LA TENDENZA IMPERSONALE DEL CAPITALISMO

“Si può resistere alla pubblicità, rifiutarsi di prendere un prestito, ma si è disarmati di fronte al deperimento tecnico dei prodotti, NIENTE FUGGE AL CONSUMISMO”

INTRODUZIONE

Durante i classici incontri ed i focosi dibattiti negli ambienti socialisti spesso, nonostante le notevoli divergenze dei vari movimenti tra fanatici della rottura epistemologica, reinterpretazioni più o meno accurate delle categorie gnoseologiche ed ontologiche, si apprende come dogma inargomentabile che la borghesia è la classe sociale portatrice dei rapporti di produzione capitalistici, una vera e propria classe-soggetto, a cui si contrappone la classe-soggetto del proletariato; tale dogmatismo spesso agisce come potente paraocchi per i marxisti, volgarizzando il loro operato e la stessa visione della totalizzazione dinamica dialettica del loro credo, ancora troppo ancorati ad una fantomatica ideologia del diamat per capire non solo gli sviluppi successivi alla divisione sociale classica (la generalizzazione della Luxemburg, la suddivisione gramsciana, l’analisi della classe contraddittoria nella dicotomia marxiana fatta da Eric Wright, l’analisi sulle disuguaglianze per mezzo dello studio dei Top Income Shares, perciò una legittimazione oggettiva ad un modello generico) ma anche all’evoluzione del soggettivo della stessa classe, la classe per sé, ponendola quasi meccanicisticamente come aspetto secondario.

LA FALSA COSCIENZA E L’EGEMONIA

Sin da Gramsci e Lukacs si parla di bipolarismo antagonista (usando termini come subalternità e dominanza), si parla di egemonia direzionale come vincolo all’azione dei subalterni, come pesante ma reale esaltazione della potenza oggettiva sublimata nell’aspetto culturale, come reale catena delle classi deboli, si parla di falsa coscienza come interpretazione del concetto d’ideologia, come inganno e autoinganno storico per cui il materialismo storico funge da essere demistificante e, come un moderno scienziato prometeico sfida Dio, allo stesso tempo diventa una teoria della teoria, una coscienza della coscienza e una critica della falsa coscienza.

“[La falsa coscienza] da un lato si presenta come qualcosa che, soggettivamente, deve e può essere compresa e giustificata sulla base della situazione storico-sociale, e al tempo stesso come qualcosa che oggettivamente passa accanto all’essenza dello sviluppo sociale, senza riuscire a coglierlo e a dare ad esso espressione adeguata: quindi come “falsa coscienza”. D’altro lato la stessa coscienza si presenta nello stesso rapporto come una coscienza che soggettivamente fallisce gli scopi che essa stessa si è posta e contemporaneamente come una coscienza che promuove e raggiunge gli scopi oggettivi dello sviluppo sociale che le sono ignoti e che non sono da essa voluta”.

Una coscienza che è allo stesso tempo autocoscienza sociale generica, che rappresenta non una semplice forma empirica ma realtà idealmente tipica che è data dal rapporto di questa classe con la concreta totalità sociale, il maximum di ciò che la classe può conoscere sulla sua posizione e sulla totalità della realtà sociale anteposta alla semplice coscienza empirica poiché insorge post festum, ovvero rimane sempre indietro rispetto alle possibilità di una coscienza di classe idealmente tipica per cui quest’ultima ha un particolare carattere anticipatore. La falsità e l’apparenza che caratterizzano la falsa coscienza sono l’espressione intellettuale dell’obiettiva struttura sociale e ad essa appartengono indissolubilmente, perciò solo la coscienza di classe proletaria ha una posizione rispetto alla coscienza di classe borghese per cui «anche il corretto accertamento di singoli dati di fatto o momenti dello sviluppo» mostra nel suo rapportarsi alla totalità «i limiti presenti nella coscienza». Questa posizione privilegiata è data da una talpa positiva, che scava sotto terra per venire alla luce e che si cela nella stessa “falsa” coscienza del proletariato, rappresentando “un’intenzione naturale verso la verità”.

Ci si trova costretti a riconoscere o che Marx ha sbagliato nelle sue previsioni o che nelle anime dei soggetti rivoluzionari è accaduto qualcosa per cui essi hanno rimosso la rivoluzione, quasi come se il sistema avesse trovato il modo per inibire e ottundere la tensione verso la verità, come se la patologia del singolo potesse essere il frutto di una società malata, con la conseguenza che la malattia psichica che affligge l’individuo diventa una risposta sana ad una società malata nel profondo, uno spirito di adattamento che aggiunge ai principi di piacere e realtà un principio di prestazione,dell’avere, che categorizza il super ego come struttura reazionaria, che reifica ed aliena le stesse categorie ontologiche (come darà ad intendere in seguito Bloch), che desublima repressivamente la creatività dell’individuo con il produttivismo, la pubblicità e l’iper consumismo.

A testimoniare questa introduzione forzata alle logiche del capitale, cara all’uniformità conformista tale da far assorbire al subalterno l’«archetipo» della dimensione sociale dominante, esiste un particolare esperimento anglosassone consistente nel rendere pratica la parabola del ricco e del povero ma, al posto di commedie farsesche alla Eddie Murphy o fiabe popolari, vengono scambiati un ricco ed un povero, il primo vestito di abiti di ultima scelta fornito di una carta di credito Black Centurion, il secondo calato nei sontuosi panni di Armani o Valentino con l’immancabile Mont Blanc in tasca. Ebbene, costui assorbendo sin dalla culla la visione stereotipata del ricco non ha problemi a comprarsi i servizi d’un miliardario poiché si comporta come tale. Si può chiamar “aura del denaro” ma, materialmente, è solo la visione egemonizzata d’una realtà diventata istituzione nell’immaginario collettivo.

IL CONSUMISMO

Serge Latouche, professore di Scienze Economiche francese di cui è propria la citazione a testa dello scritto, è il maggior critico dell’ottica consumistica ed è il creatore dell’analisi circa la “obsolescenza programmata”. Questa dinamica produttiva induce il produttore a fornire realtà che sviano la volontà del singolo e determinano la propria sostituzione come necessaria. Ovviamente il detto di roosveltiana memoria “Un acquisto oggi, un disoccupato in meno domani” concorde con la giusta dottrina della domanda effettiva e della piena occupazione di Keynes non è affatto un concetto da ripudiare (di fronte alla corrente mainstream che è più influenzata da Friedman e Von Mises che da Keynes, nonostante la crisi del 2007 e la caduta della teoria quantitativa abbia fermato la sua egemonia) ma è un concetto volatile, volatile come lo stesso concetto di consumismo (non solo relegato all’ottica dell’economia mista) che dovrebbe servire solo in un processo di stabilizzazione strutturale, non dovrebbe essere una condizione da identificare come progresso quanto una realtà partecipante ad una situazione futura, dove, come scrive Ernst Bloch, sì la natura sarà umanizzata ma d’altra parte l’uomo sarà naturalizzato. Questa non è utopia, è necessità performante, a cui bisogna tendere per non realizzare congiunzioni storiche in cui l’uomo dovrà vedersela con i propri mostri, con conseguenze assai più gravi di quelle determinate da Malthus come corollari alla teoria della rendita differenziale.

LA TESI IMPERSONALE

Tramite quest’opera di integrazione statalistica e consumistica i filosofi italiani La Grassa e Preve dimostrano come la classe operaia sia facilmente assimilabile nella logica del capitale tanto da far affermare a Preve:

“Ritengo che ogni concezione della borghesia come classe-soggetto del capitalismo, concezione che porta in fondo a che porta in fondo a identificare i due termini (con la Borghesia che diventa il ‘lato soggettivo’ del Capitalismo, e il Capitalismo che diventa il ‘lato oggettivo’ della Borghesia) sia errata nell’essenziale, e dunque da abbandonare”

Per il nostro autore infatti il capitalismo è sia un sistema autoriproduttivo in cui le crisi sistemiche non lo indeboliscono in vista di una dererminata fine ma eliminano gli sbocchi passivo-inerti oltrepassati dai progressi della tecnica (e quindi dal progressivo divenire dialettico tra le forze di produzione e i rapporti giuridici) andando a cozzare contro le molte interpretazioni marxiste, sia una realtà largamente impersonale in cui la borghesia è un soggetto sociale collettivo complesso:

“L’abitudine a concepire il capitalismo in modo antropomorfico è dura a morire. Il capitalismo, però, non è il teatro delle azioni coscienti di un Soggetto collettivo denominato Borghesia, ma il luogo sistemico di una riproduzione anonima e impersonale, che si tratta di conoscere bene. Il capitalismo ha liberalizzato la sua etica e il suo riferimento alla religione, e lo ha fatto spinto dalla capitalismo ha liberalizzato la sua etica e il suo riferimento alla religione, e lo ha fatto spinto dalla sua intrinseca logica ad allargare la mercificazione universale dei beni e dei servizi, per cui oggi sono mercificati beni e servizi che la borghesia classica intendeva invece preservare dalla sua stessa attività mercificante. I marxisti sciocchi e superficiali naturalmente non capiscono questa distinzione elementare, e continuano a definire ‘forze conservatrici’ le forze economiche e politiche capitalistiche, laddove ovviamente è il contrario. Esse non ‘conservano’ proprio nulla”.

Lo stesso Marx tende spesso nelle sue opere giovanili a considerare l’elemento impersonale del capitalismo, come nei Manoscritti del 1844 in cui, trattando il sistema dell’alienazione,il filosofo tedesco afferma che l’uomo-merce vien prodotto nei meriti della pura forma privata (ciò che intendeva con la parola borgeous avversa al citoyen a cui astrattamente doveva tendere il singolo ne “La Questione Ebraica”), all’“ebetismo degli operai come dei capitalisti”. Marx ed il suo gregario Engels discutendo in polemica con Bauer nel capitolo due e sei de “La Sacra Famiglia” riguardo alla condizione storica dell’Inghilterra ed allo strumento materialista di analisi sociale calcano la mano sulla condizione dell’alienazione bipolare, presente in entrambi le classi solo in maniera soggettivamente diversa: se per la borghesia la sua autoalienazione è la conferma del suo bene stare, per il proletariato porta ad un’esistenza inumana, reificata ed annientatrice.

IL RUOLO FINALE DEL MODELLO DICOTOMICO

Di fronte a questo uragano iconoclastico è corretto definire alcuni spunti di riflessione circa la tendenza impersonale del capitalismo, il ruolo dei subalterni e dei dominanti nella sfera della soggettività. L’Istitute vor Sozialvorschung di Francoforte nel tentativo ben riuscito di coniugare gli antitetici Marx e Weber risalgono dalle differenze tra la concezione hegelo-marxiana di “superamento” dialettico e l’accettazione weberiana dell’individuo rispetto al frazionamento dei valori alla critica della ragione come mito nell’opera “La dialettica dell’illuminismo” scritta da Adorno ed Horkheimer. Ricorrendo all’esempio di Weber del mantello che, dapprima usato per riscaldare, finisce poi per imprigionare l’essere come una “gabbia d’acciaio” come l’accumulo di ricchezza effettuato dai protestanti finisce a lungo andare per diventare fine a se stesso porta la religione prima come principale manifestazione spirituale di un cambiamento dei rapporti ad annientarsi in nome di una razionalità rispetto allo scopo, che si sostituisce alla dinamica della “razionalità rispetto al valore”, l’accumulo domina l’uomo e la sua contingenza, razionalizzando strumentalmente ogni campo della vita tale da rendere la ragione diventata strumentale (e la matrice illuministico-borghese da cui questa è venerata) incapace di criticare e smascherare la realtà, ponendola a mito facendo regredire lo stesso Illuminismo che da filosofia che vorrebbe portare alla liberazione dell’uomo attraverso la ragione in realtà dialetticamente lo incatena a un nuovo mito, al dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Dominio che invece avviene da come la dialettica servo-padrone di Hegel, per cui ciascuna delle due autocoscienze ambisce ad essere riconosciuta divenendo una la padrona e l’altra la serva, serva che plasmando la natura circostante per l’autocoscenza padrona a sua volta facendo l’attività più umanizzante fa diventare nella sua limitatezza la padrona a sua volta serva per cui l’uomo prodotto dalla razionalità strumentale può così scegliere tra molteplici valori in cui però non v’è alcun contatto in un smarrimento generalizzato della libertà, come all’interno di “gabbia d’acciaio”. In simil modo Marx ne Das Kapital, mutuando da Platone, la condizione di costrizione della stessa classe borghese nella sua autoalienazione: come il tiranno della Repubblica è a sua volta vittima della sua posizione, sempre pendente al subire una ribellione da parte degli schiavi e quindi schiavo dei propri stessi schiavi, il borghese vive in stato d’assedio come la casa d’ogni singolo nell’epidemia di peste di Manchester. Come l’uomo si aliena dalla sua natura sociale generica oggettivando forzosamente il soggettivo e facendosi forza produttrice che si rimette alla tecnica insita nella riproduzione allargata, tanto più egli si inginocchia di fronte alle merci prodotte, con la conseguenza che i rapporti tra uomini assumono la parvenza di rapporti tra merci:

“La società assume la forma di un rapporto tra cose […]. Anziché averne il dominio, l’uomo ne è dominato”.

I rapporti sociali di produzione che creano a loro volta la tecnica per mezzo della ragione rischiano di determinare in base agli stessi rapporti sociali lo stesso dominio della tecnica sul loro creatore e in questo ordine di idee si può affermare la particolarità della classe soggetto borghesia che determinò la tecnica del capitalismo che rese inerte la coscienza dei subalterni ponendo essi stessi come base totalmente assimilabile alle logiche impersonali. Questo però non è affatto una legittimazione al populismo comunitarista della massa popolare trasversale contro fantomatici gruppi finanziari, infatti come nella logica dialettica la tecnica da dominatore può diventare dominata e il capitalismo da impersonale può diventare personale per conservazione
della propria autoproduzione, ovvero come latentemente nella coscienza subalterna c’è una tendenza alla verità (e, come scrive Bloch, la coscienza in cui la realtà oggettiva pone come potenziale una maggior speranza), anche nella coscienza dominante questa non è un mero travestimento intellettuale di riduzioni delle formazioni ideologiche alla mera espressione di interessi egoistici dei vari gruppi sociali secondo la logica del “cui bono?” (criticata sin dai tempi di Cesare Beccaria), per cui la stessa coscienza di classe borghese, “anche nel corretto accertamento di singoli dati di fatto o momenti dello sviluppo” mostra nel suo rapportarsi alla totalità “i limiti presenti nella coscienza limitata oggettivamente”, dimostrandosi vincolo stesso alla sovversione della tecnica capitalistica, dimostrando ancora l’importanza delle classi subalterne e particolarità della borghesia di personalizzazione per un breve periodo in funzione di garanzia soggettiva. In definitiva la borghesia, determinando la tecnica razionalizzata capitalista, ha portato questa ad uniformare i soggettivi universali (compreso il proprio); in questa circostanza la borghesia rappresenta un soggettivo reificato ed alienato, vincolato dalla sua stessa posizione sociale per cui non si potrebbe convertire ai subalterni se non per azione egemonica di questi ultimi ma potrebbe solo costituire un vincolo al superamento ed una garanzia soggettiva all’autoriproduzione.

Il giovane Habermas supera la concezione francofortista del lavoro come ente puramente negativo (concezione già criticata prima ancora da Fromm e indirettamente dall’inno alla creatività dell’ultimo Marcuse) per cui questi distingue tra “razionalizzazione tecnica”, “razionalizzazione economica” e “razionalizzazione sociale”, non mettendo alla berlina la tecnica in quanto tale piuttosto attaccando senza tregua l’invadenza della razionalizzazione tecnica, un’invadenza che investe la “razionalizzazione sociale” per cui la razionalizzazione tecnica e quella economica devono essere poste al servizio di quella sociale, e non viceversa. Per Bloch la ragione asservita al progresso dell’essere umano nel suo ambito di essenza sociale generica (la versione marxiana dello zoon politikon aristotelico) può veramente asservire la tecnica solamente se associata ad una “corrente calda” , la speranza come carattere conoscitivo veggente, che permette al pensiero di articolarsi al di là dell’immediatezza del vissuto:

“Kant parlava della candida colomba della ragione che pensa che l’aria gli possa essere di ostacolo, senza rendersi conto che è proprio essa a sostenere il suo volo. Si potrebbe dire con questa immagine che la speranza è in Bloch l’aria che sostiene la ragione, senza la speranza la ragione non potrebbe volare e senza la ragione però la speranza sarebbe cieca.”

— Elia Pupil (Compagno Elia)

 

FONTI

Storia e Coscienza di Classe di Gyorgy Lukacs
Articoli di Serge Latouche
Marxismo e Filosofia in Costanzo Preve di Alessando Monchietto
Dialettica dell’Illuminismo di Theodor Adorno e Max Horkheimer
Bloch e il Principio della Speranza di Remo Bodei
Apparato critico su Habermas e La dialettica della razionalizzazione di Diego Fusaro
Das Kapital di K.Marx
La Sacra Famiglia di K.Marx e F.Engels
La Questione Ebraica di K.Marx
Quaderni dal Carcere di A.Gramsci

0 Replies to “LA TENDENZA IMPERSONALE DEL CAPITALISMO”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *