per due lunghi anni, dimostrando una resilienza e un’intraprendenza impressionanti. Poiché in quel periodo il paese cominciava a soffrire di una grave carenza di beni di prima necessità, dovettero integrare il loro cibo con iguane e platani che raccoglievano nelle vicinanze. Un lavoratore, soprannominato “il Mago”, ci racconta come un gruppo di scagnozzi assoldati dal proprietario lo ha aggredito e legato una notte mentre stava cucinando frittelle di mais cachapa su un fuoco all’aperto. La banda armata non solo ha derubato le officine, portando via macchinari e cavi elettrici, ma ha aggiunto al danno la beffa mangiando le frittelle di mais davanti al Mago che era stato trasformato in uno spettatore incaprettato alla sua stessa tavola! Durante questa lunga veglia fuori dalla fabbrica, un piccolo gruppo di lavoratori di Indorca si è recato a Caracas per presentare al governo la propria causa di autogestione, basata sull’articolo 149 della LOTTT, che rende legale l’occupazione di una fabbrica inattiva. Essendo lavoratori dell’interno, avevano pochi contatti nella capitale, quindi non avevano altra scelta che dormire per strada, coprendosi con cartoni e vivendo di pane bianco e bevande a base di cola che compravano nei bar lungo la strada. Alla fine, i lavoratori determinati hanno ottenuto un’udienza, non con Chávez, come avevano sperato, ma con un simpatico ufficiale militare del suo staff personale che li ha messi in contatto con il Ministro del Lavoro. È così che Indorca è stata riconosciuta come occupazione legale delle fabbriche. Poi, per far ripartire l’attività, hanno dovuto fare appello ai lavoratori attivi della zona che hanno contribuito portando a Indorca il loro know-how e le parti di ricambio per i macchinari e i cavi mancanti. Questo aiuto è arrivato soprattutto dalle vicine officine autogestite Equipetrol e Calderys, sempre nella zona di Guayana, con i lavoratori vicini che hanno dato il loro abbondante sostegno volontariamente. I lavoratori di Indorca hanno anche implementato una forma radicale di democrazia orizzontale al loro interno, insieme alla parità di retribuzione per tutti i lavoratori e ad una contabilità trasparente”.

Indorca ora spinge per andare oltre l’orizzonte della singola fabbrica cercando di restituire alla comunità la solidarietà ricevuta che li ha cambiati nel profondo della loro coscienza. Per questo motivo hanno deciso di fondare la loro brigata dell’Ejercito Productivo Obrero per aiutare altre fabbriche a ripartire, come un ditta statale di sardine di Cumaná che ha richiesto il loro aiuto per riparare i macchinari rotti per l’inscatolamento del pesce ma non solo.

“L’impianto di lavorazione delle sardine La Gaviota era fermo da mesi, soprattutto perché il forno per la preparazione della farina di pesce era rotto. I lavoratori non sapevano molto di attrezzature e riparazioni industriali. Cedeño ci racconta che, dopo aver fatto una diagnosi preliminare dei loro problemi, ha raccolto lavoratori qualificati e forniture dalla regione della Guayana, incorporando volontari delle altre due imprese autogestite vicine, l’officina metallurgica Equipetrol e il produttore di materiale refrattario Calderys, che aveva aiutato i lavoratori di Indorca nel momento del bisogno. Quindi la squadra di lavoratori di questi tre laboratori è partita a bordo di un microbus verso la costa. Il risultato è stata una “battaglia” di solidarietà durata cinque giorni a La Gaviota, che dopo alcuni alti e bassi, compreso un certo scetticismo da parte dei lavoratori in loco, ha fatto ripartire la fabbrica di sardine a pieno regime nel 2016. Questo è stato, a tutti gli effetti , il primo passo verso la formazione dell’Ejercito Productivo Obrero, che ancora verrà chiamato altrove. La battaglia di La Gaviota fu la battaglia di questo neonato esercito non convenzionale”.

L’esperienza quindi venne emulata da altre fabbriche che si dotarono del loro esercito non convenzionale per una guerra economica non convenzionale. In questo modo poterono iniziare a girare per il paese e contribuire alla ripresa economica del Venezuela, finendo per lavorare addirittura nei giacimenti di gas naturale.

Come racconta a Gilbert uno dei quadri di Indorca, Sergio Requena: “Un punto culminante per molti partecipanti all’Ejercito Productivo Obrero è stato il lavoro nella raffineria di petrolio di Amuay, che è la terza raffineria più grande del mondo e la più grande dell’emisfero occidentale. Le sanzioni avevano colpito duramente questo impianto, lasciandolo funzionante a capacità ridotta, con i suoi compressori di idrogeno – attrezzature necessarie per desolforare il petrolio per produrre diesel e benzina – completamente fermi. Avevano anche bisogno di aiuto per riparare l’attrezzatura danneggiata. Come già alla Gaviota, anche questa volta c’è stato scetticismo da parte degli operatori in loco. I dipendenti di Amuay e soprattutto gli ingegneri della raffineria sentivano che la loro competenza era minacciata da un gruppo di lavoratori sconosciuti che, qualunque fosse il loro know-how pratico, non avevano alcun titolo di studio formale da presentare. La resistenza non era solo una questione di dignità e competenza. C’era anche la tendenza, diffusa nelle industrie statali, a sostituire piuttosto che riparare le apparecchiature rotte a causa delle tangenti che i nuovi acquisti consentono. In effetti, la direzione di Amuay non voleva riparazioni a causa della loro venalità. Tuttavia, con pazienza e una certa astuzia, l’Ejercito Productivo Obrero è riuscito a superare questi ostacoli interni. Requena ci racconta di essere stato particolarmente felice di vedere come, quando i padroni hanno negato l’uso del carrello elevatore alla brigata, un operaio di proporzioni da Golia ha rotto i ranghi con la direzione ed è intervenuto lui stesso per sollevare il macchinario. Per Requena, ciò dimostrava che, anche se la direzione resisteva, i lavoratori della raffineria erano patrioti e rivoluzionari impegnati!”.

Questa straordinaria esperienza rivoluzionaria si inserisce nel solco delle migliori iniziative delle masse avvenute durante le rivoluzioni comunisti nel XX secolo. Pensiamo solamente ai primi sabati comunisti lodati da Lenin come germi di una nuova società che stava nascendo a partire da un lavoro autenticamente volontario che con enorme fatica provava a superare il lavoro salariato. Si tratta insomma di uno straordinario esempio di iniziativa dal basso dei lavoratori che merita l’attenzione di tutti i comunisti del mondo.

  1. Chirs Gilbert, Commune or Nothing! Venezuela’s Communal Movement and its Socialist Project, Monthly Review, New York 2023, non sono disponibili le pagine nel PDF letto. Le traduzioni sono a cura dell’autore del saggio. ↩︎
  2. Gli argomenti trattati in questo paragrafo possono essere approfonditi nel libro più importante di István Mészáros, ovvero Oltre il Capitale, tradotto in italiano da Nunzia Augeri per i compagni di Edizioni Punto Rosso. In particolare si consiglia la lettura del capitolo 19 Sistema Comune e legge del valore. ↩︎
  3. Ricordiamo che il Venezuela di Chavez ha impostato delle politiche molto radicali per quanto riguarda la campagna. Ad esempio ha promosso una legge, nel 2001, che consente l’occupazione delle terre inutilizzate e tra il 2006 e il 2009 ha promosso molte espropriazioni di terre. ↩︎

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *