La creazione di un impianto siderurgico nel Meridione fu favorita dalle politiche di industrializzazione del nostro paese, iniziate già dopo l’Unità d’Italia e portate avanti dai governi sia di destra che di sinistra che si susseguirono. Questo perché l’Italia, da un punto di vista industriale, era indietro rispetto alle grandi nazioni europee nonostante il Nord fosse più industrializzato rispetto al sud; inoltre si voleva produrre acciaio di buona qualità nel nostro paese senza dover ricorrere ai paesi esteri. A tal proposito furono istituite nel corso degli anni varie istituzioni (IRI, FIM, ENI) atte anche a promuovere l’industrializzazione su tutto il territorio nazionale ed a favorire gli investimenti pubblici e privati per portare il nostro Meridione ad un maggiore sviluppo industriale rispetto a quello in cui era stato fino a quel momento (società prevalentemente agricola e presenza del latifondo). Fu istituita proprio per questo la Cassa del Mezzogiorno nell’agosto 1950 per la fornitura di prestiti e capitali da investire nel Sud.
Perché fu scelta Taranto
Secondo lo Studio per la creazione di un polo industriale redatto dalla CEE, la città oggetto dell’investimento doveva avere una dimensione di 250.000/300.000 abitanti e la capacità di ospitarne 500.000 per via dei flussi migratori dalle campagne. Napoli e Salerno erano escluse perché qui il processo di industrializzazione era già iniziato; le coste della Calabria e la Basilicata erano escluse a causa delle modeste dimensioni demografiche. Fu scelta Taranto per la presenza di infrastrutture come il porto e per le sue caratteristiche del territorio, adatto ad ospitare un impianto a ciclo integrale. Il bacino del Mar Grande inoltre offriva la possibilità di accogliere grandi navi mineraliere e carboniere. Occorreva inoltre un terreno di circa 60 ettari collegabili col Mar Grande e con le reti ferroviarie e stradali: Taranto era l’ideale. Con l’approvazione del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, il 9 luglio 1960 iniziarono i lavori di realizzazione dell’impianto a cura delle due maggiori società della Finsider (Ilva e Acciaierie di Cornigliano), i cui impianti tarantini furono fusi nel 1961 nell’Italsider.
Dall’Italsider all’Arcelormittal
L’Italsider di Taranto, di proprietà pubblica, naque nel 1961. Lo stabilimento fu costruito nel Rione Tamburi, su di una superficie complessiva di circa 15.450.000 metri quadrati. Negli anni ’80 fu segnata da una grave crisi, così l’azienda, dopo essere stata riformata dall’IRI sotto il vecchio nome di Ilva nel 1989, fu acquistata dal Gruppo Riva nel maggio 1995 per 2.500 miliardi di lire [ndR circa 2 miliardi di euro attuali]. La privatizzazione dell’Italsider iniziò col governo Dini e continuò con il governo Prodi. Al nuovo proprietario il compito di rilanciare l’azienda, ma emersero subito i primi problemi di inquinamento e di decessi per tumore attribuibili ad esso nella zona di Taranto. Infatti nel 2012 la magistratura dispose il sequestro dell’impianto per violazioni ambientali, cui vennero indagati Emilio Riva, il figlio Nicola ed altri ai vertici dell’azienda. Il 3 dicembre 2012 il governo Monti dispose che l’impianto venga risanato per garantire la salute ed il benessere dei lavoratori e dei cittadini dell’area tarantina e venga ripristinata la produzione, e nel giugno 2013 i Riva lasciarono la guida dell’azienda; così intervenne il governo che decise di commissariare l’ILVA di Taranto. Perciò nel gennaio 2015 l’azienda passò in amministrazione straordinaria sotto la guida di tre commissari: Gnudi, Carrubba e Laghi, e un anno dopo fu pubblicato il bando di gara per l’assegnazione dell’azienda, vinto dall’ArcelorMittal-Mercegallia, ma che vide conferita la proprietà dell’azienda alla sola Arcelormittal per intercessione del Ministro dello Sviluppo Economico nel 2017. Il successore, l’anno seguente, Luigi Di Maio, chiese di indagare sulle procedure di gara, sospettate di non regolarità, tanto che si rivolse anche all’avvocatura ma la questione rimane tuttora in sospeso.
L’impianto siderurgico a Taranto
L’impianto siderurgico ex-Italsider, ex-ILVA ha rappresentato e rappresenta un fenomeno molto importante che può essere analizzato da vari punti di vista. Esso non è solo un luogo dove si lavora o si produce acciaio, esso è anche una realtà che ha trasformato l’ambiente geografico-urbanistico e che ha cambiato l’aspetto economico del nostro Meridione, quello sociale e culturale e soprattutto quello della salute e dell’ambiente.
Aspetto sociale e culturale
La costruzione dello stabilimento Italsider ha richiesto la manodopera di operai edili, di elettricisti, fabbri e tante altre figure di artigiani, persone che nutrivano la speranza di passare da una vita di lavoro precario ad una di lavoro più stabile e ben pagato; molti di loro infatti furono poi assorbiti dall’industria. Ultimata la costruzione dell’impianto, cominciarono ad arrivare dalle campagne molti contadini per lavorare nella fabbrica: questo portò inizialmente alla nascita di quello che veniva chiamato il metalmezzadro, ovvero un contadino che lavorava nell’industria ma che continuava a curare il suo pezzetto di terra e che viveva come aveva vissuto sempre. Col tempo nacque così la figura dell’operaio metalmeccanico, parte integrante del nascente proletariato del Sud, che finalmente aveva un salario fisso, un lavoro stabile e la possibilità di acquistare dei beni che prima non poteva avere: casa, automobile, istruzione, TV et similia.
Ora l’operaio e la sua famiglia potevano usufruire del tempo libero fuori dall’orario di lavoro, con la possibilità di frequentare cinema, pizzeria, bar, associazioni sportive: il salario fisso e le garanzie statali dell’epoca permettevano di garantire ai figli un’istruzione e la possibilità di accedere a posti di lavoro migliori e ben pagati. Certamente la presenza dell’industria ha aumentato il potere d’acquisto delle famiglie ed ha garantito la modernizzazione del Meridione. Ogni famiglia negli anni ’70 e ’80 possedeva almeno un televisore ed una radio che le permetteva di informarsi, divertirsi e soprattutto svolgere il ruolo consumatore dell’uomo nella società contemporanea.
Aspetto geografico-urbanistico
La costruzione dell’impianto siderurgico ha certamente trasformato la geografia dell’area di Taranto, compresa la provincia. L’impianto è sorto in una zona favorevole alla sua nascita: è in pianura, in prossimità di un porto, vicino ad una rete ferroviaria e un’autostrada. La possibilità di lavorare nell’industria ha attratto gente sia dalle campagne che dai centri limitrofi e non. Questo ha portato alla creazione o l’ampliamento di quartieri con la costruzione di palazzine condominiali con annesse aree giochi o passeggiate attrezzate a volte con panchine e zone verdi. A Grottaglie, per esempio, nella zona 167, che negli anni ’80 veniva chiamata semplicemente “sulle palazzine”, vennero ad abitare negli anni passati molte famiglie di operai Italsider che provenivano da altri paesi e da Taranto. Alcune di queste palazzine erano proprio “le case dell’Italsider”, costruite dall’azienda statale per essere vendute con mutui o prestiti agevolati alle famiglie degli operai delle famiglie di Taranto. Anche i quartieri periferici di Taranto si sono ampliati a seguito dell’afflusso di lavoratori nell’industria siderurgica. Oggi il Rione Tamburi è la “metafora della Taranto inquinata” dall’impianto ILVA con sullo sfondo le sue ciminiere: una casa su due è abbandonata e molte facciate sono sporche a causa dei fumi dell’ILVA. Questo Rione è cresciuto negli anni ’60 con la nascita dell’impianto; un tempo era un quartiere residenziale, oggi dire “Tamburi” è come parlare di un posto malsano dove vivere è pericoloso per la salute.
Aspetto sanitario e ambientale
Attraverso le testimonianze dei lavoratori del cimitero di Taranto (in via S. Brunone, a 250 metri dall’ILVA), vi è presente sul terreno un quantitativo enorme di polveri insalubri e cancerogene, tanto che molti di loro si sono nel tempo ammalati di tumore. Queste polveri si sono depositate nel corso degli anni fino a formare uno strato compatto di circa 30 centimetri. Nel terzo dossier del processo ILVA si evidenzia come la presenza di polveri malsane, versamenti di ghisa etc, abbiano contribuito negli anni a causare l’inquinamento della zona di Taranto e fondano l’accusa di disastro ambientale. Sicuramente l’impatto dell’industria siderurgica tarantina sull’ambiente e sulla salute dei lavoratori è negativa: si contano nell’ordine delle migliaia gli ammalati di tumore fra gli ex-lavoratori ILVA e fra gli abitanti della zona tarantina (nei quartieri Tamburi, Borgo, e Paolo VI ogni 18 persone c’è un malato di tumore). L’inquinamento ambientale è sempre stato visibile anche da Grottaglie, con la classica nube grigia che sovrastava le alte ciminiere dell’impianto siderurgico in contrasto con la bellezza dei luoghi circostanti. Nel Rione Tamburi i residenti devono ogni giorno spazzare balconi e scale condominiali che sono ricoperti dalle polveri e ceneri provenienti dalle ciminiere ILVA. Non si possono tenere di giorno le finestre aperte perché c’è il rischio che entrino le polveri e ricoprano sedie, tavoli ed addirittura pentole e cibo. Le polveri sono così sottili che per strada, nel Rione Tamburi, i bambini le respirano mentre giocano. I medici hanno dichiarato che purtroppo si è abbassata l’età media in cui si ha il primo attacco d’asma e che questi ultimi sono notevolmente aumentati. Peacelink, associazione di volontariato per la pace, la legalità e la difesa per l’ambiente sta cercando di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni circa i problemi della salute e dell’ambiente attraverso un intervento attivo sul territorio di Taranto ed in particolare nelle scuole. Anche l’agricoltura ne risente perché il vento trasporta le polveri nocive sulle coltivazioni con il rischio di vedere tornare indietro i prodotti della provincia: è facile infatti vedere nei supermercati persone che non comprano frutta e verdura tarantina o il latte fresco proveniente da zone vicino Taranto. A tutt’oggi è ancora in corso la ricerca di una soluzione per l’impatto dell’impianto siderurgico sulla salute delle persone e dell’ambiente che tenga in considerazione anche la salvaguardia dei posti di lavoro.
Conclusioni e considerazioni
La situazione ad oggi è caratterizzata anche dalla precarietà e dalla paura di perdere il lavoro da parte delle aziende esterne, dei lavoratori partecipanti agli scioperi del 30 settembre e del 1 ottobre 2019, che hanno fatto seguito al licenziamento di 201 lavoratori dell’impresa Castiglia addetta alle pulizie industriali.
La nostra Costituzione recita che «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro», ciò vuol dire che ogni persona ha il dovere ed il diritto al lavoro, che sia dignitoso e rispettoso del suo benessere e con attenzione alla salute. Questo sicuramente non sta avvenendo nell’impianto siderurgico oggi dell’Arcelormittal. Non c’è alcun progresso se non c’è la ricerca continua del benessere comune che comprenda sia il lavoro che la salute, che il rispetto verso l’ambiente e il lavoratore. Bisogna sicuramente risanare l’impianto sia da un punto di vista ambientale che da un punto di vista amministrativo, cosa che fino ad oggi non è stata fatta. Sembra che tutte le amministrazioni ILVA che si sono succedute nel corso degli anni abbiano curato solo i propri interessi senza tener conto dei lavoratori e della terra che ospita l’impianto.
Riappropriamoci della nostra terra.
Tutto l’acciaio del mondo non vale vita di una sola persona.
— Compagno Massimiliano
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