BREXIT: SI’ O NO?

 

brexit

La Brexit, unione delle parole Britain ed Exit, è il nome dato al referendum svoltosi il 23 giugno riguardo la permanenza del Regno Unito nell’UE.
Il referendum, come probabilmente voi tutti sapete, ha visto per pochi voti preferire il “leave”, ossia la scelta di uscire dall’UE, al “remain”, ovvero quella di rimanere nell’Unione.
Il Premier Cameron, che aveva annunciato di dimettersi nel caso di uscita dall’UE, ha mantenuto le sue promesse.
Ironicamente fu proprio lui, nell’ormai lontano 2013 a proporre questo referendum, per mantener calma la parte più euroscettica del Partito Conservatore e per aumentare il proprio potere contrattuale a livello europeo.
Andiamo ora ad analizzare le cause per le quali il popolo del Regno Unito ha preferito il Remain al Leave :
1) Secondo molti studiosi il Regno Unito non si sente legato agli altri popoli europei, in quanto non confinante con nessuno di essi, preferendo a loro gli USA e le altre sue ex  colonie facenti parte del Commonwealth.                                                                               Questa teoria è avvalorata da fatti incontestabili; in primis l’atteggiamento “prezioso” come  l’accettare solo parzialmente l’Acquis di Schengen (il trattato di libera circolazione di uomini e merci) in quanto Gran Bretagna e Irlanda mantengono i controlli alle frontiere (così complicando ulteriormente l’attuale già difficile realtà europea che si scontra con la realtà migratoria) o il mantenimento della moneta unica.                                       In secundis è basta analizzare la storia dell’UE per capire che il Regno Unito era ed è più vicino al Patto Atlantico col corrispondente americano o con le proprie colonie  che  col corrispondente europeo: l’esempio della Guerra delle Falkland è fra i più eclatanti. Infatti  i parlamentari europei inglesi votarono a sfavore molte proposte italiane o appoggiate all’Italia per via di un forte sentimento di rivalsa nei confronti di questi ultimi dato dal nostro diniego nei confronti dell’intervento britannico alle Falkland (per il semplice motivo che l’antagonista britannico era l’Argentina, paese con un’altissima percentuale demografica di italiani).
2)Gli elettori   non erano ben informati sulle conseguenze del Leave.                                                                                                                                                               Infatti è risaputo che uno dei cavalli di battaglia di Farage e Johnson, ovvero far leva sul presunto risparmio di 350 milioni di sterline ogni settimana che, nel caso dell’uscita per il leader dell’Ukip, verrebbero finalizzate al finanziamento del sistema sanitario; due giorni dopo l’uscita nella propria vergogna additato dalla gogna mediatica nazionale Farrage ammise che quella era una falsità finalizzata alla sola presa di consensi con un “Non posso” ipocrita.
3) La paura ha avuto il suo effetto sugli elettori, paura per le leggi sui migranti, di una svalutazione della sterlina e, assieme a questa paura, si è aggiunto nelle menti un sentimento nazionalistico ancora in circolo nel sangue inglese, presente specialmente nella maggioranza di chi votò per il Leave, ovvero per la maggior parte ultra sessantenni. Ciò è dato da un sentimento dettato dalla deplorazione del presente rimpiangendo un passato mitico e glorioso, il passato dell’Impero Britannico,  il classico atteggiamento riassunto nella frase latina “Laudator temporis acti”.

Tutti gli organi di informazione ufficiali sottolineavano che la brexit non avrebbe portato con se conseguenze economiche dannose ai paesi facenti parte dell’UE (negli ultimi giorni si erano accordati nel dire che c’era la possibilità di leggeri danni al sistema economico e finanziario europeo), eppur, stranamente, è accaduto il contrario ovvero il fenomeno predetto da organi meno “ufficiali”, ovvero che il fenomeno brexit si sarebbe allargato in tutto l’ambiente europeo, in particolare negli stati economicamente più deboli (come Italia, Grecia e Spagna). Infatti subito dopo l’uscita la sterlina perse 10 punti percentuali  rispetto all’euro, innescando il crollo del valore della sterlina e la relativa inflazione conseguente.  Parlando semplicemente ci ritroveremmo nella situazione della “goccia sullo specchio d’acqua”, ovvero di un fenomeno preciso che si ripercuote su tutta la superficie: nell’ambiente della finanza infatti dopo la fine dell’era Keynesiana la finanza punta a investimenti sempre più rischiosi e immediati che hanno l’estrema proprietà di arricchire realmente pochi fortunati. Tutto ciò è coadiuvato dalla presenza di una forte oligarchia finanziaria (come la chiamò Lenin nella sua teoria dell’imperialismo) che va a fondersi con l’apparato statale,quindi portando la stessa finanza ad essere sempre più suscettibile e indifesa ai cambiamenti politici e viceversa. Questa onda d’urto si ripercuote negli ambienti finanziari mondiali, in particolare a quelli più correlati, portando così al panico nelle Borse Valori con un vero e proprio ciclone di vendite dei titoli: il risultato è stato che, al primo giorno post brexit, i titoli sono caduti a livelli abissali, in particolare sono crollate le banche dei paesi europei “fragili” con Atene al -13,42%, Milano al -12,48% e Madrid al -12,35%; la liquidità senza limiti garantita dalle banche centrali non ha fermato la caduta di molti operatori finanziari.                                                                                                                                 Le banche che sono cadute per prime erano quelle con poca liquidità, in primis la Deutsche Bank per poi passare alle banche italiane (come l’Unicredit al -24%); il premier Renzi ha chiesto di sforare il 3% *’, finalizzato a rientrare nei parametri della CET 1  RATIO *”, cercando di attrarre investimenti con i risultati dei stress test*”’, i quali non sono bastati, portando così al rischio fallimento  e, quindi  dell’applicazione del Bail In *”” . Tutto ciò è aggravato dalle sofferenze bancarie, ovvero i crediti deteriorati che non saranno più recuperati (per i quali si cerca una soluzione di mercato con Bruxelles). Ora, nonostante le continue iniezioni di liquidità delle banche centrali (l’ultima di 8 miliardi di € a Unicredit, che comunque chiude al -16%) si inizia a parlare di credit crunch,  ovvero poco denaro in circolo nonostante questi afflussi di denaro, dato dagli effetti della brexit come il calo delle quotazioni in borsa.                                      Tutto ciò sta portando l’Italia a un trimestre di nuovo negativo rispetto la produzione industriale, con una relativa frenata del PIL, che dal progresso teorico del +0.25% si abbassa praticamente al +0.15%, frenando il settore costruzioni ed il settore esportazioni.

 La situazione brexit neanche adesso si è stabilizzata, in Gran Bretagna si è appena stabilizzata la situazione politica con l’elezione della nuova primo ministro, nonostante né governo, né comitato pro brexit né le opposizioni con i loro famosi “ministri fantasma” hanno un piano serio e studiato per l’uscita della nazione, ma questo sembra il problema minore.

Ezra Pound sottolineava che, nell’economia moderna, la finanza che dovrebbe aiutare l’economia ha fatto diventare quest’ultima sua subordinata, tenendo così il sistema statale che, teoricamente, non avrebbe bisogno di indebitarsi poiché è lui che possiede il credito, attaccato a fili invisibili manovrati da oligarchie private di stampo finanziario; l’esempio europeo è uno dei più eclatanti, dove, prima di essere integrate culturalmente e socialmente, si è pensato subito a manovre economiche e finanziarie. Questa realtà ha portato realmente l’Europa ad esser governata dagli istituti di credito; noi auspichiamo ad un ritorno al reale concetto di Unione Europea voluta da Spinelli nel suo “Manifesto di Ventotene”, ovvero non un’unione di oligarchie finanziarie nazionali ma una vera unione di popoli. -Compagni Elia ed Eugenio

*’Il limite del 3% è il limite invalicabile dato dal rapporto deficit/PIL nazionale. Come dirà in seguito l’inventore di questa formula sul parametro del 3% «Parametro deciso in meno di un’ora, senza basi teoriche».

*”La CET 1 RATIO è un parametro che misura la solidità di una banca dato dal rapporto in percentuale del patrimonio di una banca con i rischi correlati; più alta sarà la percentuale, più solida sarà la banca

*”’ Gli stress test sono gli accertamenti  della solidità di un istituto di credito, effettuato mediante la simulazione di diversi scenari economici e finanziari e la valutazione del loro impatto sul bilancio e sul capitale dell’istituto.

*””il Bail-in (o decreto salva-banche) è la svalutazione di azioni e crediti e la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà (o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali). Detto così, nella freddezza del linguaggio “formale”,non fa alcun effetto al lettore; infatti bisogna analizzare le conseguenze sul risparmiatore per far capire di che norma si parla. Questo decreto salva-banche colpisce direttamente le tasche del risparmiatore con un’ordine gerarchico: quando si prospetta un crack di una determinata banca nel tentativo di salvarla prima si svalutano le azioni e gli strumenti di capitale,poi i titoli subordinati,in seguito le obbligazioni e le altre passività amissibili e,infine,i depositi maggiori di 100 000 € appartenenti ai singoli risparmiatori. Così facendo si incentivano scandali come quello di Banca Etruria,dove centinaia di risparmiatori (la cui maggior parte era costituita da persone ormai in pensione) vennero “derubati” dalla propria banca,lasciando gli amministratori delegati impuniti e con uno stipendio duplicato.

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