Calcolo economico e forme di proprietà di Charles Bettelheim ha come obiettivo presentare alcuni concetti chiave da utilizzare nel dibattito sulla transizione socialista e trarre alcune conclusioni dal loro impiego in un’analisi concreta delle formazioni economico-sociali che dicono di marciare verso un nuovo modo di produzione. Lo scopo ultimo del lavoro è capire se effettivamente paesi come l’URSS sono stati socialisti o meno. A questo quesito l’autore risponderà nei volumi de Le lotte di classe in URSS utilizzando i concetti sviluppati nel libro. Presento in questo saggio degli appunti sparsi presi dal volume in questione che mi sono serviti per le introduzioni ai volumi 1 e 2 di Le lotte di classe in URSS recentemente pubblicati dalla collana Filo Rosso della casa editrice Pgreco.
La prima macrotematica analizzata è quella del calcolo economico nelle formazioni sociali di transizione dal capitalismo al socialismo. Il tema si lega a quello della pianificazione e alle condizioni di circolazione dei prodotti. Il ragionamento dell’economista francese inizia assumendo alcune proposizioni teoriche in merito al calcolo economico e al piano nell’economia socialista per poi metterle in relazione alle pratiche effettive delle formazioni economico-sociali di transizione. Uno dei primi testi analizzati per raccogliere le informazioni necessarie per procedere con il ragionamento è l’Anti-Dühring di Engels che affronta il tema delle condizioni necessarie per elaborare un piano economico in una società socialista, caratterizzata dal possesso di mezzi di produzione da parte dei lavoratori che li usano per una produzione immediatamente socializzata. Questo, dice Engels, presuppone l’esclusione di ogni scambio di merci e l’assenza della trasformazione dei prodotti in merci e la conseguente trasformazione in valori. La pianificazione, in questo contesto, avverrebbe mediante il calcolo delle ore di lavoro necessarie per produrre un determinato prodotto. Bettelheim osserva che Engels non sta utilizzando il termine tempo di lavoro socialmente necessario ma tempo di lavoro effettivamente speso. Marx, aggiunge, che il ruolo assegnato al calcolo del tempo di lavoro corrisponde ad un certo grado di sviluppo delle forze produttive. Da questa breve analisi il ragionamento si sviluppa facendo un confronto con la pratica della pianificazione socialista e analizzando i problemi sorti con le formulazioni presentate.
Se siamo coerenti con le proposizioni di Engels, le categorie di valore e prezzo non devono essere impiegate nei calcoli della pianificazione socialista. I calcoli dovrebbero basarsi su quelli che Engels chiama effetti utili degli oggetti d’uso in comparazione con la quantità di lavoro necessario alla produzione. Nelle economie socialiste questo non avveniva, invece del tempo di lavoro venivano utilizzate le categorie di mercato in cui rientrano i costi espressi in moneta. Essi non sono misure ma grandezze contabili che emergono spontaneamente in un sistema dei prezzi prodotto per via amministrativa o di mercato senza incidere sul carattere dato dei prezzi o la loro utilizzazione come prezzi previsti e non intervenendo sulle misure. Sono solo operazioni contabili che Bettelheim definisce calcolo economico monetario che va differenziato dal calcolo economico associato alla misura del lavoro speso e alla sua utilità sociale nelle diverse attività. Il calcolo in moneta, invece, rinvia a scambi capaci di dimostrare l’esistenza di categorie di mercato e della forma valore la quale è presente nelle economie socialiste e non può essere liquidata coma la sopravvivenza di certe categorie di mercato, una brutta eredità del passato. In realtà, dice Bettelheim, la pratica economica è determinata dall’intreccio di due calcoli economici. Uno monetario e uno, inglobato e subordinato, non monetario. Nei paesi socialisti si effettuavano molti calcoli nella pianificazione che tenevano conto di spese ed entrate monetarie, con un palese significato finanziario ma uno economico dipendente dal sistema dei prezzi nonostante il significato dei calcoli elaborati con questi prezzi sia molto incerto. I calcoli non monetari sono una serie di operazioni che tengono conto delle esigenze della riproduzione allargata, le priorità politiche, sociali e l’utilità sociale e dei costi sociali delle diverse attività. Questo è il tipo di calcolo da utilizzare per il controllo sociale reale dello sviluppo delle forze produttive e nella trasformazione dei rapporti di produzione ma nella realtà è stato subordinato al calcolo economico monetario. Tornando al testo di Engels, Bettelheim analizza alcuni problemi sollevati. Il primo è quello degli effetti utili in cui l’autore invita a comparare gli effetti sociali utili degli oggetti d’uso in relazione alle quantità di lavoro necessario per produrli che significa inventare degli strumenti adeguati per effettuare delle comparazioni tra questi effetti sociali diversi da oggetto ad oggetto con cui poi effettuare la costruzione di un piano.
L’autore solleva un altro problema legato al lavoro socialmente astratto. Nel capitalismo il lavoro sociale è un lavoro privato che mostra il suo carattere sociale unicamente nello scambio. Con i rapporti di produzione socialisti pienamente sviluppati, la contraddizione tra lavoro sociale e privato viene superata attraverso le condizioni oggettive che permettono al lavoro sociale di manifestarsi in un modo diverso dalla forma valore, la modalità con cui si manifesta e allo stesso tempo nasconde nel capitalismo. Questo spiega come mai possa essere afferrato unicamente nell’astrazione del concetto. Il problema che emerge è il seguente: se la quantità di lavoro socialmente necessario nel modo di produzione capitalistico (MPC) è la misura del valore è perché questo implica una necessità sociale che è l’appropriazione del plusvalore, il fine ultimo del MPC che viene raggiunto soddisfacendo bisogni e domanda. Di conseguenza l’utilità sociale dei diversi lavori si manifesta solo nella capacità di produrre plusvalore o di favorirne la produzione e l’accrescimento. Nel modo di produzione socialista (MPS) la finalità cambia nella soddisfazione dei bisogni sociali, abbandonando lo spazio teorico dei valori e dei prezzi in cambio degli effetti utili dei lavori, cioè l’utilità sociale. La sua misura non è più il plusvalore prodotto ma l’utilità sociale dei diversi lavori che varia in base alle proporzioni e le condizioni sociali e materiali in cui questi lavori sono svolti. Rimane da spiegare, dice Bettelheim, i concetti e le procedure per misurare l’utilità sociale dei diversi lavori e prodotti con lo scopo di ripartire i lavori, ovvero il lavoro sociale, tra le diverse produzioni. Questo nuovo tipo di calcolo, il calcolo economico sociale, ha incontrato ostacoli di varia natura. I principali sono il basso sviluppo delle forze produttive nelle società di transizione, conseguentemente sono rimaste intatte le forme mercantili dell’economia. Il secondo problema è la natura dei rapporti di produzione di queste formazioni economico-sociali che assumono la forma di rapporti di mercato con conseguenze nefaste per il modo in cui sono ripartiti i prodotti delle diverse attività, con la generazione di grandezze monetarie utili per un calcolo economico che è in realtà solo un calcolo monetario.
La presenza della categorie del mercato pone una serie di problemi teorici molto rilevanti nell’analisi delle società di transizione. La loro esistenza non può essere spiegata né come una decisione del governo né come un errore di Marx ed Engels che avevano previsto la scomparsa della forma valore nella società socialista. Nel primo caso la spiegazione è sbagliata perché la forma valore ha un’esistenza oggettiva e si manifesta a determinate condizioni indipendentemente dalla volontà del governo. La seconda spiegazione porta a rimanere ai margini della questione perché quella marxiana non è una previsione ma un’analisi delle condizioni sociali che portano all’apparizione della forma valore e di conseguenza caratterizzano la società socialista come una formazione economico-sociale che possiede rapporti di produzione tali da escludere l’esistenza della forma valore. Visto che certe categorie di mercato permangono nelle società di transizione, significa che esse non sono ancora società socialiste adeguatamente sviluppate.
La forma valore è centrale anche per individuare l’oggetto specifico della scienza economica. Essa dissimula la specificità della scienza economica attraverso la sua capacità di designare il campo d’azione dell’economia politica, includendo tutto ciò che ha valore. In questo modo tutto il campo dell’economia politica è composto da fenomeni immediatamenti dati e osservabili, il che la rende una scienza priva del concetto del suo oggetto. Basterebbe la presenza di una qualità propria degli oggetti facilmente misurabile a fondare questa scienza. La forma valore consente di liquidare la necessità di costruire il concetto dell’economia politica. Per Bettelheim ciò è molto importante perché la forma valore produce un effetto di dissimulazione dei rapporti economici che sussiste assieme alla forma stessa. Da qui la necessità in un paese socialista di problematizzare e mettere in questione la forma valore. Per citare Althusser in Lire Le Capital, coloro che sono intenzionati a dare un fondamento teorico all’economia politica sono costretti a riferirsi ad un mondo esterno al piano che gli è proprio. In questo modo trovano l’oggetto della loro disciplina nel mondo dei bisogni soggettivamente percepito dagli uomini. L’uomo degli economisti classici e neoclassici, dice Bettelheim, per questo motivo è un uomo in preda ai bisogni e su queste basi viene edificata un’antropologia ideologica ingenua che permette di costituire la nozione di homo oeconomicus che consente di dichiarare molti fenomeni come economici ed effetto diretto o mediati dai bisogni degli uomini. Siccome questa antropologia dell’uomo è eterna e i suoi bisogni sono pensati come universali, lo sono anche le leggi economiche che diventano a loro volta universali e legate ad essa troviamo tutta una serie di prassi economiche come la ricerca dell’optimum. Per non cadere in questa trappola bisogna capire come solamente certi rapporti sociali, in cui è inserito un determinato modo di lavorare, prendono la forma del valore. Questo rende possibile concettualizzare l’esistenza di diversi modi di produzione. Un altro aspetto legato alla forma valore e alla sua opera di dissimulazione riguarda ciò che attraverso la dissimulazione rappresenta e lo dissimula in una contraddizione.
“Ad esempio, quando si dice che 20 metri di tela = 1 abito, non solo non appare (quindi è dissimulato) il contenuto comune ai due termini (il fatto cioè che sono entrambi il prodotto di un certo lavoro sociale e di una certa quantità di lavoro), ma in più il valore di scambio della tela non è ‘in alcun modo presente’ in questa relazione (rispetto alla quale è dunque ‘assente’); questo valore di scambio è invece ‘rappresentato’ dal suo ‘contrario’, cioè da una valore d’uso (un abito)”1.
La forma valore, allora, è espressione di una identità dei contrari che affonda le sue radici nel carattere contraddittorio del lavoro privato che viene rappresentato contemporaneamente come lavoro sociale. Questo carattere duplice del lavoro è sotteso da un rapporto sociale che è costruito a partire da un rapporto di produttori indipendenti i quali in realtà dipendono gli uni dagli altri in quanto inseriti, come agenti, in un processo di produzione sociale. La sua base materiale sono i processi di lavoro poggianti su determinati mezzi di produzione capaci di fornire prodotti utili per diventare un supporto alle interconnessioni dei processi di lavoro. Da ciò ne consegue che le relazioni tra produttori portano con sé sempre relazioni tra proprietari dei prodotti ma queste servono a dissimulare le prime poiché chi compare nello scambio lo fa non come produttore ma come proprietario dei prodotti. I proprietari che partecipano allo scambio vedono i loro prodotti non come valori d’uso ma come valori di scambio per cui il lavoro concreto dietro la fornitura dei valori d’uso deve essere anche lavoro astratto che produce merci.
Per quanto riguarda le merci, nella produzione di mercato ciò che caratterizza un prodotto è essere anche un oggetto di valore perché, come diceva Marx, la ricchezza si manifesta come “una immensa raccolta di merci”. Il fatto di essere oggetti socialmente utili non è rilevante al di là del fatto che è utile per renderli delle merci, cioè oggetti di valore. Nel MPS, invece, le merci non sono più rilevanti come prodotti derivanti dal lavoro privato e non sono più destinati allo scambio. Non portano più con sé la contraddizione tra un lavoro contemporaneamente sociale e privato perché il lavoro è già tutto socializzato. La ricchezza viene a costituirsi a partire da una raccolta di oggetti socialmente utili per la soddisfazione di bisogni sociali. Nell’analisi di una società socialista il posto della forma valore, in definitiva, deve essere preso dall’analisi della ricchezza reale, cioè dall’analisi del valore d’uso e degli effetti sociali utili.
Charles Bettelheim in questo modo giunge a due conclusioni per quanto riguarda l’analisi delle società di transizione. La prima è che la forma valore, poiché presente in queste società, è legata a specifici rapporti sociali che mantengono oggettivamente una forma fantasmagorica di un rapporto tra cose. La seconda, legata alla precedente, sostiene che questa forma fantasmagorica continua a rappresentare il rapporto tra gli uomini e implica la figura del rovesciamento che, non essendo sottoposta ad analisi, non consente di percepire il movimento reale del rapporto tra cose. Tutto ciò ha conseguenze nefaste sul piano politico ed economico. Non a caso l’autore prosegue il ragionamento analizzando come i sovietici giustificassero l’esistenza di categorie di mercato nella loro società. L’argomento principale utilizzato in URSS era l’esistenza di diverse forme di proprietà dei mezzi di produzione, ovvero quella dello Stato, quella collettiva delle cooperative e talvolta quella privata. Gli scambi tra queste diverse proprietà generano la forma valore. L’affermazione è corretta perché individua alcune basi giuridiche dell’esistenza delle categorie di mercato ma non è sufficiente perché può spiegare al massimo l’esistenza di queste categorie negli scambi tra le diverse forme di proprietà ma non tra quelle che appartengono allo Stato, dove dovrebbero essere scomparse e invece i mezzi di produzione hanno un prezzo e sono pagati in moneta quando dovrebbero essere distribuiti gratuitamente e non comprati o venduti. Nel settore statale la contabilità continua ad essere effettuata secondo i prezzi effettivi e non tramite valutazioni sociali. La giustificazione adottata per rispondere a simili critiche è che ci troveremmo, negli scambi tra le imprese, di fronte non a delle merci ma a delle categorie di mercato false perché dotate di contenuto nuovo prodotto dal semplice fatto che sono di proprietà dello Stato e di conseguenza si sono instaurati nuovi rapporti di produzione. La questione, tuttavia, non è risolta. Perché, nonostante la proprietà statale dei mezzi di produzione essi continuano a circolare tra le imprese statali sotto la forma di merci? Evidentemente stanno dissimulando dei rapporti di produzione diversi da quelli socialisti e non bisogna cadere nell’errore di pensare che si possano utilizzare queste forme in maniera innocua perché il loro contenuto è mutato. Questo ragionamento stalinista nasce da una contrapposizione dialettica tra forma e contenuto che è sbagliata. In Marx la forma non è un recipiente da riempire con un contenuto variabile ma è sempre un rapporto che nella forma valore è un rapporto di mercato.
Queste riflessioni ci portano al problema della proprietà statale dei mezzi di produzione e la loro relazione con la trasformazione dei rapporti di produzione.
La rottura con il dominio di un determinato modo di produzione avviene in primo luogo a livello politico e riguarda il carattere classista dello Stato e dei suoi poteri che passa in mano, nel caso della rivoluzione socialista, del proletariato. Un simile risultato è possibile grazie alla rottura, da parte di determinate forze sociali e delle loro lotte economiche, di precedenti rapporti economici, ideologici e politici che erano dominanti. In questo modo si apre il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo chiamato dittatura del proletariato. Questa fase è caratterizzata da una non corrispondenza tra i diversi rapporti sociali a tutti i livelli dice Bettelheim, in particolare a livello economico dove il periodo di transizione è inaugurato dalla nazionalizzazione delle principali imprese che in questo modo diventano proprietà di Stato. Tuttavia, questo cambiamento nella forma giuridica della proprietà non coincide con l’instaurazione di un potere e di una capacità sociale di mettere in funzione la produzione e di disporre dei prodotti, quindi non siamo ancora nel terreno della socializzazione. Seguendo Critica del Programma di Gotha di Marx, la nazionalizzazione con la proprietà di Stato rimangono ancorate al diritto borghese che permane in tutta la fase di transizione e corrisponde a rapporti di produzione capitalistici senza il cui superamento questo tipo di diritto non scomparirà. Come abbiamo già detto, questi rapporti di produzione sono la causa dell’esistenza della forma valore nelle società di transizione e generano processi di produzione gestiti separatamente per unità di produzione differenziate. La loro capacità di gestire e controllare determinati processi di appropriazione della natura le rende gli effettivi possessori dei mezzi di produzione. Non a caso nelle società di transizione i mezzi di produzione sono di gestiti da imprese che dispongono di loro fondi fissi e circolanti, sono in grado di comprare e vendere prodotti, rivolgersi al sistema bancario, depositare fondi liquidi e in questo modo consolidano specifici rapporti giuridici che prendono la forma della proprietà. Finché sono di proprietà dello Stato, tuttavia, le loro azioni sono fatte in suo nome e i profitti ricavati diventano automaticamente proprietà statale, quindi gli atti giuridici compiuti sono fatti in quanto possessori dei mezzi di produzione. Questi fatti portano Bettelheim ad affermare che gli agenti in grado di disporre dei mezzi di produzione e dei prodotti ottenuti, nei limiti imposti dalla proprietà statale, sono i dirigenti d’impresa o i direttori nominati dallo Stato e non i lavoratori e per questo motivo si crea la base oggettiva degli scambi di mercato tra le unità di produzione. La proprietà statale, se non è una mera finzione giuridica, impedisce la trasformazione in proprietà pura e semplice e ciò si manifesta tramite la possibilità da parte dello Stato di requisire tutto ciò che l’impresa possiede e di dominare il modo in cui vengono impiegati i mezzi di produzione e i loro prodotti. Questo dominio è più o meno pervasivo in base al grado di autonomia delle imprese che è un effetto della lotta di classe e dello sviluppo dei rapporti di produzione socialisti. L’impresa, anche quando autogestita, esiste in un forma negativa come limitazione dei poteri di disposizione e impiego da parte dello Stato e dei lavoratori e in forma positiva come effetto dei rapporti di produzione capitalistici che riproduce. Questo vale anche quando l’impresa è autogestita perché è inserita dentro i rapporti di produzione capitalistici e, in assenza di una pianificazione socialista, ne è dominata, finendo per lavorare in vista della valorizzazione del proprio capitale anche qualora, in situazioni particolari, questa organizzazione dell’impresa ha effetti positivi e vantaggiosi per i lavoratori. L’impresa per Charles Bettelheim è un apparato capitalistico, un luogo in cui si articolano i rapporti sociali capitalistici anche quando sono dominati a livello politico da rapporti di altra natura. Solo tramite un rivoluzionamento delle unità produttive può mettere fine alla sua esistenza e creare un nuovo apparato dove sono riprodotti i rapporti sociali socialisti ma questo esito è figlio unicamente di una lotta complessa che risponde ad esigenze oggettive da mettere in luce attraverso la pratica e non l’immaginazione, altrimenti si ritorna a forme di organizzazioni corrispondenti a vecchi rapporti sociali. La struttura dell’impresa, inoltre, porta con sé una duplice separazione, quella dei lavoratori dai mezzi di produzione e quella delle imprese dalle altre unità produttive. Questo elemento che evidenzia l’autore è la figura centrale del MPC e supporta delle contraddizioni contrapponendo il carattere privato della proprietà o del possesso al carattere sociale delle forze produttive. Il capitalismo di Stato può solo spostare gli effetti delle contraddizioni intaccando il carattere privato del possesso dei mezzi di produzione ma per superare l’impresa serve, attraverso la lotta di classe, limitarne l’autonomia e poi lanciare il suo rivoluzionamento.
La duplice separazione è un effetto dei rapporti di produzione e delle condizioni in cui, sotto il loro dominio, si combinano forze di lavoro e mezzi di produzione. Dentro l’impresa ciò si realizza sotto la direzione dei dirigenti dopo l’acquisto della forza lavoro necessaria per l’attività lavorativa. In questo modo la forza lavoro e i mezzi di produzione intervengono nel processo produttivo sotto la forma valore e c’è un processo di valorizzazione dei mezzi di produzione tramite la produzione e riproduzione della forma valore tramite il lavoro astratto. Tutto ciò è collegato al grado di sviluppo del carattere sociale del lavoro che non è lo sviluppo delle forze produttive bensì le caratteristiche delle forze produttive determinate dalla natura dei rapporti di produzione in cui si sono sviluppate. Questo significa che nella transizione socialista il carattere delle forze produttive deve essere trasformato dai rapporti di produzione socialisti. Un altro elemento importante della forma impresa è il rapporto di lavoro salariato che non viene intaccato dalla difficoltà nel licenziare i lavoratori e dalla facilità nel trovare un nuovo lavoro. Il salario consente di riprodurre la separazione dei lavoratori dai loro mezzi di produzione. Per raggiungere questo obiettivo intervengono anche rapporti ideologici come la divisione sociale del lavoro che porta a collegare il lavoro di direzione a quello intellettuale e di esecuzione a quello manuale, elementi rafforzati anche dal sistema d’istruzione. Infine intervengono rapporti politici atti a reprimere e sanzionare chiunque contesti l’autorità giuridica della direzione. Questi aspetti dell’organizzazione del lavoro possono solo essere parzialmente attaccati da uno Stato operaio con una corretta direzione rivoluzionaria, infatti è necessario, per il loro superamento, l’instaurazione di nuovi rapporti ideologici e politici figli di un rivoluzionamento ideologico promosso dai lavoratori che mira a renderli gli effettivi gestori della produzione. Un altro aspetto su cui si sofferma Bettelheim riguarda la moneta. In URSS si è coltivata l’illusione che essa svolgesse una funzione diversa nei rapporti tra le imprese, con una moneta scritturale, e tra imprese e lavoratori, con una moneta fiduciaria. Queste due monete furono anche istituzionalizzate ma in realtà sono la stessa cosa che dipende dall’esistenza dell’impresa con la sua duplice separazione. La moneta usata per pagare i salari e i mezzi di produzione deve essere recuperata sempre con la vendita dei prodotti.
“L’eliminazione della moneta nei rapporti tra i lavoratori e le unità di produzione richiede una rivoluzione ideologica così come una trasformazione e uno sviluppo elevato delle forze produttive. L’eliminazione della moneta nei rapporti tra le unità di produzione richiede un dominio del piano sulle unità stesse. Perché a ciò segua la scomparsa dei rapporti di mercato, questo dominio del piano deve avere la forma del dominio sociale dei lavoratori sui mezzi di produzione, la forma dell’appropriazione sociale dei mezzi di produzione e dei prodotti da parte dei lavoratori, quindi la forma non solo dell’unità del lavoro in un’intera formazione sociale, ma anche della socializzazione del lavoro”2.
Il piano deve essere concepito in questo modo, altrimenti può solo spostare la separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione. Il piano non riesce a far scomparire i rapporti di mercato ma si sovrappone ad essi creando un capitalismo di Stato che funziona tramite uno Stato capitalista o uno Stato operaio, con un piano che produrrà effetti diversi ma agirà sempre su rapporti che resteranno di mercato e con una capacità di opporre una propria resistenza.
Bettelheim aggiunge un dettaglio a queste riflessioni, l’unità produttiva può assumere forme diverse dall’impresa. Occorre definire il concetto ed è possibile farlo affermando che la divisione del lavoro porta con sé un vasto insieme di processi di lavoro dipendenti dalla riproduzione sociale e distribuiti tra un certo numero di lavoratori. Qualora, grazie a specifiche condizioni materiali e sociali, i lavoratori sono un insieme raggruppato regolarmente assieme ai mezzi di lavoro in modo che questi processi di lavoro sono connessi tra loro ma separati dagli altri, allora “si dirà che i mezzi di lavoro che servono da ‘supporto’ ai processi di lavoro connessi tra loro direttamente, così come i lavoratori che li mettono in funzione, formano delle ‘unità di produzione’”3.
La loro base materiale è l’insieme dei mezzi di lavoro che permette la riproduzione di determinati processi di lavoro e perciò le unità di produzione esisteranno finché sono riprodotti l’insieme dei processi di lavoro con il supporto dei mezzi di lavoro. Bettelheim osserva che i lavoratori individuali impiegati nei processi produttivi che mettono in funzione i mezzi di produzione sono distinti dall’unità produttiva come lo è il lavoratore collettivo che compongono dai lavoratori individuali. Inoltre, nei vari cicli successivi, i processi di lavoro e i mezzi di lavoro possono scomparire o essere sostituiti da altri. L’unità di produzione non scompare perché non vi è rottura tra i cicli di riproduzione dei processi di lavoro che finiscono per essere reinseriti nello stesso modo nella divisione della produzione sociale, la quale subisce continue trasformazioni nel momento in cui si riproduce. La conclusione a cui giunge è che attraverso la riproduzione dei processi di lavoro viene riprodotta anche l’unità di produzione. Quindi i processi di lavoro non sono mai solo processi di lavoro ma anche processi di produzione perché assicurano la riproduzione delle condizioni sociali della loro propria realizzazione. L’unità dei processi di lavoro e di riproduzione costituiscono l’unità di produzione. Senza questa unione si può al massimo parlare di unità di lavoro. Tutte le unità di produzione sono un centro di appropriazione della natura in cui sono articolati diversi processi di lavoro per consentire ad ogni unità di possedere e utilizzare i mezzi di produzione. Nelle società di transizione i mezzi di produzione erano già in possesso dell’unità di produzione al momento della nazionalizzazione oppure sono stati assegnati in un secondo momento dallo Stato. In ultima istanza potrebbero essere stati acquistati dalla stessa unità di produzione. Se non può disporre dei mezzi di produzione e determinare le condizioni interne del loro utilizzo, l’unità di produzione non esiste. Nel momento in cui l’azione dei rapporti sociali e la struttura delle forze produttive generano unità di produzione dotate del potere di stabilire relazioni reciproche più o meno variabili, acquisiscono la capacità non solo di utilizzare i mezzi di produzione ma anche dei prodotti. Di conseguenza entrano nel processo di produzione immediato e di altri processi che costituiscono quello di produzione sociale, di circolazione e distribuzione. A queste condizioni si può parlare di unità economiche di produzione. Nelle società di transizione esse sono dominate dallo Stato attraverso il piano economico che può entrare in contraddizione con la gestione delle unità produttive limitando a vicenda lo sviluppo. Si tratta di due distinte pratiche economiche il cui contenuto non è mai dato una volta per tutte perché dipende da rapporti ideologici e politici e dal livello dello sviluppo delle forze produttive. In determinate condizioni sociali e politiche, a livello di questa contraddizione si svolge la lotta tra la via socialista e capitalista, cioè lo scontro antagonista tra borghesia e proletariato.
Nelle società di transizione, ricordiamo, il piano economico a carattere imperativo è il principale strumento di direzione sociale dell’economia e finisce per determinare i ritmi di sviluppo delle varie attività economiche e sociali. Di conseguenza influisce sulle diverse produzioni, sui loro diversi usi e sulla ripartizione della produzione tra consumo non produttivo e accumulazione. In questo modo è possibile trasformare le forze produttive e i rapporti di produzione. Rispettando i vincoli imposti dalle forze produttive esistenti, il piano riesce a determinare la natura dei processi di lavoro e produzione delle unità economiche e le relazioni tra di esse. Questo è possibile grazie ai vincoli imposti sulla proprietà alle unità economiche dalla proprietà statale dei mezzi di produzione. Si tratta di un dualismo tra proprietà statale dei mezzi di produzione e posseso delle unità economiche dei mezzi di produzione che apre alla necessità di un intervento della pianificazione anche al livello delle relazione tra le unità economiche. Questo intervento può essere estremamente variabile e dipende dalla struttura del livello economico, dalla natura dei rapporti ideologici e politici dominanti. La combinazione di questi rapporti con i rapporti ideologici e dominanti generano una periodizzazione non lineare della transizione.
“A livello economico, il potere di disposizione che costituisce la proprietà dello Stato si sviluppa man mano che si instaura un’articolazione più regolare e meglio prevedibile dei processi di produzione controllati delle diverse unità economiche. Una simile evoluzione permette alle istituzioni sociali (che hanno dapprima la forma di ‘organismi statali’), distinte dalle unità economiche, di stabilire relazioni tra queste unità e di controllarne l’utilità dal punto di vista dello sviluppo economico, sociale e politico”4.
Così la pianificazione può intervenire concretamente agendo sulle leve economiche tagliando le gambe alla forma valore e riducendo il campo d’azione della legge del valore. Con la crescente socializzazione delle forze produttive e il domino dei rapporti di produzione socialisti vengono sviluppate le capacità di stabilire in modo socialmente utile le relazioni tra unità economiche e tecniche per mezzo degli organi della pianificazione in stretta connessione con i diversi collettivi di lavoro per affermare il progresso di un’effettiva appropriazione sociale.
Il dualismo proprietà-posseso porta anche ad un altro effetto strutturale, cioè la dominazione della politica sul livello economico che cessa di godere della sua relativa autonomia come avviene nel MPC. Questo non significa che il livello economico smette di essere determinante in ultima istanza ma l’economia può essere determinata attraverso la mediazione della politica. Occorre però stare attenti alle forme d’intervento inadeguate che partono dal livello politico perché possono portare agli effetti di oscuramento capaci di limitare le possibilità del calcolo economico e monetario. Una di queste forme di intervento è il sistema dei prezzi pianificati. Un’analisi insufficiente della struttura del livello economico può portare all’errore di considerare un simile intervento non necessario, sostituendolo con prezzi fissati dal mercato, prezzi fissati in maniera arbitraria oppure con strumenti inadeguati, come con le misure amministrative di ripartizione dei prodotti al posto di misure d’intervento socialmente più adeguate. Un altro effetto secondario generato da forme di intervento politico inadeguato è lo sviluppo pletorico degli apparati statali nel tentativo, vano, di controllare processi che dovrebbero essere gestiti da strumenti e mezzi più adeguati. Il suo sviluppo, inoltre, rende più difficile la conoscenza dei fenomeni economici frapponendosi tra la realtà economica e sociale da una parte e la direzione politica dall’altra. In questo modo si crea uno schermo che riflette i desideri dei politici mentre gli apparati statali promuovono interventi propri in direzione anche opposta agli indirizzi della politica. Gli effetti di oscuramento sono collegabili anche alla piaga dell’economicismo. L’inefficacia dell’intervento politico può indurre alla sua rinuncia, causando il deperimento della proprietà di Stato perché finisce per rimanere dove economicamente produce un intervento effettivo ed efficace della politica sui processi di produzione e riproduzione. Il rischio è che in questo modo diventi una sovrastruttura giuridica a cui corrispondono sempre meno rapporti reali, nello specifico rapporti di produzione capitalistici.
“A livello dell’istanza economica, la possibilità della ricostituzione del modo di produzione capitalista affonda le sue radici […] nella forma (specifica della transizione dal capitalismo al socialismo) della non-corrispondenza tra rapporti di appropriazione reale e rapporti di proprietà, la quale esprime il fatto che i rapporti di appropriazione reale sono trasformati solo parzialmente (giacché la loro trasformazione radicale è legata a quella, altrettanto radicale, dei processi di lavoro e della loro articolazione), mentre i rapporti di produzione sono già stati profondamente ‘rivoluzionati’. Com’è noto, le forze produttive giocano sempre un ruolo determinante in ultima istanza, mentre i rapporti di produzione giocano un ruolo dominante: è la natura di questi rapporti (e, se c’è una pluralità di rapporti di produzione, è la natura dei rapporti di produzione che dominano gli altri), a caratterizzare la direzione della transizione nella quale una determinata formazione sociale è impegnata”5.
La transizione si compie con il sopravanzamento di determinati rapporti di produzione sulle forze produttive che vengono in questo modo trasformate in un processo che vede l’intervento delle altre istanze della formazione sociale su quella economica, ovvero dei livelli politico e ideologico dipendenti dallo stato delle forze produttive e dei rapporti tra le forze sociali e ideologiche. L’esito delle lotte a questo livello determina l’evoluzione delle società di transizione, fino al momento in cui i rapporti di produzione capitalistici risultano determinanti nel ruolo che hanno in detta formazione sociale.
Questo significa che la dittatura del proletariato, nelle sue forme iniziali, consente di creare dei primi elementi dei rapporti di produzione socialisti ma la lotta per il loro sviluppo deve necessariamente procedere con maggiore radicalità per avere una trasformazione socialista dei rapporti di produzione e dei rapporti sociali.