Il dibattito sul concetto di formazione economico-sociale

  1. L’inizio del dibattito

A partire dal libro di Nicola Simoni Tra Marx e Lenin. La discussione sul concetto di formazione economico-sociale proveremo a ricostruire uno dei dibattiti marxisti più importanti avvenuti in Italia sulle pagine della rivista teorica del PCI Critica Marxista. Il prologo della discussione risale al 1966 quando Cesare Luporini pubblicò il saggio Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo. Questo testo verrà ripreso polemicamente da Emilio Sereni per criticare la sua impostazione antistoricistica a partire dal concetto di formazione economico-sociale e verrà oscurato dal suo lavoro successivo Marx secondo Marx. Il primo testo di Luporini si sviluppa a partire dalla considerazione del Capitale come un modello di per sé tutto sincronico che si realizza e costruisce attraverso la progressiva inclusione di tranches storiche. Il risultato è la negazione delle pretese storicistiche e il riconoscimento dell’essenzialità del momento storico per la costituzione dell’impianto sistematico. Per Simoni occorre valutare se una simile tesi non rischia di concedere troppo all’avversario ammettendo alcuni presupposti teorici impliciti nello storicismo come la scissione formalistica di forma logico-sistematica e contenuto storico-empirico. Questa scissione costringe lo sviluppo sistematico a riconoscere l’apporto di un motore a lui eterogeneo perché altrimenti si bloccherebbe visto che il suo stesso contenuto deve essere preso al di fuori di sé. Simoni sostiene che lo sviluppo sistematico concettuale non è privo di movimento ma si sviluppa come approfondimento e diversificazione logico-analitica per fasi. Ogni fase prevede l’assimilazione e il trattamento del contenuto empirico e ciò prelude all’immissione di un diverso contenuto storico-empirico poiché lo sviluppo delle forme deve riprendere e procedere oltre. L’empirico permane come contenuto e non potrà mai essere superato. La storicità si presenta all’indagine sempre nella forma empirica e si tratta della forma di un contenuto che va distinta da essa. Solo attraverso il superamento della forma empirica con la forma del sistema concettuale può essere conosciuta fondando una scienza storica. Si tratta del procedimento seguito da Marx nel Capitale. Infatti Marx prima affronta il suo materiale in forma empirica, cosa che non significa utilizzare solo dati o grafici ma maneggiare materiale già trattato e organizzato in categorie e concetti empirici, per poi portarlo ad una nuova forma. In Luporini la pretesa storicistica è in parte soddisfatta perché l’elemento storico, da intendere come empirico, rimane nella struttura sistematica stessa come elemento storico-genetico. Non viene superato perché è dentro di esso mentre in Marx l’empiricità è alle spalle quando arriva all’esposizione sistematica del Capitale. Pertanto Simoni sostiene che l’attacco allo storicismo di Luporini è debole. Nel testo è anche presente il confronto, centrale in tutto il dibattito, con Che sono gli “amici del popolo” e come lottano contro i socialdemocratici di Lenin. Lo scritto leniniano punta a mostrare l’inconsistenza del soggettivismo in sociologia che si fonda sulla pretesa differenza tra il campo dei fenomeni sociali e dei fenomeni naturali perché nel primo caso si dovrebbe applicare un metodo soggettivo in quanto fenomeni che sfuggono ad un’analisi oggettiva. L’unica soluzione possibile sarebbe l’applicazione di un parametro basato su una ipotetica natura umana con cui misurare il grado di equità o iniquità dell’organizzazione sociale rispetto all’ideale di utilità per tutti i membri della società pensati come portatori di una natura umana che distributivamente li determina. Il risultato per Lenin è una morale puerile che è capace solo di parlare di una inesistente società in generale a cui non serve a niente un concetto scientifico come formazione economico-sociale. Lenin allora vuole dimostrare come in Marx si trovi la confutazione di simili impostazioni. Con questo scopo nota che il pensatore tedesco parla della legge economica del movimento della società come di una legge di natura e in questo modo nega l’eterogeneità tra fenomeni sociali e naturali. Inoltre Marx si trova ad analizzare la legge di sviluppo di una sola formazione economico-sociale, cioè quella capitalistica, discriminando tra tutti i rapporti sociali i rapporti di produzione in quanto rapporti fondamentali che determinano tutti gli altri. Per Lenin una simile operazione discrimina tra fenomeni importanti e fenomeni non importanti tramite un criterio oggettivo, ovvero l’individuazione dei rapporti di produzione come struttura della società e in ciò troviamo la possibilità di applicare a questi rapporti il criterio scientifico generale della reiterabilità. In questo modo Marx entra in contrasto con tutte quelle impostazioni che si limitano ai rapporti sociali ideologici e di conseguenza non hanno la possibilità di notare la reiterabilità e la regolarità dei fenomeni osservati. Quindi i fenomeni sociali importanti sono quelli reiterabili e regolari, ad esempio i rapporti di produzione e i rapporti sociali materiali. La ragione per cui a tali rapporti si può applicare il criterio scientifico della reiterabilità-regolarità risiede nella loro formazione perché essa avviene senza passare attraverso la coscienza degli uomini. La conclusione a cui giunge Lenin è la possibilità di generalizzare i sistemi di diversi paesi in un unico concetto fondamentale chiamato formazione sociale consentendo di individuare ciò che è comune a tutti i paesi capitalistici ma anche discriminare ciò che distingue un paese capitalistico dall’altro. Tutto ciò venne prima annunciato da Marx come ipotesi per poi intraprendere lo studio concreto di una formazione economico-sociale che consentì di analizzare le leggi di funzionamento di questa formazione e la sua evoluzione. Questa analisi è schiacciata sui soli rapporti di produzione e si tratta dello scheletro del Capitale a cui poi Marx aggiunse, secondo Lenin, le sovrastrutture corrispondenti a questi rapporti di produzione, cioè rivestì lo scheletro di carne e sangue. Per Simoni il problema diventa stabilire se, in quale modo e con quali risultati conoscitivi, la metafora di Lenin è capace di tradursi in un concetto scientifico. Infatti a Lenin basta il richiamo alla corrispondenza tra sovrastruttura e rapporti di produzione e non si tratta di una questione irrilevante, dice Simoni, infatti a partire da questa lettura il rivoluzionario russo sostiene che la concezione materialistica della storia in quanto ipotesi trova una conferma nel Capitale e perciò diventa una teoria scientificamente dimostrata. Tutto ciò ritornerà più volte nel dibattito esaminato ma ora possiamo riprendere, con Simoni, ad analizzare la posizione di Luporini in Realtà e storicità. Il testo di Lenin viene apprezzato per l’indicazione secondo cui l’isolamento dei rapporti di produzione consente, grazie ai già ricordati caratteri di reiterabilità e regolarità, di realizzare un’analisi non soggettivistica delle dinamiche della società ma il filosofo italiano avverte una forzatura nella rigida contrapposizione tra rapporti di produzione e rapporti ideologici e sostiene che la questione andrebbe approfondita alla luce degli avanzamenti scientifici delle teorie psicoanalitiche. Quando Lenin, invece, parla dei rapporti che si formano senza passare per la coscienza degli uomini Luporini traduce questa formulazione con i rapporti intersoggettivi. Per Simoni entrambi stanno evitando di dichiarare un problema: se possiamo cogliere l’oggettività dei rapporti di produzione nonostante siano rapporti tra esseri umani perché non possiamo fare un’operazione simile con i rapporti ideologici? Ovvero, specifica Simoni, non possiamo pensare ad una loro strutturazione oggettiva indipendente dalla coscienza di chi è coinvolto in essi? Luporini non solleva la questione ma potrebbe essere un tema fondamentale se l’obiettivo è costruire un concetto di formazione economico-sociale che dia conto di tutto l’accadere sociale. Il filosofo italiano ha preferito attaccare le letture storicistiche di Marx e Lenin non trovando soddisfacente la confutazione di quest’ultimo rispetto alle posizioni soggettivistiche perché non sarebbe in grado di impedire le ricadute in quelle forme di soggettivismo ben rappresentate dallo storicismo marxista. Per evitare questi rischi Luporini riprende l’introduzione del 1857 dei Grundrisse dove si afferma come in tutte le forme di società esiste una specifica produzione che determina il rango e l’influenza di tutte le altre e i suoi rapporti fanno lo stesso con tutti gli altri. Criteri come regolarità e reiterabilità non bastano, serve l’oggettività-necessità del criterio della loro scelta ed elaborazione o non si riesce a superare l’elemento di arbitrio. Non basta, dice Luporini, contrapporre essenziale ed inessenziale nella scelta dei caratteri empirici che dobbiamo includere nei modelli teorici se non conosciamo il criterio per determinare il cosiddetto essenziale. Solo a partire dall’individuazione della produzione determinate sarà possibile svolgere un’analisi con le categorie di essenziale e non essenziale e organizzare il materiale storico-empirico in modo oggettivo e scientificamente corretto per poter costruire il modello teorico della formazione economico-sociale borghese. Nel numero 4 di Critica Marxista del 1970 Emilio Sereni, con il testo Da Marx a Lenin: la categoria di “formazione economico-sociale”, avvia effettivamente il dibattito. La posta in gioco erano i problemi del passaggio ad una nuova formazione economico-sociale, cioè il socialismo, dentro un dibattito che ha finito per negare l’esistenza di questa formazione economico-sociale in paesi come URSS o Jugoslavia. Occorre, quindi, elaborare una teoria per affrontare questi problemi che non scada nella astratta staticità di modelli meccanici e sia in grado di calarsi nella concreta e dinamica realtà del processo storico. Simoni sostiene che mentre Sereni mostra la posta in gioco politica della discussione confonde le questioni da trattare e, in maniera arbitraria ne pregiudica la soluzione per motivazioni puramente politiche. La corretta definizione di una formazione economico-sociale socialista diventa una falsa questione di chi propone solo astratta staticità di modelli meccanici. La realtà di questa formazione economico-sociale diventa ovvia appena ci si cala nel concreto della dinamica storica. Inoltre Sereni presenta un’idea di rivoluzione come passaggio scontato da una formazione economico-sociale ad un’altra. Bisogna ricordare che per Marx e Lenin questo passaggio si realizza unicamente con l’instaurazione di un nuovo modo di produzione. La rivoluzione proletaria è un presupposto affinché si possa iniziare a demolire il modo di produzione dominante borghese con l’affiancamento di un modo di produzione socialista che progressivamente dovrà prevalere. Sereni affronta questi temi sostenendo che con Marx ci troviamo di fronte ad una concezione del divenire sociale dinamica e alla luce di ciò dobbiamo intendere il quadro e il senso della sua elaborazione del concetto di formazione economico-sociale. Tutto il discorso si regge sulla contrapposizione tra statico e dinamico che mette alla prova analizzando la teoria di Marx per ricavare la nozione di formazione economico-sociale. Sereni sostiene che il concetto è espresso da Marx prima in termini statici, usando la parola “forma” nell’Ideologia tedesca, per poi passare al termine dinamico “formazione” nei Grundrisse. Nel fare ciò si richiama alle formazioni geologiche per sottolineare il carattere dinamico della nozione che impedisce di generare in entrambi i casi demarcazioni con linee di divisione astrattamente rigorose. Al loro posto ci sono formazioni e fasi di transizione. Per Sereni l’occasione diventa ghiotta per attaccare le posizioni di Althusser e la sua scuola affermando che la sua idea era quella di Marx, Lenin e Gramsci e, di conseguenza, come possono avere ragione i primi? Il concetto di formazione economico-sociale, dopo l’oblio imposto dalla Seconda Internazionale, torna ad essere la categoria centrale del materialismo storico grazie a Lenin che la sviluppa ulteriormente estendendola all’unità di tutte le sfere, strutturali e sovrastrutturali, della vita sociale senza limitarla, come fa Althusser, al complesso dei rapporti di produzione e alla struttura economica di base di una determinata società. A questo punto Sereni può affermare che la nozione di formazione economico-sociale si colloca sul piano della storia, il piano della totalità e dell’unità di tutte le sfere della vita sociale, nella continuità e contemporaneamente nella discontinuità del suo sviluppo storico. Questo risultato deriva dalle formulazioni teoriche di Engels, Labriola e Lenin. Engels sosteneva che i rapporti tra struttura e sovrastruttura non fossero riducibili a quelli di causa ed effetto e andassero ricondotti alla categoria di azione reciproca mentre in Lenin e in Labriola, dice Sereni, si afferma per la prima volta esplicitamente la nozione dell’unità e della totalità del processo storico. Da quest’ultimo riprende l’idea della formazione economico-sociale come stadio morfologico nel flusso di un processo che diventa una definizione scientifica della categoria. La previsione morfologica di Labriola, fondata sulla reiterabilità dei rapporti e sulla loro regolarità e subordinazione a leggi determinate e la formazione economico-sociale intesa come stadio morfologico nel flusso di un processo per Sereni fondano scientificamente l’unità dialettica fra continuità e discontinuità del tempo storico e il criterio leniniano di periodizzazione storiografica che esprime la concreta realtà di questa unità dialettica. A questo punto l’autore può definire gli elementi costitutivi essenziali del modello teorico di una formazione economico-sociale qualsiasi. Nel testo in esame sostiene che la trattazione scientifica di qualsiasi formazione economico-sociale non potrà mai essere solo sistematico-strutturale ma deve contenere anche un elemento genetico, ovvero storico. Allo stesso tempo una simile analisi non potrà essere solo storica perché deve essere fondata sul metodo logico, strutturale e sistematico per avere carattere scientifico e non diventare una banale elencazione di fatti e dati storici. Di conseguenza Sereni sostiene che si imporrà in tutte le scienze sociali che studiano aspetti particolari della vita sociale il metodo strutturale-genetico. Quando si analizza la società nel suo complesso, invece, si porranno due alternative per elaborare un modello di tali formazioni: un modello strutturale-genetico, di tipo sociologico, e uno genetico-strutturale, di tipo storico. Non sono propriamente modelli ma aspetti diversi di due diversi usi di un modello teorico unico ma posti in un diverso ordine gerarchico a secondo del livello e del tipo di astrazione scientifica che l’indagine sociologica e storica comportano. Sul piano sociologico-sociale un modello di formazione economico-sociale farà emergere il modo di produzione dominante e anche i fenomeni sovrastrutturali. Sul piano storico, invece, si sottolineerà la genesi, lo sviluppo e il decadimento del modello di formazione economico-sociale arricchito di elementi storici, sociali, culturali e geografici. 

2. I contributi francesi

Al dibattito sulle pagine di Critica Marxista che seguì il testo di Sereni parteciparono molti marxisti francese il primo dei quali fu Dhoquois con L’articolazione dei concetti che rileva nelle formulazioni del comunista italiano una non risoluzione del problema di fondo. Per il francese la formazione economico-sociale resta uno pseudo-concetto perché non viene articolato sul concetto di modo di produzione, vero cuore del materialismo storico. Per Simoni l’aspetto interessante dell’intervento di Dhoquois è la problematizzazione dell’uso del termine modello per indicare il sistema dei concetti di Marx attraverso due soluzioni antagonistiche. La prima è la trasformazione del modo di produzione in una forma pura, astratta, in un modello insomma. Il concetto di formazione economico-sociale esprimerebbe la complessità e la diversità del concreto storico. In questo modo si contrappone modello e caso finendo in un’opposizione di principio tra storia e teoria. Strutturale e storico non possono contrapporsi perché le categorie del pensiero dialettico sono strutturali-genetiche e le due parti in questione non sono separabili e non possono essere pensate separatamente. La seconda soluzione sarebbe l’assunzione del concetto di modo di produzione in quanto astrazione reale, come una struttura presente nella realtà che l’analisi scientifica mette in luce nel tipo generale del modo di produzione studiato. Per Simoni Dhoquois ci avverte del rischio di letture gnoseologiche di Marx che si basano sulla contrapposizione astratta tra un modello teorico e un reale racchiuso nel concreto storico e riportato al dato empirico. Dhoquois ci invita a riconoscere, come soluzione, la valenza ontologica dei concetti impiegati da Marx. Segue nel dibattito l’intervento di Jacques Texier attraverso il saggio Désaccords sur la définition des concept in cui si dichiara d’accordo con Sereni quando invita a non confondere formazione economico-sociale e modo di produzione perché nella stessa formazione economico-sociale coesistono più modi di produzione ma, diversamente dall’italiano, pensa sia corretto definire il concetto come l’insieme dei rapporti di produzione o la struttura economica di base della società in un’epoca determinata e afferma ciò sulla base di un testo di Marx citato proprio da Sereni. Si tratta dell’Introduzione a Per la critica dell’economia politica dove afferma che in tutte le forme di società c’è una determinata produzione che determina il rango e l’influenza di tutte le altre e i cui rapporti di produzione determinano il rango e l’influenza di tutti gli altri. Quindi per Texier una formazione economica comporta sempre la coesistenza di diversi modi di produzione ma ne troviamo sempre uno che domina o diventa dominante. La difficoltà risiede nel forgiare gli strumenti concettuali adeguati per pensare la dominanza di un modo di produzione sugli altri e l’articolazione di infrastruttura e sovrastruttura. La soluzione di Texier è utilizzare tre diversi concetti: modo di produzione, formazione economica della società, ovvero l’articolazione dei diversi modi di produzione, e formazione sociale che articola le diverse istanze sulla base dei rapporti di produzione. Infine a Texier non convince la distinzione tra forma e formazione come un passaggio da statico a dinamico perché vi riscontra un problema di rapporti tra storia e struttura, cioè tra le leggi del funzionamento e le leggi di sviluppo di una formazione economica. Marx, dice Texier, non era uno storicista, cioè non tentava di spiegare il divenire della società senza cogliere le leggi strutturali dei suoi diversi stati. L’intervento nel dibattito di Herzog, invece, ha carattere più economico e nasce dallo studio della fase dell’imperialismo legata al capitalismo monopolistico di Stato che porta ad interrogarsi su concetti come modo di produzione e formazione economico-sociale. Da questo punto di vista nasce la necessità di criticare l’interpretazione di Sereni del Capitale che Herzog ritiene addirittura strutturale perché isola un momento statico per poi dichiararlo insufficiente. Contrariamente a ciò, nel Capitale non c’è un’analisi di una struttura pura ma sempre l’analisi di un processo, ovvero di una serie di rapporti compresi nell’ambito, allo stesso tempo, di un rinnovamento e movimento. Non esiste nel Capitale una separazione tra le analisi della riproduzione in senso stretto e del movimento perché sono momenti sempre congiunti. Un concetto come valore è sin dall’inizio un concetto legato ad un processo come quelli sviluppati in seguito e non possono essere intesi come concetti di struttura. Concetti e leggi del processo d’insieme della produzione capitalistica non si richiamano al funzionamento della struttura ma costituiscono una comprensione complessiva del movimento della riproduzione. Tutto ciò serve come avvertenza contro ogni infiltrazione di categorie interpretative strutturaliste e si collega al rischio di vedere le formazione sociali specifiche come illustrazioni, sfumature e contro-esempi di uno schema tipico. Herzog vede questo problema nell’articolo di Sereni secondo cui sotto l’aspetto storico un modello di formazione economico-sociale, basandosi sulla caratterizzazione di un modo di produzione dominante, pone in rilievo la sua genesi, il suo sviluppo e il suo decadimento calando i corrispettivi rapporti sociali e fenomeni sovrastrutturali nelle specifiche e concrete condizioni geografiche, storico-sociali e culturali arricchendo gli elementi alla base del modello stesso. Questo procedimento per Herzog non sviluppa un concetto ma si limita alla sua illustrazione. Rimane in piedi la scissione tra concreto e struttura-modello che per l’autore francese deve essere sostituita con un’analisi dialettica della relazione tra teoria e pratica. La dicotomia statico/dinamico corrisponde ed è reciprocamente funzionale a quella tra concreto/struttura-modello. L’idea di dinamico è legata a quella di concreto e si può intendere in altro modo utilizzando il termine storico-empirico. Quella di statico, invece, rimanda all’idea di struttura-modello e la possiamo definire come logico-sistematico. Possiamo concludere che per Herzog le analisi di Sereni sono viziate da un errore interpretativo che accompagna tutta la sua argomentazione perché il comunista italiano non riesce a riconoscere il reale svolgimento della teoria marxiana che non instaura mai la dicotomia statico-dinamico nel suo procedere e così permette la realizzazione di un rapporto tra acquisizione del dato empirico ed esposizione logico-sistematica come momenti dell’elaborazione complessiva. In seguito viene richiamato anche lo sviluppo del rapporto di produzione a livello dell’insieme della società perché esso non è solo un tipo, concreto, di unità rappresentata dal rapporto capitale-lavoro o dal ciclo di accumulazione del capitale. Questo sviluppo è anche un rinnovamento delle specificità. Dimenticare ciò porta a caratterizzare il modo di produzione come essenza e le formazioni sociali come fenomeni. Se il modo di produzione capitalistico è l’unità delle formazioni sociali, la diversità del suo contenuto o del suo movimento e, più in generale, delle formazioni sociali, deve essere pensata teoricamente oppure perde forza lo stesso concetto di modo di produzione che diventerebbe un tipo ideale mentre è il processo di rinnovamento e trasformazione di realtà concrete. Il modo di produzione capitalistico è messo in relazione con le formazioni sociali capitalistiche. Quello che deve essere pensato teoricamente non è la formazione sociale capitalistica ma la diversità delle formazioni sociali per andare nella direzione di una comprensione teorica delle relazioni tra le diverse formazioni sociali storicamente presenti che quindi restano enti empiricamente determinati. L’ultimo intervento analizzato è di Labica, il quale opta per utilizzare il termine formazione economica della società perché riesce a mantenere meglio il carattere unitario dell’espressione originale grazie alla sottolineatura dell’aspetto economico mentre la formula formazione economico-sociale rischia di focalizzare l’attenzione sulla distinzione tra sociale ed economico in quanto termini che fanno rispettivamente riferimento ai rapporti sociali, soprattutto la lotta di classe, e ai rapporti di produzione e allo stato delle forze produttive. Si rischia di porre tra i due concetti una sfaldatura mentre l’espressione che utilizza Labica garantisce l’unitarietà con il termine economico. Esso agisce in riferimento al termine formazione in quanto sua condizione sia come processo che come forma. A partire da questo riposizionamento dell’economico e della sua centralità esplicativa Labica può affrontare la distinzione tra modo di produzione e formazione economica della società. In questa discussione lui rileva due tendenze, una la chiama lettura riduttiva e l’altra lettura inflazionistica. Nel primo caso si tratta di un’impostazione che privilegia il concetto di modo di produzione rispetto a quello di formazione economica della società, sviluppando una polemica che utilizza qualifiche come come meccanicismo, positivismo e strutturalismo, mentre la seconda utilizza termini come storicismo e umanesimo. La prima lettura rischia di ridurre il concetto di formazione economica della società al rango di un concetto empirico mentre nella seconda lettura, nel nome della dialettica, della prassi o della storicità, si sottovaluta la determinazione strutturale economica. Il rapporto tra i due concetti va posto diversamente a partire dall’idea secondo cui il concetto di formazione economica della società non può essere pensato senza il concetto di modo di produzione ma non si può ridurre ad esso perché la sua funzione teorica è produrre in una data formazione sociale le condizioni infrastrutturali senza le quali non si dà l’intelligibilità di questa formazione come insieme di istanze articolate. Per Labica, infatti, Marx procede a riconoscere e circoscrivere il campo della formazione economica della società nella sua intera estensione arrivando al concetto di modo di produzione come definito nel Capitale. Lenin, invece, parte da questa definizione del modo di produzione e compie l’operazione inversa sperimentando la funzione teorica dentro una formazione economica della società determinata, cioè la Russia. Il suo libro Lo sviluppo del capitalismo in Russia è la messa in opera dei concetti di Marx in un dominio specifico attraverso il passaggio del concetto di modo di produzione come matrice concettuale della formazione economica della società borghese ad una delle sue espressione storiche: la formazione economica della società russa. Per quanto riguarda il rapporto tra modo di produzione e formazione economica della società, quindi, possiamo dire che il modo di produzione è l’essenza, cioè la ragione, del concetto di formazione economica della società, la quale a sua volta si riferisce a determinate società. Labica sostiene che dobbiamo liberare il concetto di formazione economica della società dall’accusa di essere un concetto empirico assumendolo come principio esplicativo delle forme di compenetrazione di tipi economici differenti in una determinata struttura sociale. Stiamo parlando delle articolazioni delle dominanze nell’infrastruttura di una formazione sociale. Questo permette di arrivare ad un secondo elemento di risposta al problema della collocazione reciproca dei concetti di modo di produzione e formazione economica della società. In primo luogo il modo di produzione va trattato come teoria generale della struttura sociale mentre la formazione economico-sociale è la teoria della particolarità di una struttura sociale. La formazione economica della società combina elementi provenienti da uno stesso modo di produzione con altri elementi da diversi modi di produzione. Il rapporto tra questi due concetti è come il rapporto tra il tipo ideale e il tipo particolare. Per Labica nell’analisi di Sereni si tende a privilegiare il legame tra formazione economica della società e sovrastruttura, senza dare la giusta importanza al particolare economico.

3. Il problema della teoria della transizione

La terza parte del libro di Simoni si occupa degli interventi nel dibattito funzionali allo sviluppo di una teoria della transizione e prendono il via con il saggio di Glucksmann Economia e formazione sociale apparso in Critica Marxista numero 4 di luglio-agosto 1971. Per Glucksmann il testo di Sereni ha il merito di rivalutare la categoria di formazione economico-sociale come categoria teorica, non empirica, fondamentale per il materialismo storico. Questa scelta riesce a precisare l’oggetto della scienza storica, ovvero l’unità della totalità sociale nel proprio funzionamento e processo, e orienta l’analisi su un problema essenziale come quello delle formazioni sociali in transizione o delle fasi di transizione di una formazione sociale. Solo la risoluzione di questo problema consentirà di dire se il socialismo è una formazione economico-sociale autonoma o una lunga transizione dal capitalismo al comunismo. Glucksmann procede a mettere a confronto Althusser con Sereni per chiarire i diversi livelli di astrazione teorica e i diversi livelli di analisi nel materialismo storico. I concetti teorici sono legati agli oggetti formali astratti, come il modo di produzione, mentre i concetti empirici vanno associati alle determinazioni dell’esistenza degli oggetti concreti. Una simile distinzione consente di differenziare la nozione di modo di produzione e quella di formazione economico-sociale. Tuttavia, se la storia può avere come oggetto solo delle formazioni economico-sociali concrete è meglio pensare alla nozione di formazione economico-sociale partendo dalla teoria dei modi di produzione. Althusser per questo definisce la formazione economico-sociale come una combinazione concreta di modi di produzione gerarchizzati in una formazione sociale. Se invece privilegiamo il carattere sintetico del concetto di formazione economico-sociale, come fa Sereni, tendiamo a ristabilire l’unicità del tempo storico. Sereni, giustamente, rifiuta il dualismo tra concetto teorico ed empirico ma per Glucksmann il rapporto tra formazione storica e modo di produzione è poco precisato. Un altro problema che sorge riguarda Lenin. Nel suo pensiero il concetto di formazione economico-sociale assume la forma di una teoria della transizione e in questa dimensione vanno ricondotti sia il ruolo dello Stato che il divenire della totalità-unità storica. A questo punto riprende il confronto tra Sereni e Althusser tramite Glucksmann in cui emerge la sua terza via. Per l’autrice non è possibile evitare la questione della dialettica delle sfere e affrontare la transizione senza parlare anche della questione degli scarti e delle corrispondenze tra economico, politico e ideologico. Althusser ha affrontato il problema partendo dalla determinazione della totalità sociale come totalità complessa e strutturata in istanze per distinguere, così, la storicità a ritmo differenziale. In questo modo ha visto nella pratica politica di Lenin nelle situazioni di crisi un modo per comprendere e mettere in atto la dialettica materialistica, ovvero l’unità di rottura, fusione e surdeterminazione. La soluzione di Sereni, invece, elude problemi chiave come lo Stato di transizione, nella transizione e i suoi rapporti con i processi economici. A partire da ciò vengono formulate due ipotesi. La prima afferma che in Lenin la nozione di formazione economico-sociale si può analizzare solo partendo da quella di modo di produzione. La seconda sostiene che ciò permette di proporre una tipologia delle contraddizioni ad una data fase storica, una relazione dialettica che comporta scarti senza ridurre la totalità storica ad un pluralismo strutturale. Quindi la soluzione di Glucksmann è pensare il concetto di formazione economico-sociale partendo dal modo di produzione dominante e quindi dalla gerarchia dei modi di produzione. In questo modo si può affrontare, dal punto di vista teorico e politico, il problema della transizione. Il banco di prova di questa formulazione è l’analisi della spiegazione leninista della ritirata della NEP. Per giustificare questa scelta Lenin fa riferimento al tema della formazione economico-sociale russa come unità complessa che contiene economia patriarcale, piccola azienda mercantile, economia socialista, capitalismo di Stato e socialismo. Bucharin accusava Lenin di tradimento del socialismo per aver posto il tema del ruolo del capitalismo di Stato nella transizione ma per il rivoluzionario russo esso è un passo avanti sul piano economico, una tappa intermedia che consente di orientare sulla via del capitalismo di Stato lo sviluppo del capitalismo e così è possibile stabilire le condizioni necessarie per procedere con la sua trasformazione in socialismo. L’autrice conclude che la nozione di formazione economico-sociale fa sorgere meno la questione della totalità-unità storica di quanto non ponga quella delle componenti di una formazione economico-sociale in cui sono combinate forme economiche e sociali diversificate e forze sociali in lotta. Qualora si tenti di elaborare un modello storico, si tratterà di un modello della transizione. Secondariamente, la questione della totalità storica non può essere ignorata perché se non vogliamo porre il problema partendo dalla totalità complessa strutturata in istanze, allora bisogna mostrare come, in una fase di transizione in cui tutte le contraddizioni si acutizzano, esse si articolano e differenziano per far intervenire nella differenza la legge dell’ineguale sviluppo. Infine per Glucksmann il tema dell’autonomia della formazione socialista, inteso come distinto modo di produzione, rischia di eludere la questione dell’articolazione dialettica del socialismo e del comunismo che comprende il tema della democrazia politica e del deperimento dello Stato. Nel dibattito interviene anche Gerratana per il quale l’oggetto del concetto di formazione economico-sociale è di tipo storico ma astratto. In questo suo duplice aspetto non ha un’esistenza reale indipendente dalla molteplicità di oggetti empirici, cioè le particolari società concrete, dove si realizza la sua determinatezza ed esiste, di conseguenza, concretamente solo in quella molteplicità. Essendo una determinazione storica è un oggetto reale ma in quanto determinazione astratta non è un oggetto determinato empiricamente. Per Gerratana nessun determinato oggetto empirico, nessuna particolare società concreta è in grado di condurre al concetto di formazione economico-sociale e non può neanche fornire il modello di una determinata formazione sociale perché la forma di una società concreta è sempre un tutto non reiterabile nella sua peculiarità. Questo tutto deve essere spogliato della sua specifica peculiarità per consentire di ritrovare in esso i processi reiterabili che derivano dalle leggi del movimento di una formazione sociale. Contemporaneamente l’individuazione dei processi reiterabili di una formazione economico-sociale consente di cogliere il rapporto tra lo sviluppo della formazione e gli elementi di quel tutto che determinano la peculiarità delle forme empiriche delle diverse società concrete. Per chiarire meglio il concetto viene preso come punto di partenza l’oggetto di studio del Capitale, ovvero il modo di produzione capitalistico in quanto proprio della formazione sociale borghese. Siamo davanti ad un oggetto storico che non esiste allo stato puro e nella realtà di un singolo paese ma solo in uno stato più o meno impuro nei diversi paesi con i loro gradi di sviluppo. L’Inghilterra nel Capitale di Marx, infatti, serve solo a mostrare lo svolgimento della teoria marxiana ma non coincide con il suo oggetto perché lo scopo non è descrivere in una determinata formazione sociale il modo storico di produzione che le corrisponde bensì scoprire le leggi tendenziali dietro lo sviluppo di questo modo storico. La forma di società di ogni paese capitalistico è solo un momento dello sviluppo della formazione sociale borghese. Non ha leggi proprie specifiche ma è soggetta alle leggi generali del modo di produzione capitalistico. Le forme specifiche in cui tali leggi o tendenze operano sono escluse dall’analisi della formazione economico-sociale. Siamo davanti ad un’astrazione storica funzionale ad indagare gli aspetti empirici di una realtà concreta. Allora, dice Gerratana, si può capire anche come lavora Lenin in Lo sviluppo del capitalismo in Russia. In questo caso non siamo davanti ad un oggetto storico-astratto come nel Capitale ma ad un oggetto storico-concreto. Quindi non stiamo analizzando la formazione sociale capitalistica ma una forma concreta tramite la quale una simile formazione si fa strada in Russia. Perdere questa distinzione porta alla dissoluzione del concetto di formazione economico-sociale in quello generico di sistema sociale che si può applicare a qualsiasi forma di società. Questa strada permette di definire la formazione economico-sociale come una combinazione di diversi modi di produzione e come una formazione di transizione da un modo di produzione ad un altro. Solo dentro una corretta articolazione tra modo di produzione e formazione economico-sociale possiamo indagare le leggi economiche che consentono di analizzare il modo e le forme diverse con cui si impongono nelle particolari società concrete, la loro efficacia, le resistenze che incontrano, le combinazioni transitorie che creano e le condizioni che possono accelerare o rallentare il processo immanente alla loro dinamica. A questo livello si pongono i problemi della transizione. Per Gerratana è fuorviante parlare di formazioni sociali di transizione perché non è possibile svolgere su di esse lo stesso lavoro effettuato da Marx sul modo di produzione capitalistico perché presuppone che il modo di produzione di queste società sia un sistema organico di rapporti sociali come quello di qualsiasi altra formazione sociale con le proprie leggi di sviluppo. Questo processo di autonomizzazione delle situazioni di transizione rischia di cristallizzare le forme più instabili rendendole modelli e tappe obbligate di un percorso prestabilito mentre Lenin, proprio perché esclude l’esistenza di una formazione sociale di transizione, parla di infinita varietà di forme proprie di un’epoca di transizione e riconosce la possibilità che la vita crei combinazioni tra sistemi economici opposti nei loro tratti fondamentali. Questa combinazione non dà luogo a uno specifico modo di produzione che si sviluppa seguendo una propria logica e non è neanche una sintesi tra diversi modi di produzione che coesistono in maniera pacifica. Per questo motivo Lenin non elabora una teoria generale della transizione ma, senza modificare il quadro teorico della transizione dal capitalismo al comunismo, avvia una ricerca di una strategia della transizione adatta alle particolari condizioni di una specifica società concreta in una determinata fase del suo sviluppo.

L’ultimo intervento riportato da Simoni è quello di Gianfranco La Grassa con il suo saggio, contenuto in Critica Marxista n.4 del 1972, dal titolo Modo di produzione, rapporti di produzione e formazione economico-sociale che ha come scopo definire la nozione di formazione economico-sociale. Prima di lavorare in tal senso, l’autore fornisce una definizione del concetto di modo di produzione a partire da Marx. Per La Grassa nel modo di produzione è possibile rintracciare fusi due elementi, uno di carattere prevalentemente tecnico e l’altro di carattere squisitamente sociale. Stiamo parlando delle forze produttive, del loro livello e del loro ritmo di sviluppo, e dei rapporti sociali di produzione. Il modo di produzione è il campo comprensivo di questi due elementi che si integrano profondamente, si attraggono l’un l’altro finendo per realizzare un’unità complessa e internamente differenziata. Quindi possiamo dire che le forze produttive rappresentano il contenuto mentre i rapporti di produzione la forma di questa sintesi. Davanti ad una società stabilizzata, ovvero di forme sociali tra loro integrate sia al livello di base economica che di sovrastruttura, è facile individuare il referente reale del concetto di modo di produzione. Il modo di produzione è un dato insieme di metodi tecnici e organizzativi impiegati nel processo produttivo e allo stesso tempo un ben definito sistema di strutturazione in classi della società. Questo ci porta a dire che nella società borghese, nel momento in cui il modo di produzione capitalistico è stabilmente affermato, le forze produttive e le modalità con cui si sviluppano sono in linea con i rapporti di produzione e con le relazioni tra le classi. Tutte queste riflessioni vanno problematizzate nei momenti di passaggio tra il dominio di un modo di produzione e la dominanza di un altro modo di produzione. Infatti la connotazione reale di un modo di produzione in una simile situazione diventa molto incerta e di conseguenza ci troviamo di fronte ad una sfasatura, ad un non coordinamento tra forze produttive e rapporti di produzione. La Grassa fornisce un esempio di ciò quando parla del primo passo compiuto sulla via della transizione dal modo di produzione feudale a quello capitalistico con l’affermazione di nuovi rapporti di produzione capitalistici. Questi rapporti esistevano già agli inizi della manifattura, quando ancora non si distinguevano dall’artigianato se non per il numero degli operai impiegati. Perciò il capitale in quanto rapporto storico e particolare rapporto di produzione tra non lavoratori-proprietari dei mezzi di produzione, inizialmente proprietari degli oggetti di lavoro e capitale monetario e in un secondo momento anche degli strumenti di produzione, e lavoratori-non proprietari ha preceduto la trasformazione tecnica. I capitalisti potevano comprare sul mercato la forza lavoro con le sue particolari abilità tecniche e abitudini lavorative da questa contratte con l’esercizio dell’industria artigiana mentre la tecnologia impiegata non poteva che essere quella collegata a quel tipo particolare di industria. Successivamente, grazie all’opera di dissolvimento delle vecchie forme sociali provocata dai nuovi rapporti di produzione, anche il modo di sviluppo delle forze produttive venne modificato e si adattò ai nuovi bisogni della produzione nati a seguito dell’affermazione dei nuovi rapporti di produzione. Queste conclusioni, sostiene Nicola Simoni, potrebbero sembrare in contrasto con alcune note riflessioni di Marx contenute in Per la critica dell’economia politica:

“A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”.

La Grassa cita questo passo nel suo saggio e dice che ad un primo sguardo sembra come se Marx stesse sostenendo l’idea delle forze produttive come elemento più mobile e dinamico del sistema economico-sociale. I rapporti di produzione sembra che debbano modificarsi per meglio adattarsi al nuovo livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive. Per La Grassa questa affermazione entra in contrasto con tutto ciò che Marx ha sostenuto durante la sua analisi della sottomissione prima formale e poi reale del lavoro al capitale. Quali conseguenze ne trae l’economista veneto? Sicuramente i rapporti di produzione anticipano la completa trasformazione del modo di produzione ma solamente la modificazione delle forme organizzative e tecniche del processo produttivo, cioè elementi come divisione del lavoro non solo sociale, ma anche tecnica al livello dell’unità produttiva e del sistema delle macchine, rende stabile ed irreversibile il nuovo modo di produzione e in questo modo riesce a garantire la sua evoluzione lungo le direttrici indicate dalla sua nuova strutturazione in classi. I rapporti di produzione, che in un certo senso avevano anticipato e guidato la trasformazione, finiscono per assumere un nuovo significato e nuovi contenuti a trasformazione compiuta. Per La Grassa i rapporti di produzione sono l’elemento mediano tra la spinta iniziale delle forze produttive e la loro successiva rifondazione necessaria per garantire la temporanea stabilità e l’irreversibilità della trasformazione dal vecchio al nuovo modo di produzione. A questo punto della riflessione La Grassa, utilizzando il testo di Lenin Che cosa sono gli “amici del popolo”, affronta il concetto di formazione economico-sociale a partire dalla sua connotazione strutturale, esattamente come il modo di produzione. Ne consegue l’esclusione dell’idea che il primo termine rappresenta la società nel suo complesso mentre il secondo sia associato al suo scheletro. Lenin ci ricorda come Marx non si è mai limitato a studiare lo scheletro, cioè la base economica, della società ma sostiene che sia stato il primo a portare la sociologia su un terreno scientifico elaborando il concetto di formazione economico-sociale come complesso di determinati rapporti di produzione e stabilendo che lo sviluppo di queste formazioni è un processo storico naturale. Quindi per Lenin il concetto di formazione economico-sociale non rappresenta l’intera società ma la struttura della società, l’insieme dei rapporti di produzione. Sembra che il termine formazione economico-sociale descriva la stessa realtà indicata dal concetto di modo di produzione. In entrambi i casi si tratterebbe della struttura di un certo tipo di società. Questa difficoltà viene superata da La Grassa utilizzando il termine formazione economico-sociale per riferirsi ad un complesso insieme di modi di produzione articolati tra loro in modo tale che ve ne sia uno dominante mentre gli altri sono subordinati. Bisogna però ricordare che il rapporto di produzione del modo di produzione dominante finisce per conformare a sé anche i rapporti di produzione delle forme economico-sociali subordinate pur nella varietà delle forme organizzative e tecniche del processo produttivo e pur nella permanenza di una relativa specificità delle forme sociali che a queste ultime corrispondono. Siamo davanti a due diversi casi. Nel primo esiste la presenza di un vero e proprio modo di produzione dominante, la cui strutturazione, ovvero la forma dei rapporti di produzione e lo sviluppo delle forze produttive, spiega i meccanismi di movimento e lo sviluppo della società in questione. La conformazione strutturale della società è formata anche da altre forme economiche e sociali subordinate a cui non possiamo attribuire il carattere di veri e propri modi di produzione diversi da quello dominante. Questo perché nei settori subordinati della base economica della società i rapporti di produzione sono plasmati e assimilati dai rapporti di produzione del modo di produzione dominante. Nel secondo caso, quando siamo in presenza di una situazione di transizione da un modo di produzione all’altro e, di conseguenza, da una formazione economico-sociale all’altra o in altri termini dalla dominanza di un modo di produzione alla dominanza di un altro, la particolare formazione economico-sociale di transizione deve essere vista come una articolazione di modi di produzione diversi. Uno di questi modi di produzione, a partire da un certo momento, manifesta chiaramente la sua dominanza esplicitando il senso e la direzione della trasformazione in atto ma non ha ancora nettamente e irreversibilmente subordinato a sé il modo di produzione dominante della vecchia formazione economico-sociale. Quindi il nuovo modo di produzione non è ancora riuscito a rendere funzionale al proprio tipo di sviluppo, alla propria legge di movimento, le forme sociali, economiche e tecniche relative al vecchio modo di produzione che va cadendo in una posizione subordinata. Di conseguenza possiamo ancora distinguere dentro il vecchio modo di produzione un sistema di rapporti di produzione distinto e non ancora plasmato da quello tipico del nuovo modo di produzione dominante. La Grassa conclude il ragionamento affermando che una formazione economico-sociale in transizione può essere considerata come una effettiva articolazione di modi di produzione differenti e gerarchizzati rispetto ad una forma dominante. In quest’ultimo caso il termine formazione ha una connotazione più genetica che strutturale ed indica una serie di fenomeni e la direzione del loro movimento finalizzato all’enucleazione di una nuova formazione sociale a partire dalla vecchia.

4. Marx secondo Marx

Come conclusione di questo nostro excursus troviamo il complesso e articolato saggio di Cesare Luporini Marx secondo Marx che è una lunga critica all’intervento di Sereni ma allo stesso tempo un capitolo importante del dialogo dell’autore con Althusser. Per prima cosa contesta la pretesa di Sereni di abbinare ai termini Form e Formation il valore di statico e dinamico. Questa pretesa è priva di fondamenta perché i termini presi da soli sono tali che nessuno può decidere del loro valore statico o dinamico se non il contesto in cui sono utilizzati. In un secondo momento interviene sulle questioni filologiche sollevate da Sereni rinfacciandogli una mancata distinzione tra l’ottica di Marx e di Lenin. Sono due ottiche che non coincidono e andrebbe riconosciuta le peculiarità e l’innovazione portata da Lenin rispetto alle categorie di cui si è discusso. In Che cosa sono gli “amici del popolo” c’è una lettura di Marx che è allo stesso tempo un tentativo di giungere a delle conclusioni implicite della sua teoria. Siamo davanti ad una forma di lettura sintomale dei testi marxiani. Per Luporini l’errore di Sereni consiste nel leggere la prefazione a Per la critica dell’economia politica, dove Marx utilizza per la prima volta il termine formazione economica della società, secondo un’ottica precostituita a partire dal testo di Lenin. In questo modo non riesce a porsi il problema dell’ottica propria di Marx per poi procedere ad un confronto con Lenin. Il rivoluzionario russo, infatti, assorbe il concetto di formazione economica della società dentro l’espressione formazione della società come se fosse una specificazione corrispondente alla collocazione data ai rapporti di produzione. Luporini afferma che studiata nella sua costituzione strutturale una formazione sociale si rivela come una determinata formazione economico-sociale. Questa espressione rappresenta l’autonomia dei rapporti di produzione. Simoni, infatti, sostiene che se anche Lenin rimarca l’importanza dell’analisi da parte di Marx delle sovrastrutture corrispondenti ai rapporti di produzione tramite la metafora dello scheletro e della carne, il suo discorso sembra appartenere alla forza di persuasione e alla rappresentazione globale del Capitale piuttosto che alla sua articolazione strettamente scientifica. Non a caso Marx spiega la struttura e l’evoluzione di una data formazione sociale esclusivamente con i rapporti di produzione. Luporini pensa a questa lettura leniniana della prefazione del 1859 come alla produzione di una nozione nuova non presente in Marx che infatti utilizza l’espressione formazione economica della società al singolare in contrapposizione ad una pluralità di formazioni sociali. Marx ha delineato il campo teorico unitario della formazione economica della società e al suo interno si stabilisce la successione delle diverse formazioni sociali, ognuna delle quali è determinata dal suo specifico modo di produzione. La discontinuità tra le varie epoche storiche è in questo modo pensabile dentro il campo teorico formato dal tendenziale sviluppo delle forze produttive che si presenta come formazione economica della società. Non a caso Marx sostiene che una formazione sociale non perisce finché non sono state sviluppate tutte le forze produttive a cui può dar luogo. Questo complessivo sviluppo delle forze produttive è ciò che da un lato costituisce il campo unitario della formazione economica della società e dall’altro consente la successione da un modo di produzione all’altro. Luporini sostiene che questa è la maniera in cui Marx vedeva le cose nel 1859 e continuò ad avere questa visione anche nel 1867, all’epoca della stesura della prima edizione del Capitale. Non a caso concepiva lo sviluppo della formazione economica della società come un processo storico-naturale. La formazione economica della società è un singolare che non ammette plurale dentro il processo storico in cui è collocato. Luporini presenta queste tesi come una lettura di Marx secondo Marx. Il concetto di formazione economica della società serve a Marx per designare la continuità di un tessuto economico nella discontinuità e pluralità successiva delle formazioni sociali. Si tratta di un concetto opposto a quello fornito da Lenin sotto lo stesso termine perché rispondono a problemi diversi e contrapposti. In Lenin troviamo la specificità della formazione sociale nella sua connotazione economica mentre in Marx c’è la continuità economica tra le diverse formazioni sociali. Luporini a questo punto esaurisce le problematiche filologiche e inizia ad affrontare le questioni sistematiche fatte emergere da Sereni. La prima è il problema della continuità e della discontinuità. La logica del discorso di Sereni neutralizza il più possibile la presenza della parola economica nell’espressione formazione economico-sociale e cerca di mettere in evidenza un valore globale. Luporini afferma che non è possibile eliminare la parola economica e allora Sereni la giustifica affermando l’importanza dei rapporti di produzione. Tuttavia non nega il valore dell’esigenza di Sereni di ripristinare il valore globale della nozione di formazione sociale ma egli si limita, appunto, all’espressione di un’esigenza. La seconda questione sistematica evidenziata da Luporini è quella dell’unità e della totalità attraverso la quale prende una maggiore concretezza il senso peculiare che assume in Marx il problema generale della storia e della storicità umano-sociale, ovvero l’esistenza di una teoria funzionale al problema del processo storico che ha condotto al modo di produzione capitalistico. Marx isola una tranche di storia a partire da una tematica di indubbia continuità (forze produttive e formazione economica della società) e una di indubbia discontinuità (modo di produzione, formazioni sociali). L’operazione non è arbitraria e si lega al momentaneo punto di arrivo di quel processo storico, cioè il punto di partenza e di riferimento dell’indagine, non come un fine che quel processo storico doveva raggiungere ma come un dato fattuale che si è prodotto e nelle cui contraddizioni viviamo. Solo una simile preminenza epistemologica del sistema del presente dis-teleologizza il corso storico senza polverizzare la sua continuità. Questa lettura Luporini provvede a calarla nel Capitale provando a trovare la soluzione del suo problema, ovvero tenere insieme una storicità intesa come equivalente all’empirico ma che non si polverizzi in una contingenza puramente fattuale. Bisogna dare ragione di un processo storico senza cadere in una teleologia metafisica che legge ciò che è venuto dopo come fine di ciò che è accaduto prima. Per Luporini il corso storico è empirico ed è un carattere del corso storico stesso non una modalità di apprensione. Tuttavia non è solo empirico ma si produce sempre in determinate forme che sono un che di agente sulla processualità empirica. Questo agire sociale è intrinsecamente empirico e questo carattere permane sempre anche se su di esso agiscono l’effetto delle forme o delle strutture che progressivamente crea. Ne consegue che la conciliazione tra empirico e formale è possibile solo come interazione. Non è più pensabile, come in Marx, un superamento dell’empirico nel sistematico, nel concetto o nel teorico-formale. Ciò ha delle conseguenze in Luporini molto importanti. Ad esempio il continuum ipotizzato nella prefazione del 1859 tra i modi di produzione si distribuisce dalla parte della fattualità empirica mentre la discontinuità si distribuisce dalle parte dei modi di produzione e delle corrispondenti formazioni sociali. Per Luporini mano mano che Marx, mentre costruisce il Capitale, procede ad analizzare le forme strutturali, irrompe sempre di più il contenuto empirico e storico che poi viene immesso nella costruzione sistematica. Il problema ora è determinare se il Capitale è tutto quanto sistematico o se non associ alla sua esposizione sistematica una illustrazione storico empirica. Luporini registra una dissociazione dentro il Capitale tra forme statiche e contenuti dinamici e si pone delle domande. Ad esempio, una volta dissociati, questi piani come si articolano? In quale modo le forme si applicano ai contenuti una volta che sono stati resi rispettivamente eterogenei fino al punto di poter discriminare tra statico e dinamico? Come le forme possono agire su quegli atti e processi? Luporini fornisce le sue risposte articolate. Per mostrare il primo ingresso del tema della storia nella problematica del Capitale, analizza il progrediente sviluppo della forma di valore dalla formula semplice di valore alla forma di denaro. Dentro questo sviluppo di forme interviene per la prima volta il riferimento all’empiria storica. Lo sviluppo sistematico-formale procede analiticamente come individuazione del portato logico della categoria merce dalla forma di valore semplice alla forma generale di valore, per poi bloccarsi. Questa argomentazione giunge, dice Simoni, a poter porre un nuovo soggetto della produzione sociale. All’inizio questo soggetto erano gli uomini in quanto membri di comunità più o meno naturali o originali. In seguito si tramutano in agenti inconsci della forma di merce. Con la stabilizzazione di questa separazione, il soggetto del processo di produzione diventa la merce stessa e tale rimarrà in tutto il successivo dispiegamento sistematico in cui si definisce nel Capitale il modo di produzione borghese. Luporini riprende poi questi temi per arrivare ad affermare che la riduzione positivistica e hegeliana della posizione sistematica di Marx e dei suoi fondamenti morfologico-strutturali sono da respingere perché fanno scomparire la specificità della critica di Marx non in rapporto alla filosofia ma all’economia politica. Questa reductio è possibile solo facendo coincidere sviluppo storico e logico, cosa per Luporini contraria a ciò che pensava Marx. Il risultato è, sul piano dell’economia politica, storicizzare come uno stadio a sé stante quel sistema dell’economia mercantile che invece è solo un momento necessario dell’analisi genetico-sistematica del modo di produzione borghese a cui, in linea di principio, è del tutto indifferente il rapporto con la corrispondente specifica dose di realtà storica. In linea generale questa deformazione introduce nel marxismo il problema dello storicismo.

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