di Giovanni Tanferna
Il libro di Mario Tronti recentemente pubblicato da Deriveapprodi, Scritti su Gramsci, ci fornisce un’importante visione d’insieme non solo sulla lettura trontiana del marxismo di Gramsci, ma anche sulle deduzioni teoriche del giovane Tronti, deduzioni destinate a svilupparsi in tutta la sua produzione filosofica e politica.
Tronti, tra i principali esponenti dell’operaismo italiano, nonché autore del suo manifesto teorico, ovvero Operai e capitale1, aveva pubblicato tra il 1958 e il 1959 due testi, ora raccolti nel volume di Deriveapprodi: Alcune questioni intorno al marxismo di Gramsci e Tra materialismo dialettico e filosofia della prassi. Gramsci e Labriola.
In tali testi, Tronti non si sbilancia eccessivamente su conclusioni nette e radicali intorno alla necessità di rompere con l’impostazione storicistica del marxismo togliattiano, di derivazione gramsciana, rottura che avverrà in tutta la sua radicalità successivamente con Operai e capitale nel 1966, ma presenta comunque alcune interessanti linee di ricerca e di riflessione. Si potrà tentare, nel corso di questo articolo, di delineare quali tra queste linee delineate dal giovane Tronti risultino in continuità con gli sviluppi più importanti del suo pensiero.
È necessario preliminarmente esporre un quadro d’insieme circa la concezione storicistica del marxismo di Gramsci e di Togliatti, per descrivere al meglio il dibattito culturale nel quale Tronti si trovava a scrivere e a formarsi teoricamente nella fine degli anni Cinquanta in Italia.
La lettura data dal segretario del PCI Palmiro Togliatti ai Quaderni del carcere di Gramsci, aveva presentato il pensatore sardo come l’apice della cultura democratica e progressista dell’Italia, nonché come massimo riferimento culturale del PCI2.
In tale lettura, Gramsci avrebbe rappresentato il culmine di una linea culturale e filosofica la quale partiva da Vico, Francesco de Sanctis e Bertrando Spaventa, arrivando a Labriola e a Croce3. Tale lettura storicistica, nella quale il marxismo si accompagnava a una visione progressiva della Storia4, se da un lato costituì una delle colonne portanti per giustificare la politica riformista togliattiana, dall’altro privilegiò la cultura di tipo storiografico e letterario totalmente a scapito di quella scientifica ed economica5.
Le conseguenze per il marxismo dei primi decenni del dopoguerra in Italia furono che, come ben evidenziato dal filosofo marxista Lucio Colletti, opere di Marx quali Il Capitale furono largamente trascurate nella politica culturale del PCI6.
Lo storicismo assoluto di Gramsci veniva così letto come portatore di una missione politica di egemonia sulla vita culturale nazionale, egemonia che sarebbe stata basata su uno stampo nazional-popolare, spesso ostile alle avanguardie sia artistiche che letterarie e vicina a un’idea di umanesimo socialista7.
La generazione di Tronti, tuttavia, conobbe una formazione marxista differente da quella della generazione dei dirigenti del PCI8. Egli, infatti, come molti altri intellettuali marxisti dell’epoca, iniziò a conoscere Marx direttamente dai testi marxiani9, anziché dalla lettura di Labriola e Gramsci.
Fondamentale, inoltre, fu per la formazione di Tronti il pensiero del filosofo Galvano Della Volpe10. Pensatore marxiano antistoricista, fautore di un ritorno a Marx, nonché teorico di una rottura tra Marx e Hegel, Della Volpe sviluppò l’idea di un marxismo inteso come “scienza”, ovvero come “concezione specifica di un oggetto specifico”, lontano dalla lettura umanistica e storicistica di stampo togliattiano11.
È proprio questo differente approccio di Tronti a Marx e al marxismo, ad emergere in questi testi intorno al pensiero di Gramsci.
Tronti inizia la sua analisi del pensiero gramsciano innanzitutto chiarendo come le due principali necessità di Gramsci, fin dai suoi scritti prima del carcere, si possano individuare nella lotta al positivismo e nell’importanza data alla Rivoluzione d’Ottobre12.
Risulta particolarmente interessante proprio il ruolo che, sia Tronti sia precedentemente Gramsci, assegnano alla Rivoluzione d’Ottobre. Questa, infatti, avrebbe smentito definitivamente le tesi, tipiche della Seconda Internazionale, di qualsiasi possibilità di giungere al socialismo in maniera gradualista e meccanicista13.
Ciò che, dunque, la Rivoluzione d’Ottobre avrebbe rivalutato e fatto riemergere sarebbe stato l’elemento soggettivo, il momento creativo del soggetto rivoluzionario, il “lato attivo” per citare il Marx delle Tesi su Feuerbach. Lenin e i bolscevichi, con la loro azione, avrebbero dimostrato che non era possibile alcuna costruzione del socialismo gradualista e che, ancora di più, la costruzione del socialismo non era un destino inscritto nelle cose. Solo l’azione del soggetto rivoluzionario avrebbe determinato quella rottura con lo stato di cose presente, necessaria alla costruzione di una nuova società.
Ora, a partire da tale constatazione, propria di Gramsci, Tronti evidenzia come nelle analisi del pensatore sardo, proprio la corretta rivalutazione dell’elemento soggettivo lo porti a rimanere, sostanzialmente, legato al terreno dell’idealismo e dell’hegelismo.
Sostiene Tronti, infatti, che il pensiero di Gramsci si possa considerare come un pensiero dettato innanzitutto dalla problematica della polemica anti-crociana, dunque della polemica rivolta al neoidealismo di Benedetto Croce14. Gramsci riconosce, sulla scia di Marx, che grande merito dell’idealismo tedesco fu quello di rivalutare il lato creativo e dunque l’elemento soggettivo, di contro al materialismo volgare e all’oggettivismo15. Il marxismo, sostiene Gramsci, ha avuto il merito di “capovolgere” quell’unità dialettica tra spiritualismo e materialismo attuata da Hegel, e che in Hegel assumeva un carattere idealistico, per volgerla in senso materialista, storico e dialettico. A detta del pensatore sardo, compito attuale del marxismo era quello di attuare la stessa operazione compiuta da Marx verso Hegel, nei confronti dell’idealismo di Croce16.
È proprio tale proposito, a detta di Tronti, a configurare Gramsci come un pensatore marcatamente italiano, e dunque non di respiro europeo17, e a costituire al tempo stesso il maggiore limite del suo pensiero18.
Ciò che, infatti, viene a rappresentare secondo Tronti il maggior limite di Gramsci è proprio una mancata rottura con l’idealismo, che finisce per far cadere in conclusioni idealistiche le sue deduzioni teoriche e politiche. Evidenzia Tronti, infatti, che se è vero che l’idealismo ha sviluppato il lato attivo del soggetto di contro al materialismo volgare, è altresì vero che, da un punto di vista marxiano, sarebbe un grave errore considerare l’attività del pensiero come la “sola” attività, di contro a una materia inerte. Inoltre, sarebbe altrettanto un errore, e una conclusione idealistica e non marxista, considerare l’attività del pensiero come “il solo oggetto”, e cioè pensare che il pensiero esaurisca in sé l’oggetto in una unità assoluta, attualistica19.
Tronti, nello sviluppare questa complessa critica a Gramsci, si sofferma su una considerazione intorno al pensiero di Marx che chiama in causa le analisi di Galvano Della Volpe.
Scrive Tronti che nei Quaderni di Gramsci manca una precisa considerazione del giovane Marx, dunque del Marx critico di Hegel (1843), del Marx critico dei “Droits de l’homme” (1844) e dei primi scritti di critica dell’economia politica (innanzitutto i manoscritti del 1844). Tale mancata considerazione si evince dal fatto, a detta di Tronti, che in Gramsci è assente non solo una consapevolezza piena della rottura tra il giovane Marx e la filosofia hegeliana, ma è assente anche una consapevolezza del dover affrontare il problema dello stato borghese, della filosofia classica tedesca e dell’economia politica non come momenti “isolati” del pensiero, ma come aspetti costitutivi della medesima realtà: la società borghese nel suo sviluppo storico concreto20.
In Gramsci, invece, questa consapevolezza di una unità materialistica, nella quale struttura e sovrastruttura non sono elementi separati, ma momenti costitutivi della medesima realtà storica, è assente. Il “pensiero”, dunque, nelle analisi di Gramsci finisce per assumere una sua autonomia rispetto alla struttura, Gramsci non coglie l’unità immanente tra la filosofia e la realtà storica e materiale nella quale essa si sviluppa, e assegna solo al momento della filosofia una reale autonomia.
In questa critica, evidente è l’influenza che Della Volpe ha esercitato sul giovane Tronti. Innanzitutto, nell’importanza data da Tronti al momento della rottura tra il giovane Marx e la filosofia hegeliana, rappresentata innanzitutto dal testo del 1843, pubblicato postumo, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Tale testo, in Italia, fu particolarmente privilegiato e analizzato da Della Volpe21, il quale evidenziò come in Marx non vi fosse un “rovesciamento” della filosofia hegeliana, che avrebbe ricompreso l’aspetto positivo di tale filosofia in chiave materialistica, bensì una vera e propria rottura22. La dialettica marxiana, evidenziò Della Volpe, si configurava come agli antipodi di quella hegeliana: all’apriorismo metafisico di Hegel, Marx sostituì, a giudizio di Della Volpe, la previsione scientifica e il metodo sperimentale, configurando così il marxismo stesso come “scienza”23.
È bene evidenziare questo aspetto dal momento che, nella critica del giovane Tronti a Gramsci, si ritrova la stessa problematica: il marxismo non può soffermarsi unicamente sul momento del pensiero, della filosofia. Esso deve, invece, essere scienza della società borghese e delle sue contraddizioni, e dunque analizzare tutti gli aspetti della società borghese (politica, filosofia ed economia), come elementi costitutivi di questa stessa società.
Il lato attivo, a giudizio di Tronti, non deve essere trattato nel marxismo in senso idealistico, bensì in un duplice senso: da un lato la conoscenza va considerata come un atto concreto, critico-pratico, e dunque non come mero movimento dell’Idea. Dall’altro, il soggetto stesso diventa “parte” dell’oggetto, nella misura in cui esso agisce in senso trasformativo nella realtà24.
È proprio nel cogliere questa unitarietà tra il momento critico-conoscitivo e il momento pratico, che il marxismo diventa “scienza”. Scrive Tronti:
“Scienza-azione dunque come due fasi omogenee ed eterogenee nello stesso tempo. Proprio così: perché in Marx e nel marxismo la scienza si presenta già come scienza attiva, e l’azione si presenta già come azione scientifica. La teoria si presenta come una teoria pratica perché la pratica viene scoperta come una pratica teorica”25.
In Gramsci, invece, Tronti sostiene che vi sia solamente una lettura storicistica dell’Idea hegeliana, ovvero un leggere l’Idea come ideologia immersa in un divenire storico26. Da qui deriverebbe, quindi, l’esigenza gramsciana di elaborare il marxismo come filosofia integrale, e storicismo assoluto, da contrapporre all’ideologia borghese nel suo momento di stampo neoidealista e crociano. Chiaramente, la politica del PCI togliattiano si configurava in questo modo come lotta per la conquista di una egemonia innanzitutto culturale e filosofica, che andava così ad escludere ogni possibilità di rottura politica rivoluzionaria.
Merito di Marx è invece, a detta di Tronti, proprio il non aver concepito la sua filosofia come sistema, dunque come dottrina e filosofia integrale27. Tronti evidenzia proprio come, per il marxismo, il compito non può essere quello di volgere a suo favore il senso comune di una determinata epoca, e far coincidere dunque filosofia e “buon senso”28. Compito del marxismo deve essere, invece, quello di porsi come “scienza”, ed elevare la stessa filosofia al rango di “scienza”29.
Non siamo ancora al momento del Tronti di Operai e capitale, all’elaborazione di quel “sapere operaio” che sarebbe diventato, a suo giudizio, l’unica scienza possibile a servizio della classe operaia e della sua lotta. Tuttavia, possiamo già riscontrare nelle analisi critiche del giovane Tronti la consapevolezza di dover elaborare un sapere critico e pratico al contempo stesso, che possa esser insieme critica filosofica, critica dell’economia politica e scienza per l’azione politica.
Nel rifiutare l’impostazione storicistica del marxismo, e la sua lettura nazional-popolare, Tronti infatti rifiuta proprio quell’elemento di continuità, che si pretendeva assegnare al marxismo rispetto alla cultura filosofica e politica della società borghese, e che finiva per estinguere nel marxismo ogni elemento di radicale rottura.
Soffermandosi, invece, proprio sul carattere di rottura di Marx e del marxismo, Tronti pone in primo piano la questione di uno sviluppo storico che non sia dettato da una linea razionale e progressiva, ma che sia contraddistinto innanzitutto dalla discontinuità.
In conclusione possiamo supporre che non è un caso che Tronti affronti la sua critica a Gramsci innanzitutto partendo dall’esempio storico della Rivoluzione d’Ottobre. Da quella rivoluzione, cioè, che ha elevato l’elemento della rottura rivoluzionaria, dunque della discontinuità, a fattore propulsivo della Storia, contro a ogni determinismo e meccanicismo.
Lenin, nei Quaderni filosofici, rispetto alla logica hegeliana ebbe a scrivere:
“Non si può cominciare la filosofia dall’«Io». Non c’è un «movimento oggettivo»”30.
Se non si può cominciare la filosofia dall’Io, potremmo concludere alla luce della nostra riflessione e alla luce del pensiero di Tronti, non resta che cominciare la filosofia da ciò che è più concreto e materiale nella società borghese, cioè dalla lotta di classe. Ed elevare la filosofia a scienza, scienza della lotta di classe.
- Corradi C., “Forme teoriche del marxismo italiano (1945-79)”, in S. Petrucciani a cura di, Storia del marxismo II. Comunismi e teorie critiche nel secondo novecento (2015), Roma: Carocci; p 35. ↩︎
- Ivi, p. 13. ↩︎
- Ibid. ↩︎
- Ibid. ↩︎
- Ibid. ↩︎
- Gentili D., Italian theory. Dall’operaismo alla biopolitica (2012), Bologna: Il Mulino; p. 24. ↩︎
- Gentili, pp. 22-24; Corradi, p. 13. ↩︎
- Gentili, p. 34. ↩︎
- Ibid. ↩︎
- Gentili, p. 34. ↩︎
- Ivi, p. 31. ↩︎
- Tronti M., Scritti su Gramsci, Bologna: Derivapprodi; p. 57. ↩︎
- Ivi, p. 58. ↩︎
- Ivi, p. 60. ↩︎
- Ivi, p. 59. ↩︎
- Ivi, p. 60. ↩︎
- Ivi, p. 90. ↩︎
- Ivi, p. 60. ↩︎
- Ivi, p. 62. ↩︎
- Ivi, pp. 61-62. ↩︎
- Gentili, p. 30. ↩︎
- Ivi, p. 31. ↩︎
- Ibid. ↩︎
- Tronti, p. 65. ↩︎
- Ivi, p. 69. ↩︎
- Ivi, p. 68. ↩︎
- Ivi, p. 71. ↩︎
- Ibid. ↩︎
- Ibid. ↩︎
- Lenin, Quaderni filosofici (2021), Milano: Pgreco; p. 101. ↩︎