La Marcia Romana dei fascisti & lo squadrismo nei partiti “comunisti”

IMG_20180115_224045

La settimana scorsa si svolse a Roma un corteo di svariate organizzazioni nazionali ed estere di stampo postfascista per commemorare, come sostiene la targa affissa sette anni fa, gli «assassinati dall’odio comunista e dai servi dello Stato», ovvero due militanti del Movimento Sociale Italiano uccisi in un raid terroristico da parte di ignoti. A ciò seguirono delle sommosse fasciste, dove fu ucciso il terzo, tale Stefano Recchioni, per un colpo sparato da un capitano dei Carabinieri che tentavano di acquietare i moti armati dei giovani missini, privi della gerarchia di partito che era rimasta accomodante con le forze dell’ordine.

Nonostante sia definito come “corteo”, la cadenza del passo e l’ordine quasi paramilitare dei manifestanti è fin troppo similare alle marce in stile Freikorps o dei fasci di combattimento. Si tratta infatti, con l’appello Presente! che risuonava nella città allibita, di una vera e propria manifestazione di forza da parte di quei fascisti che di fascista hanno solo l’impostazione nazionalista e dittatoriale, se non addirittura razzista. Spesso gli esponenti di tali organizzazioni sono infatti ancora legati alla superata teoria delle razze, in voga nella prima metà del XX secolo in concomitanza coi regimi a cui questi soggetti si ispirano.

Pur essendo nata come una vera e propria filosofia da Gentile ed Evola, quella fascista si è ridotta a mera ideologia (ovvero un falso ideale) a causa della disastrosa applicazione di Mussolini e dei miti che questa applicazione ha sollevato. Per non parlare delle contraddizioni in termini economico-sociali sul corporativismo, che vedono le guerre di classe secondarie rispetto al sentimento nazionale, perciò in nome di questo si piegano gli interessi delle due classi per il benessere della nazione. Ciò però non conta la divisione dei poteri che consegue alla presenza stessa delle due classi, la classe padronale, in quanto rettrice dello Stato, col corporativismo farebbe coincidere i propri interessi con quelli della nazione, e costringerebbe le classi subalterne alla sua egemonia culturale. Di converso, le classi subalterne potranno avere un’influenza sullo Stato solo se minano le basi dell’altra classe, quella possidente. Lo Stato infatti viene visto erroneamente, non come il mezzo dell’oppressione di una classe sull’altra, ma come organo superclassis emanato dalla volontà della nazione.

Si può capire quindi come in realtà il fascismo abbia la natura di difendere gli interessi padronali anche nella sua filosofia d’origine. Ed è quello che è avvenuto ad Acca Larentia: un partito élitario, che è persino stato al governo per più volte, abbandona i suoi militanti proprio perché altrimenti contravverrebbe agli interessi della classe dominante, poi riconfermati dalle forze dell’ordine. Si capisce come le analisi condotte dai militanti stessi, poi fuoriusciti in gran numero dal MSI, siano erronee. Essi affermano infatti che «per la prima volta i fascisti si ribellarono alle forze dell’ordine. Acca Larentia segnò la rottura definitiva di molti di noi con il MSI. Quell’atteggiamento tiepido e imbarazzato nei confronti di chi aveva ucciso Stefano (Recchioni, ndr) significava che erano disposti a sacrificarci pur di non mettersi contro le forze dell’ordine». Da questa dichiarazione di una militante dell’epoca sull’accaduto e sui fatti immediatamente conseguenti, si capisce come si definissero “fascisti” i militanti, come scissi dalla volontà del partito, quando in realtà è l’esatto contrario: i veri fascisti erano i quadri a capo della gerarchia del MSI, che si sono serviti appunto dei militanti. I fascisti non hanno mai smesso di collaborare e di difendere lo Stato, hanno semplicemente sacrificato dei giovani esaltati e plasmati proprio per essere carne da macello per il partito.

È una storia che sembra già sentita, anche recentemente: la formazione della gioventù all’interno di partiti fortemente élitari non è tipica del MSI dell’epoca, ma si riscontra sempre più in quei partiti autodichiaratisi “comunisti” che impongono su moltissimi giovani intelligenti degli schemi a cui adeguarsi per non contraddire ciò che la gerarchia impone. Un esempio particolarmente ripugnante si ritrova nel Partito Comunista e nel Fronte della Gioventù Comunista, dove si sviluppa un vero e proprio culto della personalità del segretario generale Marco Rizzo, a discapito dell’intelligenza e del diritto allo studio autonomo.

Questi partiti si comportano come il Movimento Sociale Italiano negli anni Settanta, sacrificano giovani come carne da macello per le ecletticità del vertice.

—Compagno Emanuele

0 Replies to “La Marcia Romana dei fascisti & lo squadrismo nei partiti “comunisti””

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *