ELECTION DAY

 

photo_2016-11-10_18-11-581) Il meccanismo americano

È tradizione americana la presenza di due grandi partiti che racchiudono in sé idee non precise, se non solo quella del socialmente al centro sinistra o al centro destra. Questi sono rispettivamente il partito democratico e quello repubblicano. Sono due grandi agglomerati non precisi di politici ed attivisti che oramai hanno portato al far aderire anche le più disparate ideologie in un solo partito, magari giusto perché più a destra nelle politiche sociali o viceversa. Questo sistema ha portato ad un potere diarchico formato dai due partiti principali, tant’è che sin dal 1852 sullo scranno presidenziale e ad altre rilevanti cariche si sono alternati solo vincitori provenienti dai due partiti. Spesso si hanno casi di candidati appartenenti ai due schieramenti teoricamente opposti che in realtà si rilevano molto simili nei programmi, magari differendo solo su alcuni punti nelle politiche sociali. Per convenzione recente si ha che nel partito democratico vi stanno i progressisti e nel partito repubblicano i conservatori (nonostante anche qui il confine tra progressismo e conservatorismo spesso è stato molto ambiguo). Il meccanismo di elezione di quello che sarà il 45° presidente statunitense è stato assai singolare visto che si tratta di un suffragio semidiretto poiché col  voto dei cittadini non si elegge il nuovo presidente, ma i componenti del collegio elettorale, i cosiddetti “grandi elettori”. Essi sono eletti su base statale e il loro numero è 538, pari alla somma dei senatori (100, due per ogni Stato), dei deputati (435, assegnati proporzionalmente al numero di abitanti residenti in ciascuno Stato) e dei tre rappresentanti del Distretto di Columbia in cui si trova la capitale Washington (il XXIII emendamento prevede che il loro numero sia uguale a quello che spetterebbe se fosse uno Stato, ma comunque non superiore a quello degli elettori designati dallo Stato meno popoloso). Il Distretto della Columbia infatti non fa parte di nessuno Stato poiché i padri fondatori volevano evitare che uno qualunque dei tredici Stati che si federarono potesse essere in un qualche modo avvantaggiato per il fatto di avere sul proprio territorio la capitale federale (per questo motivo i residenti in questo territorio non eleggono alcun rappresentante al Senato e alla Camera dei rappresentanti). Per diventare presidente serve ottenere la maggioranza assoluta dei voti dei grandi elettori, ovvero 270.

 

 

2) Chi sono stati i candidati più degni di nota in queste elezioni 2016 e quali erano i loro programmi e quale ruolo incarnavano nella società politico-economica americana?

In questo periodo storico nel quale stiamo vivendo il mondo percorre una difficile situazione, una degenerazione delle politiche e rapporti sociali globali.
Le tensioni in Medio Oriente si fanno sempre più pesanti, le potenze mondiali cominciano un riarmamento e rapporti a modo di “nuova guerra fredda”, l’imperialismo politico, economico e militare sta raggiungendo il suo apice, avvicinandoci pericolosi ad un non improbabile conflitto che coinvolgerà molti importanti paesi, se non mondiale.
La crisi impervia e le condizioni sociali calano drasticamente, il ceto medio si sta spaccando in due, una parte proletarizzandosi e l’altra arricchendosi.
Nella società di molti dei paesi moderni domina l’apatia o, nella maggioranza dei casi dove questa non sia presente, il disfattismo. Al tempo stesso però si hanno picchi di rivolta, protesta, denuncia e decisione.
In un clima del genere non poteva che rendere le elezioni americane, oltre fatalmente importanti, anche particolari nella loro dinamica.
Dove sta tale particolarità perciò?
Questa sta nel carattere politico e sociale dei candidati principali e delle reazioni che hanno avuto sugli elettori (e non solo).

Si ha avuto ad esempio una grande mobilitazione giovanile con il candidato Bernard Sanders e anche con la mobilitazione di molti piccoli/medi imprenditori e alcuni lavoratori (come quelli delle oramai decadenti ex-comunità di minatori) con il già noto Donald Trump.
Però, sia qui che negli stessi USA, le informazioni sui programmi dei candidati sono poco diffuse o comunque molto confuse ed imbrogliate, ciò soprattutto per il motivo che in America i dibattiti politici, sia ufficiali che popolari, sono sempre stati al limite del gossip, dove si attacca un candidato per il suo carattere e particolari della sua vita privata, trascurando il lato meramente socio-economico.
Il già da noi nominato Bernard, o più comunemente chiamato “bernie”, Sanders è stato un elemento quasi rivoluzionario nella società americana odierna sia per la sua carriera politica sia per le sue idee non convenzionali nella politica statunitense.
È senatore del Vermont ed è un esponente indipendente affiliato al partito democratico. Dagli anni del maccartismo è stato l’unico politico americano a definirsi apertamente “socialista” e non usando i vari termini che nella storia americana sono stati usati per evitare gli inconvenienti termini relazionati al socialismo o comunismo. È di ideologia socialdemocratica, del tipo scandinavo. Se per l’Europa può sembrare una tendenza politica non particolare e abbastanza diffusa, e a volte persino degradabile, nell’ottica nordamericana è da considerarsi una grande sfida e passo in avanti. E appunto per questo il risveglio innegabile della gioventù e popolazione suscitato da Sanders è una grande soddisfazione e prova che persino negli Stati Uniti d’America il sistema liberista sta gradualmente perdendo la fiducia e l’appoggio della gente.
Bernard s’è laureato a Chicago in scienze politiche ed è propugnatore delle idee dell’economista post-keynesiano Warren Mosler. Ha sempre promosso nella sua vita i diritti civili partecipando a importanti eventi come la marcia di Martin Luther King e alle proteste contro la guerra in Vietnam (poi sarà contro anche quella in Iraq), ma nonostante ciò non ha mai attaccato i militari che dovettero andare in quella guerra, bensì ha sempre difeso i diritto dei veterani e ancora oggi sono un punto del suo programma politico.
Negli anni ottanta occupò la posizione di sindaco di Burlington e si impegnò su politiche per la comunità costruendo ad esempio al posto di, come previsto in teoria, ville sul lago Chaimplain parchi pubblici che ancora oggi sono presenti.
Da giovane si unì al partito socialista e presentava idee praticamente marxiste,. diresse e registrò un documentario di 30’ sul sindacalista Eugene Debs chiamato “Trade unionist, socialist, revolutionary”.
È cresciuto in una famiglia che più dei bisogni primari non poteva permettersi.
Nel 1971 si unì al Liberty Union party (partito progressista) e si candida come senatore e governatore del Vermont. Nel ’77 abbandona suddetto partito e nel ’79 diventa indipendente.
In queste elezioni ha perso contro la Clinton, nonostante gli abbia dato parecchio filo da torcere, e adesso gli ha dato l’endorsement, ovvero le ha conferito l’appoggio.
Nel suo programma voleva conferire ai lavoratori le vacanze pagate (12 settimane di permesso, 10 giorni di vacanze pagate) ed ha collaborato per la proposta di 7 giorni di licenza medica retribuiti. Ha anche sottolineato più d’ogni altra cosa la sua intenzione a togliere il potere politico ed in parte economico alle grandi corporazioni, chiamate da lui le “too big to fail” ovvero le “troppo grandi per fallire”, riferendosi alle 6 corporazioni più grandi del paese che possiedono dell’equivalente 60% del prodotto interno bruto nazionale e alle 6 banche che emettono il 27.3% delle carte di credito e godono del 35% delle ipoteche. Queste grandi corporazioni, che sono appunto “troppo grandi per fallire, troppo grandi per esistere” secondo Bernie andrebbero fermate con queste tecniche:

  • la frammentazione di esse
  • la non concessione di assicurazione per le grandi imprese e banche
  • la lotta che intraprese già nel 1999 contro l’abrogazione della legge Glass-Steagal, che impediva alle banche di utilizzare i soldi dei clienti.
  • imposte sulle transizioni finanziarie per impedire azioni commerciali troppo rapide e rischiose, cui i derivati andranno all’educazione secondaria libera.
  • impedire a Wall Street di pagare altamente bancari con alti posti nel governo.
  • imposte sulle emissioni, la lotta contro dell’oleodotto molto discusso “keystone XL” e finanziamenti sui progetti ecologici.
  • educazione e sanità libera e che aiuti i meno abbienti.
  • Contrasto dei centri di detenzione privati e propone l’aiuto dei migranti con la sanità e l’educazione, regolando il futuro flusso migratorio con dei sistemi di visti.
  • Attuazione del salario minimo di 15$, del reddito uguale tra i sessi, sostenendo  i sindacati con il Employee Free Choice Act.
  • Opposizione alla Citizen United, ovvero il processo che ha permesso alle imprese, trattando le persone giuridiche come cittadini, di finanziare i politici in modo illimitato senza dover rendere note le somme. I fratelli Koch ad esempio hanno speso 900 milioni di dollari nelle elezioni 2016, come mai prima nella storia.
  • Aiuto a Puerto Rico per pagare il debito pubblico eliminando il potere delle corporazioni e delle politiche di austerità.

Già nel 2000 avvisò sui rischi delle politiche economiche che avrebbero portato alla crisi del 2008, per gli Stati Uniti, come già accordato, queste sono politiche al limite del rivoluzionario.
Ma già dalla sua sconfitta da parte di Hillary e al conseguente endorsement s’è potuto vedere che non ha ancora un carattere cosciente sui ruoli politici americani, o meglio, che l’ha perso. Non era abbastanza deciso e pronto per vincere.

Dopo la sconfitta di Sanders, la sua sfidante Hillary Clinton venne dipinta come il “bene”, come il barlume di ragione cui estremo vi è la pazzia del repubblicano Donald Trump. Ma com’è la realtà?
Hillary Diane Rodham Clinton è già senatrice e segretaria di stato ed è anche nel consiglio d’amministrazione delle multinazionali Wallmart e Laforge, e inoltre ha l’appoggio d’innumerevoli altre multinazionali, alcune delle quali coinvolte nella produzione bellica.
Nel 2001-2009 è stata senatrice dello stato di New York. Sostenne la guerra in Iraq e Afghanistan, ma criticò la gestione delle operazioni dell’amministrazione Bush.
Nel 2008 si candidò ma perse contro Obama. Gli diede l’endorsement divenendo segretaria di stato fino al 2013, sostenendo la maggior parte delle politiche di Barack Obama.
È cresciuta in una famiglia mediamente benestante.
Nella sua giovinezza era conservatrice (grazie anche all’influsso della famiglia) e nel 1964 collaborò con il candidato repubblicano Goldwater. Conobbe anche Martin Luther King.
Seguì il corso di Wellersley a Washington e lì divenne liberale.
Diventa la first lady dell’Arkansas e, avendo grande potere, come quasi un secondo presidente (da qui “billhary”), propone una riforma della sanità, chiamata “hillarycare” che però si rivela un fallimento e ne segna la reputazione.
Nel 2000 diventa senatrice dello stato di New York.
Nel 92 scoppia lo scandalo “whitewater”, in altre parole un investimento fallimentare della coppia Clinton nell’omonima impresa immobiliare, dove il banchiere David Hale rivela che da giovane Bill Clinton gli chiese un prestito illegale di 300.000 $ alla candidata McDougal. I due non vengono messi sotto accusa per mancanza di prove nel coinvolgimento, ma la stessa sorte non tocca ai loro collaboratori:
•Jim Guy Tucker, governatore dell’Arkansas, rimosso (truffa, tre accuse).
•John Haley, avvocato di Tucker (evasione fiscale).
• William J.Marks sr., socio d’affari di Tucker (associazione per delinquere).
•Stephen Smith, assistente di Clinton quando questi era governatore (associazione per delinquere finalizzata alla malversazione). Graziato da Clinton.
•Webster Hubbell, sostenitore di Clinton, socio dello studio legale Rose (appropriazione indebita, truffa).
•Jim McDougal, banchiere e sostenitore di Clinton (18 reati).
•Susan McDougal, sostenitrice di Clinton (truffa multipla). Graziata da Clinton.
•David Hale, banchiere, sedicente sostenitore di Clinton (associazione per delinquere, truffa).
•Neal Ainley, presidente della banca della contea di Perry (appropriazione indebita dei fondi della banca per finanziare la campagna di Clinton).
•Chris Wade, broker (truffa multipla). Graziato da Clinton.
•Larry Kuca, agente immobiliare (truffa multipla).
•Robert W. Palmer, perito (associazione per delinquere). Graziato da Clinton.
•John Lata, amministratore delegato della Madison Band (truffa).
•Eugene Fitzhugh, avvocato e uomo d’affari (corruzione multipla).
•Charles Matthews (corruzione)

Altro scandalo è quello legato alla vita extraconiugale del marito, ovvero il cosiddetto “sexgate”.
Ma una delle sue peggiori colpe è lo scandalo delle email e del consolato di Bengasi.
Nel marzo 2015 venne comunicato che Hillary aveva usato abitudinariamente il proprio server privato di email per comunicazioni riservate, tra cui 113 messaggi confidenziali e 22 classificati top secret.
Nel suo programma propone politiche sociali, come la continuazione della obamacare o la facilitazione dell’accesso alla educazione. Si definisce femminista e progressista, attraendo una grande massa di persone di ideologia liberal.
Propone una rischiosa no-fly zone sulla Siria, cosa che, come affermato da capi dell’esercito americano, potrebbe portare molto probabilmente ad un conflitto con la Russia, e ha intenzione di seguire le politiche estere dell’amministrazione Obama.
Sostiene anche di essere contro le politiche egoiste di wall street e vuole rendere più pulito il sistema di finanziamento dei candidati.
Vuole anche “rendere le forze armate americane le più potenti del mondo” (citandola),dice anche d’esser contro il potere economico della Cina sull’America, nonostante lei abbia partecipato all’accolta della Cina in patti commerciali come il NAFTA (patto che ha distrutto l’economia Messicana).
Tutto ciò però non concretizzando quali politiche utilizzare, quali strategie, obbiettivi o tesi a sostegno delle sue affermazioni.
Infatti, soprattutto grazie alla nuova fuga d’informazioni da email della Clinton, ciò può essere messo seriamente in dubbio.
1.     Si ritiene femminista ma, oltre al sostenere movimenti “femministi” che ignorano e spesso inconsapevolmente sfruttano le donne del terzo mondo, nelle email s’è rivelato che nel suo staff per ogni dollaro dato di salario agli uomini le donne ricevono invece 75 cent. Come diceva Rosa Luxemburg, il femminismo borghese serve solo a conferire privilegi alle donne del ceto borghese, non curandosi delle altre.
2.     S’è provato che, assieme al partito democratico, le elezioni contro Sanders erano state manovrate e perciò avevano illecitamente manipolato il processo.
3.     Moltissimi dei suoi discorsi sono pagati da multinazionali, ma lei si è sempre rifiutata di rivelare quanti discorsi vengono pagati e in quali somme.
Se veramente avesse intenzione di ripulire il sistema politico americano in questo senso, comincerebbe da se stessa nelle elezioni.
4.     Ha detto di voler limitare il potere di Wall Street (senza però chiarire come), mentre dalle ultime informazioni trapelate è risultato che in una riunione di Goldman-Blackrock nel 2014 disse che rispettava il lavoro e i risultati di wall street e che secondo lei il cambiamento stava nei membri interni appunto di wall street. Invece ad una Banca Brasiliana disse che era dalla loro parte in quanto capiva cosa significava la vita nel benessere dato che lei stessa la stava vivendo.
Se Bernie Sanders rappresentava il dissidente ancora non maturo e non deciso, Hillary Clinton incarna invece il ruolo della difenditrice degli interessi delle multinazionali, non come loro diretto membro bensì come “accolta” che ripaga il favore soddisfando i loro bisogni e necessità politiche.
E, ultimo ma non meno importante, le sue politiche estere son alquanto aggressive proprio perché globaliste e sono seriamente pericolose e preoccupanti, dato che  la situazione mondiale, in particolare quella tra Nato e Russia, sono già al limite della tensione, e le strategie della Clinton molto probabilmente le porteranno alla brusca rottura che potrebbe sfociare in un conflitto tra superpotenze. Considerando il riarmamento da lei proposto e dalla Russia già in fase di attuazione, ciò potrebbe avere conseguenze ancor più spiacevoli.

Al polo opposto abbiamo il tanto ambiguo repubblicano Donald Trump.
Figlio d’un ricco imprenditore immobiliare, decise di intraprendere la stessa carriera del padre laureandosi in economia e finanza in Pennsylvania. Prima di unirsi al partito repubblicano s’era unito a quello democratico per breve tempo. È testimonial di diverse multinazionali di telecomunicazioni ed energia. Negli anni novanta attraversò un periodo economicamente difficile, ma nonostante ciò ora è considerato uno degli uomini più ricchi d’America, infatti voci confermate di alcuni economisti hanno calcolato che il patrimonio di costui supererebbe i 2,9 miliardi di dollari.
È da molto un personaggio pubblico americano ben noto ai suoi connazionali ed è un presentatore televisivo. Ha diretto il programma “The apprentice”, da cui però è stato licenziato per via dei suoi tipici commenti xenofobi e politicamente scorretti.
Nel 2012 aveva già intenzione di candidarsi, ma alla fine ha rinunciato.
Nel suo programma pone l’attenzione su questi punti:

  • La creazione di posti di lavoro mediante l’investimento su infrastrutture di trasporti, idriche, telecomunicazioni, sicurezza ed in progetti come il Keystone XL. Per fare ciò vuole anche imporre una politica isolazionista verso gli imprenditori esteri contrastando il patto commerciale NAFTA, CAFTA e TPP, aiutando così la medio/alta borghesia nazionale. Soprattutto intende irrigidire i rapporti commerciali con la Cina, che considera un “nemico comunista” (sich!) e cui perciò vanno imposti pesanti dazi.
  • A differenza di Hillary Clinton, era contrario al controllo sulle armi, infatti nella campagna presidenziale è  stato supportato dai grandi colossi delle armi .
  • S’è proposto di rafforzare la sicurezza nazionale attraverso il rafforzamento delle forze armate, polizia e informatica (criticando pesantemente Hillary per la sua mal gestione di informazioni private, usando la confessione di questa sul fatto che non era a conoscenza del significato che la “C” rappresentava sui documenti)
  • Propugna la costruzione di un muro sul confine messicano e vuole marginare l’emigrazione ponendo una moratoria sull’entrata nel paese di migranti mussulmani.
  • È contro gli aiuti internazionali e soprattutto contro la tattica americana di “organizzazione e formazione di governi esteri”. Per quanto riguarda la NATO ha detto che alzerà le tasse per gli stati che ne vogliono far parte.
  • È per la modifica  dell’obamacare (se non per la totale abrogazione) e non sostiene l’educazione libera. Una  modifica finalizzata a politiche più “welfaristiche” dell’obamacare però potrebbe avere influssi positivi poiché questa legge ha obbligato oltre il 18.5% del popolo americano  (composto per lo più dalle classi più disagiate) a stipulare contratti con le compagnie  d’assicurazione per avere una copertura sanitaria, spesso contraendo debiti grazie al carattere coattivo di questa legge  nonostante le misure di sussidio federale  poiché il conto delle spese mediche di chi ha un’assicurazione viene semplicemente spedito a chi fornisce la copertura, il paziente spesso non ha un’idea chiara di quanto abbia speso e a volte la differenza di costo fra una clinica e un’altra è enorme avendo i medici  tutto l’interesse a sottoporre i propri pazienti a una marea di esami e terapie, anche superflui, di cui le persone fornite di assicurazione non si curavano perché comunque erano “coperte”. Le assicurazioni, per far fronte alle spese, si vedevano costrette ad alzare i prezzi dei propri prodotti, rendendo la copertura sanitaria sempre meno economica. Il governo per far fronte a queste tattiche integrò nella riforma la clausola in cui prevede multe per gli ospedali i cui pazienti vengono ricoverati più volte a distanza di breve tempo, nonostante incontri attualmente diversi vincoli nell’applicazione.
  • In politica estera si impegnerà nella coalizione con la Russia nella lotta all’ISIS. Infatti la particolarità del candidato repubblicano è l’incarnare, nonostante si batta per l’isolazionismo americano  finalizzato al ricondurre l’America all’antico splendore pre 1929 di Wilsoniane memorie, lo spirito neoconservatore delle amministrazioni Bush e Raegan nell’idea patriottica dell'”esportazione di democrazia” (a suo dire, quando è necessario).
  • Sul piano ambientale Trump è un estremo negazionista, infatti pensa che  il cambiamento climatico sia un «concetto inventato dai cinesi per impedire all’economia americana di essere competitiva», eliminando la teoria del riscaldamento globale censurandola come tentativo fallito di sovrastare economicamente gli Stati Uniti. Difatti ha promesso di annullare l’accordo di Parigi sul clima, entrato in vigore il 4 novembre; i firmatari di questo accordo dovevano mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, gli stessi firmatari che possono eliminare la loro partecipazione all’accordo dopo 4 anni dalla stipulazione (quindi a Trump dovrà servire un mandato solo per annullare l’accordo).

3) Il nostro pensiero sul tycoon

Oramai di Trump s’è praticamente accertata la sua vittoria.
Come può essere che un candidato talmente criticato per la sua vita e carattere, quasi demonizzato, abbia ottenuto questo risultato?
Come prima cosa, Donald Trump aveva un alto appoggio da parte di piccole comunità, come quelle dei minatori, perciò, soprattutto dopo la sconfitta di Bernie Sanders, dei meno abbienti.
Inoltre negli ultimi dibattiti aveva dimostrato un serietà inaudita da un personaggio come lui (più che altro causata dal “risveglio” che le varie critiche a lui dirette e la vicinanza alle elezioni gli avevano provocato). Ciò ha comportato uno sconvolgimento delle idee degli elettori, che allora l’hanno riconsiderato, forse non sempre nelle giuste quantità, e perciò hanno preso in analisi certi suoi “assi nella manica”, tenendo conto di un fatto che è sempre giusto rinfacciare ai neo trumpisti italiani e al loro “vaffanculo globale”: essendo a suffragio semidiretto la Clinton analizzando la situazione dalla sola parte dei piccoli elettori avrebbe vinto su Trump di circa 234 000 voti, quindi vincendo non per “furor di popolo” ma per i soli 51 voti dei grandi elettori, esperienza simile al duello elettorale Bush-Al Gore, dove il primo vinse sul secondo proprio per via dei grandi elettori.
Quali sono questi assi?
Lui è, sin dagli anni ’80, la rappresentazione dell’”uomo fatto da se” e dell’”american dream”: insomma rappresenta il senso di intraprendenza filo fordiano e orgoglio tipici del mito americano, mito che piano piano stava svanendo dagli anni ‘30 e ‘60.
Come imprenditore impersonifica perfettamente il carattere e sentimento nazionale statunitense, con la sua stravaganza (la quale si riflette molto sulla sua politica) e sicurezza, acquisita nella sua trionfante carriera di presentatore televisivo. Quest’ultima caratteristica ha molto influito sulla reputazione e nella abilità nei dibattiti politici, superiore a quella clintoniana.
È così riuscito a suscitare nella popolazione un sentimento patriottico che li ha fatto unire al movimento di Trump.
S’ha da rilevare però che la fiducia in lui riposta dagli elettori non è realmente solida e sicura, è più un ripiegamento sul più sicuro da parte dei cittadini. Ed, infatti, Trump non ha avuto e continua a non avere il supporto del partito repubblicano.
Se Hillary Rodham Clinton non è stata votata è in realtà perché, in tempi molto vicini alle elezione, era stata protagonista di una fuga di informazioni da email dove parecchi punti del suo programma venivano messi in forte dubbio. Questo, sommato alla sua reputazione e alla collaborazione con il governo Obama, perciò nel coinvolgimento dei suoi errori, ha portato ad una forte perdita di fiducia.
Ma Trump che ruolo ha e avrà?
Come già detto, è la reincarnazione del mito liberista e però si tiene non troppo lontano dalla popolazione anche con le sue politiche a favore della competizione nel mercato, e perciò contro al globalismo dei grandi capitali.
Ma nel frattempo è lui stesso l’imprenditore che ha vinto la competizione inglobando chi ha perso, annullando perciò piano piano le possibilità nel mercato di sfidare e competere. Lui vorrebbe la competizione, ma limitata ad un livello dove non può toccare né lui né il suo paese. Ciò è dimostrato dal fatto che vuole limitare fortemente la possibilità di introdurre capitale straniero nello stato, senza però voler limitare la presenza del capitale americano all’estero. Tutto ciò spacciandolo per patriottismo
Nella storia della umanità s’è sempre dimostrato che l’unione fa la forza, come ad esempio successe nella rivoluzione industriale e con la nascita dei trust:
Un gruppo di persone si univa e, abbandonando la concorrenza, dimostrava la sua forza su quei individui che ancora rimanevano divisi.
Trump fa parte di quelle persone che è cresciuta inglobando altri “pesci più piccoli”, ma quando vede un pesce più grande di lui che potrebbe mangiarlo pretende di farlo fuori perché limita la libertà di “competere”.
Ma questi possono essere trattati alla stregua dei “distruttori delle macchine”.
I distruttori delle macchine erano coloro che nella prima rivoluzione industriale con l’avvento dei macchinari industriali e della conseguente produzione di larga scala, vedendo che i lavori artigianali destinati all’individuo che produceva per se stesso erano ora invece fatti collettivamente, con meno mano d’opera e soprattutto vedendo i frutti del lavoro andare in mani altrui, pretendevano di distruggere i macchinari in modo da “tornare indietro nel tempo” e riportare la situazione iniziale dove la vita era ad un livello più alto e il lavoro era presente per tutti, in quanto si necessitava di più braccia per fare una cosa che la macchina completava con meno dispendi di forza.
Donald Trump vorrebbe riportare il mercato libero al tempo in cui l’evoluzione sociale ancora non aveva formato gli agglomerati indissolubili di ricchezza e potere.
Ma le lancette del tempo non possono essere riportate indietro, e chiunque ci provò fallì miseramente.
La soluzione è completare l’unione, ma non sotto il comando di pochi, ma sotto guida collettiva.
Questa avversità all’attuale stadio evolutivo della società ch’è caratteristica di Donald Trump ha già avuto le sue conseguenze:
I mercati e borse, che non s’aspettavano questo risultato, hanno subito un violento calo globalmente. Il dollaro ha perso repentinamente gran parte del suo valore rispetto all’euro. Le borse internazionali hanno aperto le porte già in svantaggio. L’oro è aumentato di prezzo all’oncia e il petrolio ha visto calare il suo valore.
Il sito per la richiesta di immigrazione del Canada sono stati subito intasati dalla mole di persone che lo stava utilizzando.
La gente ha pensato di Donald Trump: ” È già ricco, perché dovrebbe voler rubare e truffarci?”
Ragionamento simile è stato fatto qui per Silvio Berlusconi, e si è visto come andò a finire.
Certamente i sostenitori della Clinton grideranno al “broglio!” e “attacco politico della Russia!”.
Cosa accadrà in questo mandato non si può prevedere di preciso, ma di certo porterà ad un cambiamento radicale nel gioco mondiale: speculando economicamente si può prevedere un innalzamento esponenziale delle imposte sulle importazioni per via dello spirito isolazionistico e semi autarchico di Trump, coadiuvate da ennesime liberalizzazioni  rispetto all’esportazione con i relativi incentivi per una politica economica internazionale estremamente aggressiva. Tutto questo sarà supportato da un imponente lavoro finalizzato a “pompare” l’economia americana, magari riportandola in tutti sensi nel pre 1929, ovvero in una deregulation sulla speculazione finanziaria che porterà ad un superamento dell’economia reale ed una sempre più grande disgiunzione tra domanda ed offerta (portando così a nuove bolle finanziarie date dall’apparente profitto infinito che porta a sua volta a speculazioni sconsiderate e sempre più pericolose) che potrà (anzi, per rigor di logica, dovrà) culminare con una caduta verticale dell’economia come nel ’29 o nel 2008, con il relativo aumento del debito pubblico (per cui, guarda caso, il detentore più grande è lo stesso nemico giurato di Trump, la Cina, con oltre 1 244 miliardi di dollari di debito pubblico americano).

Che Trump non duri? Come già in precedenza accordato, il candidato non ha solida fiducia e politicamente non ha tanti sostenitori al suo fianco, nemmeno nel partito, perciò questa tesi non è assolutamente da escludere.
Di certo a Wall Street e altri colossi finanziari del genere ciò non andrà giù e provocherà varie difficoltà. Considerando il potere che questi enti hanno nel sistema politico USA, come già descritto in precedenza, l’ultima cosa da spettarsi è che tutto vada liscio senza minima protesta, sia dalla cittadinanza sia dai poteri di vario genere.
Per concludere, nel mondo tutte le forze politiche che per anni hanno dominato e spopolato stanno perdendo (o hanno già perso) fiducia e sostegno. Si sta passando piano piano dal centrismo agli antipodi, per ora di quest’ultimi prevalgono quelli di tendenza conservatrice, protezionista e soprattutto si sta andando in la dal neoliberismo, tentando gradualmente altre forme. Si dovrà vedere poi quale di queste consoliderà il potere dimostrando s’essere stabile e, eventualmente, favorevole per la massa.

 D’altronde, come scrive Marco D’Eramo:
Non è infatti per niente certo che si realizzi l’auspicio di Slavoj Žižek (filosofo marxista ndr) che si augurava la sconfitta di Clinton e l’elezione di Trump perché, secondo lui, avrebbe dato una sveglia alla sinistra. Troppo profondo è il sonno della ragione in cui la sinistra è piombata, da decenni. Ma certo che se alla crescente disperazione popolare non viene data altra voce se non quella sguaiata di un Briatore versione Usa, se al bisogno urgente di cambiamento non verrà data altra risposta se non la vecchia demonizzazione dell’Altro, allora di sicuro ci toccherà vivere in “tempi interessanti”, che è quel che i saggi cinesi non auguravano a nessuno. 
 – Compagni Laura ed Elia

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