Dopo la scomparsa dello spirito critico, tramontato con la cultura superiore precedente all’avvento della società di massa, la società moderna non è che uno spazio chiuso “unidimensionale”: quello dell’ appiattimento sull’unica dimensione del consumo soddisfatto e di una coscienza felice, nei fatti resa doma, sazia e acritica, totalmente eterodiretta, che Marcuse appella come amministrata. L’individuo è così sottoposto ad una desublimazione repressiva, ossia se prima dell’avvento della società industriale inseguiva gli oggetti del desiderio in una forma di sublimazione perenne (coscienza infelice, mai appagata, ma proprio per questo coscienza desiderante sempre alla ricerca di una seconda dimensione seppure irraggiungibile e perennemente inseguita dalla catessi libidinale) adesso, nella società totalmente amministrata, l’individuo viene represso proprio con la soddisfazione immediata e non più mediata dei bisogni, e perde fatalmente la sua coscienza desiderante di un altro mondo possibile e desiderabile, appiattito com’è sull’unica dimensione del consumo desublimato e quindi repressivo.
La sublimazione è, dunque, un meccanismo psicologico, individuato da Freud, che mira ad oltrepassare il reale, cioè a uscirne, a superarlo. Secondo Freud, la sublimazione è la proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima e serve spesso per scaricare impulsi violenti sotto una forma costruttiva: cambiare un impulso di morte in impulso di vita. Esempi della sublimazione come sostituti dell’eros sono lo sport e le arti. La sublimazione è un modo di erotizzare il nostro ambiente immediato di fronte alle aggressioni morbose del mondo esterno.
Se la sublimazione implica una distanziamento di fronte al mondo reale, verso un’idea di trascendenza attraverso l’erotizzazione, ebbene la desublimazione è esattamente l’opposto.
Un discorso simile per certi versi è fatto sia da Lacan (L’etica della psicoanalisi nell’analisi dell’Antigone) che da Fromm (Essere o Avere) sulla repressione data da una morale socio-economica che vincola l’agire umano. Attualmente legge morale e legge economica coesistono, si sovrappongono, si rafforzano finanche a vicenda. Premono in direzione del godimento, anzi, del plusgodimento. Comprimono, così, il desiderio e l’etica del desiderio (storicizzata e costruita su rapporti di forza). Mentre la legge morale del periodo freudiano si incentrava sul senso del dovere che vietava il godimento, ora la legge economico-morale spinge a doverlo fare, a dover godere.
La prestazione di successo, un cui emblema di grande diffusione sta nella gara sportiva, e il successo economico sono evidentemente accostabili. Lo sono spesso a scapito della dimensione etica. Quello che si evidenzia come angustiante è che tale centralità della prestazione vittoriosa avvenga talora a livello della morale collettiva.
Quindi nel capitalismo si è alienati anche dall’estrema facilità con cui si riescono a trovare i prodotti perché questo nega una ricerca soddisfacente: l’invito a drogarsi, al consumismo, al sesso sregolato per esempio.
La realtà tecnologica limita la portata della sublimazione, e al tempo stesso riduce pure il bisogno di questa. (H.Marcuse)
— Compagno Elia
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