A Roma, parlando di Russia e marxismo

La professoressa Anna V. Očkina (sx) e il professor Boris J. Kagarlickij (centro)

In una soleggiata domenica mattina romana di Febbraio ho avuto il piacere di conversare con due notevoli intellettuali marxisti russi: Boris J. Kagarlickij e Anna V. Očkina.
Ho parlato con Boris via email a Novembre, rimando alla sua intervista per conoscere la sua biografia, e mi ha dato appuntamento per un incontro dal vivo a Febbraio per poter parlare meglio della situazione del movimento comunista in Russia.
Anna insegna all’Università di Penza, città situata a 700 Km a sudest di Mosca, dove scorre il fiume Sura, dove si occupa dello studio dei movimenti di protesta nella Russia di Putin.

Penza, Penzenskaja Oblast’, Russia

Abbiamo avuto un’interessante conversazione, facilitata dalla buona comprensione dell’italiano di Boris, studiato per leggere Gramsci, partendo dalla situazione del movimento comunista nei rispettivi paesi.
Per descrivere la Russia di oggi siamo partiti proprio dall’analisi socio-economica della regione dov’è situata Penza. Rappresenta la tipica città russa, diventando quindi un buon esempio per comprendere molti aspetti di questo paese.
Penza è una città di medie dimensioni, in una regione con quasi 1 milione e cinquecentomila abitanti, circondata da campagne capitalisticamente sviluppate. Sorgono delle nette differenze tra il Sud ed il Nord della regione, con il primo capitalisticamente sviluppato, con piccole e medie imprese, ed il Nord a vocazione agricola e le industrie alimentari orientate al commercio con l’estero. Anna segnala la dipendenza dalle corporazioni moscovite che portando i propri capitali nella regione distruggono lo sviluppo delle imprese locali, favorite dalla presenza di una parassitaria borghesia compradora che possiede più auto di lusso di tutta la città di Roma.
Rispetto all’epoca sovietica è rimasto in piedi appena il 10% del tessuto industriale, con la scomparsa, in particolare, delle industrie legate al complesso militare-industriale sovietico e all’aeronautica. Esistevano 14 fabbriche specializzate in questo settore, specialmente negli aerei civili, oggi ne rimangono appena 2.
La regione ha tre principali risorse da sfruttare: la corruzione, l’uso dei fondi federali e la piccola impresa specializzata nei servizi.

Fabbrica di armamenti a Penza

Due domande ho posto ai miei interlocutori: se fosse possibile paragonare il processo di deindustrializzazione in atto in Italia con quanto avvenuto in Russia dopo il crollo dell’URSS e come campasse, in una situazione così drammatica, la popolazione.
Per quanto riguarda la prima questione, la differenza risiede sostanzialmente nel risultato finale. In Italia le industrie chiudono per delocalizzare in paesi con minori costi del lavoro, sfruttando la libera circolazione dei capitali in UE, mentre in Russia c’è una distruzione di capitale fine a se stessa. Le fabbriche chiudono senza spostare la produzione altrove, pura distruzione che rende bene l’idea del capitalismo dipendente russo.
La seconda questione ci permette di allargare il campo dell’obiettivo a tutto il paese.
La gente è impiegata nelle piccole e medie imprese o lavora per lo Stato. L’istruzione per la popolazione russa significa, diversamente dall’Italia, la possibilità di un’ascesa sociale ma nel corso degli anni ha subito un processo di privatizzazione simile a quanto avvenuto in tutto l’Occidente.
Chiaramente una scuola privata consente di accedere a posti di lavoro maggiormente remunerati.

Resta in piedi un sistema sanitario pubblico e di qualità che ultimamente vede in prima linea i medici russi impegnati in un duro sciopero condotto dal sindacato “Azione” che ha tra i suoi leader il combattivo Andrei Konoval. Konoval è un sindacalista di orientamento marxista profondamente disprezzato dal dirigente comunista russo più famoso a livello internazionale, ovvero Zjuganov.
Esistono anche sindacati orientati su posizioni riformiste che cercano di lottare per un miglioramento della qualità della vita della gente comune, scontrandosi con l’autorità statale.

Da qui arriviamo a ragionare sulla situazione politica russa.
Entrambi criticano aspramente Zjuganov che non considerano un comunista ma una stampella da sinistra di Putin e che quindi tutela lo status quo ed è pieno di opportunisti che nulla hanno a che fare con il comunismo, con l’eccezione, ad esempio, di Levčenko, governatore di Irkutsk.
Anna è stata responsabile di Russia Giusta [Справедливая Россия, Spravedlivaja Rossija] nella regione di Penza, partito socialdemocratico che intende realizzare il socialismo democratico in Russia tutelando gli interessi della gente comune e nazionalizzando le risorse del paese che sono state privatizzate.
Russia Giusta gode di un consenso intorno al 5%, nel 2011 si avvicinò al 20% a livello nazionale prima di crollare rovinosamente.
In alcune regioni mantiene un consenso elevato, come ad Astrachan.
Il consenso di Putin non è più solido come un tempo, neanche il distrattore Crimea-Donbass fa più effetto e se Zjuganov ottiene ottimi risultati nelle elezioni locali è perché funge da catalizzatore contro Putin, in quanto leader del partito di opposizione più forte.
Sul Fronte di Sinistra [Левый Фронт, Levyj Front] sorgono dubbi e incertezze sul suo orientamento ideologico e politico, nonostante Kagarlickij abbia partecipato alla sua fondazione prima di un successivo allontanamento.
Anche su Navalnij sorgono dubbi, viene definito un populista confusionario. Ragiona da liberale ma ha recentemente appoggiato Bernie Sanders nella sua corsa alle presidenziali degli USA, con tanto di urla disperate della borghesia russa che scambia un riformista per un nuovo Lenin, ormai anche Keynes sembra una guardia rossa.
Lo abbiamo paragonato al neo eletto presidente ucraino Zelenskij, molte idee e confuse.

Boris arriva alla conclusione che in Russia serve assolutamente un politico paragonabile a Sanders, c’è la necessità di far capire alla gente che la quotidianità fatta di privazioni e vita scambiata per la sopravvivenza può essere modificata dall’azione politica.
Risulta necessario scendere a patti con un programma minimo, anche espressione di un’utile socialdemocrazia di lotta, rinunciando a pretese che nascono da una visione politica avanzata come può essere la nostra.
In Russia occorre una lotta di liberazione nazionale per riappropriarsi delle risorse e della ricchezza del paese, come in una nazione dell’America Latina, a dimostrazione di come si possa parlare, nel caso dell’URSS, di un paese sviluppato che è tornato nel sottosviluppo.
Ci congediamo parlando nella metro di Roma della città di Boris, Mosca, vittima della speculazione edilizia che sta distruggendo i suoi famosi parchi. I russi si scontrano con un potere che semplicemente ignora l’opinione pubblica. Ai tempi di Brežnev la repressione colpiva gli intellettuali ma c’era la possibilità di bloccare delle opere pubbliche che danneggiavano la popolazione, ora no.
La Russia da superpotenza mondiale si è trasformata in impero periferico che vende materie prime al miglior offerente, dando l’illusione di potersi integrare nel centro del sistema-mondo capitalistico, penso ai tentativi di agganciarsi alla potenza industriale tedesca in cambio delle proprie materie prime.
La lotta continua, in Russia come in Italia siamo chiamati, in quanto comunisti, a riappropriarci dell’idea di un futuro alternativo all’eterno presente del realismo capitalista.

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