Tra sardine, Salvini e crisi industriali sta entrando nel vivo il dibattito sulla riforma del MES, ovvero, l’istituzionalizzazione del Fondo Salva Stati con il relativo inasprimento della disciplina di bilancio.
Il mercantilismo tedesco prova a salvarsi e lo fa a discapito delle altre nazioni europee, in una lotta per la sopravvivenza che vede come prime vittime le nazioni del Sud Europa come la nostra. C’è poco da dire su questo modello nefasto di cui in più occasioni abbiamo parlato, basti ricordare che questo concentrato di deflazione salariale e trappola della liquidità che è l’UE rischia di essere messa all’angolo da un’eventuale accordo tra i due motori dell’economia mondiale: Cina ed USA.
Mentre in Cina il tasso d’investimento è del 41%, in Europa è del 19%, ecco spiegato perché i cinesi conquistano posizioni di forza nei settori economici più innovativi e portano avanti politiche di reflazione salariale dal 2008, mentre in Europa rimaniamo fermi al modello mercantilista e abbiamo una deflazione salariale che ha impoverito i ceti popolari. Il commercio totale pesa sull’eurozona per il 78% del PIL, mentre è pari al 28% per quello statunitense e del 38% per quello cinese.
Ora, la domanda da porsi è: come si salverà la Germania dal proprio collasso?
Con un’economia in crisi ed un sistema bancario sull’orlo del fallimento, i padroni tedeschi hanno pensato bene di cercare il profitto dentro l’eurozona, inasprendo le regole europee e creando questo FMI europeo senza i vincoli politici della BCE e gestito esattamente come un’azienda, quindi da tecnocrati senza alcuna legittimità popolare. L’obiettivo sono solo gli asset dei “fratelli europei” da ottenere mediante le linee di credito aperte dal MES che potranno essere di due tipi: PCCL ed ECCL.
Nel primo caso la precondizione è che la nazione interessata abbia rispettato tutti i deliranti parametri europei del Fiscal Compact (rapporto deficit/PIL del 3% e riduzione del debito pubblico sotto il 60% del PIL). Chiaramente sono obiettivi impossibili per nazioni come l’Italia o la Grecia e quindi esiste l’opzione ECCL.
Ti forniamo il credito ma devi rispettare un rigido programma di aggiustamenti strutturali sotto la nostra attenta supervisione, come fa il FMI nei paesi a capitalismo periferico dell’Africa o dell’America Latina. Questa opzione favorisce enormemente la speculazione attraverso la vendita dei titoli del debito pubblico, abbassando il loro valore e aumentando i tassi d’interesse. Inoltre le Clausole di Azione Collettiva ampliano lo spettro dei titoli soggetti a questa ristrutturazione, realizzando un bail-in di massa che da un lato favorisce gli speculatori e dall’altro danneggia risparmiatori e chi investe in titoli di Stato.
C’è un’opposizione forte a questo progetto che nasce anche tra le fila dei padroni, in particolare nel sistema bancario italiano e nei boiardi di Stato che vorrebbero spingere il governo al confronto con l’UE per ottenere regole meno sbilanciate a favore della Germania.
Vogliamo lasciarvi con Vladimiro Giacché, che presto vedrete intervistato sul nostro sito, presidente del Centro Europa ricerche, e le sue parole alla Camera davanti alle commissioni Bilancio e Politiche UE sul MES.
In questi anni, nell’Eurozona, è aumentata la dipendenza dalla crescita della domanda estera. A tale dipendenza si fa riferimento, almeno indirettamente, nella proposta di riforma del Mes. Si tratta tuttavia di un richiamo nettamente sottodimensionato rispetto all’attenzione prestata agli indicatori di finanza pubblica. Sebbene questa sproporzione possa sembrare ovvia, dal momento che si vuole associare il Mes a rischi inerenti il debito pubblico, essa rappresenta invece un ennesimo errore di prospettiva nell’impostazione della politica economica europea. Il Mes costituisce un ulteriore rafforzamento delle regole che disciplinano la politica di bilancio dei Paesi dell’Eurozona, muovendosi in perfetta linea di continuità con le modifiche apportate al Patto di stabilità nel 2012. Riguardo agli aspetti più tecnici della riforma, posso anticipare di condividere le argomentate perplessità già espresse in questa sede dal professor Giampaolo Galli.
Occorre porsi due domande di fondo: il Mes è utile all’Eurozona? è utile all’Italia?
Riguardo alla prima domanda, per rispondere occorre verificare in quale misura il debito pubblico – e in generale i problemi inerenti alla disciplina di bilancio – costituiscano oggi un fattore di rischio per la moneta unica. Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’Eurozona si sia tenuta nel suo insieme ai precetti della disciplina di bilancio, e questo si è riflesso sulle dinamiche del debito, che sono più favorevoli nell’Eurozona rispetto a Stati Uniti e Regno Unito. Ciononostante, il debito è aumentato anche nell’Eurozona, e questo fatto sta spingendo verso l’adozione di meccanismi di controllo ancora più stringenti. Obiettivo a cui mira la riforma del Mes. In sostanza, si ritiene che, non essendo stato conseguito l’obiettivo di riduzione del debito, debba essere rafforzata la disciplina dei Paesi membri. Si compie, a nostro giudizio, un errore di analisi che non dovrebbe essere avallato. La discussione sulla riforma del Mes non può prescindere dalla possibile evoluzione “negativa” degli scambi mondiali e del ciclo di crescita, per un motivo molto semplice: si tratta di fattori che incidono direttamente anche sulle prospettive delle finanze pubbliche. Ci troviamo nuovamente di fronte al tipico problema di uno shock simmetrico – una contrazione degli scambi mondiali – che può generare effetti asimmetrici sulle singole economie. Di fronte ad un indebolimento delle previsioni di crescita, i mercati potrebbero adottare un comportamento di ‘flight to quality’, e penalizzare quindi i Paesi con maggiore livello di debito pubblico come l’Italia. Questo, indipendentemente dall’effettiva capacità del sistema economico di contrastare lo shock di origine. Capacità che, al momento, appare essere maggiore in Italia che in Germania.