Chico Mendes: dal Brasile la questione ambientale

Il 22 dicembre 2018 sarà il trentesimo anniversario dell’uccisione di Chico Mendes, storico leader sindacale brasiliano che per tutta la sua vita ha lottato per la difesa dell’Amazzonia e dei popolo indigeni che la abitano.

Nasce nel 1944 a Xapurí, nello stato dell’Acre, da una famiglia di seringueiros, gli operai che estraggono il lattice per la fabbricazione della gomma dall’albero della gomma. A partire dall’età di nove anni segue il padre nel proprio lavoro, imparando questo duro mestiere in una terra aspra, segnata da una povertà tremenda e dalla violenza, che nonostante ciò amava e preferiva alla città dove: “bisogna pagare tutto, anche l’acqua che il buon Dio ci ha dato gratuitamente”.

L’incontro che gli cambierà per sempre la vita è quello con il militante comunista Fernando Euclides Távora, a cui la sua famiglia aveva offerto rifugio dalla repressione della dittatura militare, e che gli insegnò a leggere e scrivere a 19 anni. Oltre a questo, gli fece capire il valore della giustizia sociale e la necessità di organizzarsi per combattere per i propri diritti e contro lo sfruttamento.
Euclides fu uno dei capi della rivolta comunista del 1935 a Fortaleza, capitale dello stato del Ceará, in seguito partecipò alla rivoluzione del 1952 in Bolivia. Tornato in Brasile, trovò rifugio nello stato dell’Acre, anche visto il clima di repressione creatosi dopo il golpe militare del 1962.

Il regime militare intendeva trasformare l’Amazzonia, con il piano di integrazione nazionale del 1970, in un’area in cui realizzare progetti legati all’attività mineraria, alla produzione di legname e all’agricoltura e all’allevamento intensivo. Per fare ciò, lasceranno sul campo il 13% della superficie dello Stato dell’Arce disboscata, portando nella zona i sanguinari fazendeiros del Sud, alla ricerca di nuove terre da conquistare e sfruttare.

Chico Mendes metterà presto in campo gli insegnamenti del suo maestro, organizzando il sindacato dei lavoratori rurali nel 1975 e organizzando nel 1976 la prima “empates”, una forma di protesta non violenta che consiste nella formazione di una barriera umana per fermare la deforestazione. Queste lotte vedranno unirsi in un unico fronte seringueiros e popolazione indigena, storicamente ostili, contro le brutali azioni del governo.

I risultati saranno importanti, 15 vittorie e 30 sconfitte.
Ogni vittoria rappresenta ettari di foresta salvata, lavoro dei seringueiros salvato e possibilità di continuare a vivere normalmente nella propria terra, da cui ricavare i propri mezzi di sussistenza, per gli indios, perché come diceva Chico:

“un ettaro di foresta produce in gomma, noci, resine, frutta, molto di più di un ettaro dedicato al bestiame”.

In questo periodo delinea con esattezza alcuni punti programmatici per affrontare i problemi legati all’ambiente e all’agricoltura in Brasile.
Per prima cosa chiarisce il valore fondamentale dell’alleanza con gli indios“non c’è difesa della giungla senza la difesa dei popoli della giungla”. In questo anticipa di qualche decennio uno dei pilastri dei movimenti progressisti dell’America Latina di inizio millennio, basti pensare alle lotte di Morales in Bolivia oppure all’importanza data agli indios da parte dei presidenti Chávez, Correa e Lula. Senza parlare degli zapatisti in Messico che nel 1994 fecero la loro comparsa nelle alture del Chiapas e che hanno la difesa dei popoli indigeni tra i propri obiettivi principali.

Chico Mendes ha osservato che la lotta dei raccoglitori della gomma è stata una lotta per gli interessi dell’umanità e, a poco a poco, si è convinto che oltre allo sfruttamento dei lavoratori, il capitalismo vanta una forza distruttiva vorace che va combattuta. Così, Mendes divenne uno dei più importanti esponenti dell’ecosocialismo, combinando la lotta contro la devastazione ecologica con la lotta contro lo sfruttamento e il capitalismo.

Nel 1984, in un incontro nazionale dei lavoratori rurali, Chico Mendes ha difeso una proposta, audace per l’epoca, sostenendo che la riforma agraria, ancora attesa in Brasile come dimostra la forza del Movimento dei Senza Terra, deve rispettare i contesti sociali e culturali e, un anno più tardi, quando ha fondato il Consiglio Nazionale Seringueiros a Brasilia, inizia a sviluppare, insieme ai suoi compagni, il modello della Riserva Estrattivista. In queste riserve, destinate alle popolazioni indigene, gli indios ricavano i propri mezzi di sussistenza attraverso pratiche sostenibili. Vengono introdotte nel 1990 e attualmente sono 59, per un totale di 12 milioni di ettari.

Francesco Bilotta, su Extraterrestre, ci spiega la sua trasformazione in simbolo internazionale dell’ambientalismo:

«Il cineasta inglese Adrian Cowell documenta l’attività di Mendes in difesa dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, mostrando anche, attraverso numerosi documentari, l’attività di deforestazione nella cosiddetta “decade della distruzione”. […] In quegli anni anche la costruzione della strada transamazzonica BR-364 ha effetti disastrosi sull’ambiente e sulle popolazioni. Nel 1987 un satellite rileva gli incendi nella regione amazzonica, in particolare nelle aree attraversate dalla nuova strada: ai lati della BR-364 si registrano più di 200 mila incendi, con l’immissione di 500 milioni di tonnellate di carbonio, il 10% di tutti i gas serra che vengono emessi in un anno nel mondo. Mendes si rivolge all’ONU e al Senato Usa, chiedendo la sospensione dei finanziamenti per quell’opera che distruggeva la foresta. Una delegazione dell’ONU si reca in Brasile, il Senato invita le banche a sospendere i finanziamenti in attesa degli studi di impatto ambientale del governo brasiliano. Mister Mendes, come lo definiscono i giornali americani, ha oramai portato nel mondo la “questione amazzonica”. Con la fine della dittatura militare, viene promulgata nell’ottobre del 1988 la Costituzione brasiliana. Mendes partecipa ai lavori dell’Assemblea costituente come referente per l’ambiente».

Le sue lotte culminano nell’adesione al combattivo PT (Partido dos Trabalhadores, Partito dei Lavoratori), alla cui fondazione partecipa attivamente, nel 1980 dove incontra un altro leader sindacale che viene come lui dalle masse, Lula.
Venne assassinato il 22 dicembre del 1988 da due fazenderos nella sua capanna di legno, davanti alla moglie e ai figli.

Ci ha però lasciato in eredità tutta un’esperienza pratica e teorica, comune ad altri compagni che in giro per il mondo hanno lavorato e lavorano sulla connessione tra questione ambientale e superamento del modo di produzione capitalista, come André Gorz e Alain Lipietz in Francia, Alexander Langer in Italia e Zhang Yunfei in Cina.
La sua storia ci interroga sulla necessità di legare queste due questioni per entrare nel mondo dell’ecologia profonda da cui partire per sviluppare una teoria e una pratica ambientalista anticapitalista.

A maggior ragione la questione assume una certa importanza data la controffensiva di capi politici alla guida di nazioni importanti che negano apertamente il cambiamento climatico, spacciandolo per un complotto comunista al servizio della Cina, da cui invece dovrebbero prendere esempio, sfoggiando un maccartismo d’antan. A Trump, il quale vorrebbe prevenire gli incendi semplicemente tagliando gli alberi, fa eco il suo fedele vassallo Bolsonaro, prossimo presidente del Brasile.

Il paese di Chico Mendes, a trent’anni dalla sua scomparsa, rischia di piombare di nuovo nella lunga notte della dittatura militare. Alcuni futuri ministri di Bolsonaro già hanno parlato di complotto cinese per quanto riguarda il cambiamento climatico e si apprestano a consegnare l’Amazzonia all’agribusiness più spietato.

Non resta che resistere, prendendo in mano la bussola che Chico già ha donato e lottare per un cambiamento dello stato di cose presenti in linea con un ambientalismo anticapitalista per far emergere quel cambiamento nella società che con queste brillanti parole sintetizzò Alexander Langer:

«a una visione del mondo incentrata su un’idea di sviluppo fatta di mercificazione, competitività e crescita (citius, altius, fortius: più veloce, più alto, più forte) vogliamo opporre un’alternativa rovesciando il motto olimpico: più lentamente, più in profondità, con più dolcezza. Lentius, profundius, soavius».

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