Il rapporto del Censis del 2019 sulla società italiana fotografa un paese stremato dal continuo peggioramento delle condizioni di vita. Ansia, rabbia e scomparsa del futuro, i tre pilastri della società del TINA [There Is No Alternative, «Non c’è alternativa», slogan thatcheriano sull’inevitabilità del neoliberismo ndR]emergono dal rapporto. Il 48% vorrebbe l’uomo forte al potere che se ne possa fregare di Parlamento ed elezioni, la maggioranza di questo consenso per un nuovo Mussolini lo troviamo tra gli operai, il 67%, e in generale nelle persone meno istruite. Il 76% degli italiani non ha fiducia nei partiti e il 74% si è sentito molto stressato per ragioni familiari, lavorative o senza un motivo preciso. Al 55% è capitato di parlare da solo in macchina o in casa.
Infine, il 69% degli italiani non è ottimista per il futuro, in particolare per quello dei propri figli che pensa vivranno peggio di loro.
Ansia e depressione che si fanno strada in particolare nei ceti popolari sono il brodo di coltura di quella reazione violenta che prende le sembianze di Salvini.
Se capiamo che il fenomeno della Lega non nasce dalla presunta ignoranza delle masse ma da un profondo senso di disperazione che diventa volontà di vendetta siamo a buon punto. La società del TINA ha tolto la terra sotto i piedi del ceto medio occidentale, lasciando gli individui soli, senza legami comunitari o ridotti comunque all’osso, davanti ad una società iper competitiva che ha prodotto le due grandi malattie del nostro tempo: l’ansia e la depressione.
Questa è la “frattura sociale” di cui parlava negli anni Novanta il filosofo francese Marcel Gauchet mentre descriveva la transizione del ceto medio verso la società della globalizzazione.
Sarebbe anche interessante verificare la distribuzione geografica di questi dati. In Francia il geografo Christophe Guilluy ha studiato a lungo il declino del ceto medio occidentale, che dovrebbe rappresentare il 50%-70% della popolazione, e il confronto tra un paese metropolitano e periferico. Le masse vivono in una realtà esclusa dalla produzione della ricchezza, ridimensionata dai processi della globalizzazione alla cui insicurezza economica si somma l’insicurezza culturale che viene dalla ondate migratorie, con la paura di diventare minoranza.
Le élite vivono nelle metropoli, dove si concentra la ricchezza, accanto ai poveri isolati in slum e lavori precari, come testimonia la gig economy, e in cui sguazza una borghesia cosmopolita, senza patria e radicamento territoriale e perciò senza alcun legame con il proprio paese, a cui non deve nessun obbligo di redistribuzione della ricchezza. Parliamo di una classe a-sociale, come la definisce Guilluy, che si barrica nel proprio mondo e maschera il suo odio di classe con una retorica vuota fatta di multiculturalismo, società aperta e superiorità morale.
Parlavamo di insicurezza culturale, un fenomeno che non colpisce le élite ma la masse che hanno paura di diventare minoranza etnica e perdere l’accesso a quel poco che rimane di stato sociale, poiché gli immigrati giungono nei quartieri popolari non in quelli dove vive la borghesia cosmopolita che traccia invisibili confini di classe.
Questo è il terreno su cui vince la Lega in Italia o il Front National in Francia, un bisogno di protezione sociale che sta facendo collassare le coordinate delle élite e la loro egemonia culturale.
Tutto ciò per arrivare alle nostre sardine che vorrebbero fermare questi processi parlando di tolleranza, moderazione, antifascismo in assenza di fascismo ma senza mai toccare il terreno su cui tutte le minoranze di questo mondo sono uguali: essere dei salariati.
Questi pupazzi con il volto da campagna pubblicitaria invocano la delega alla politica con la P maiuscola per risolvere i mali dell’Italia che dall’alto del loro odio di classe è proprio quel bisogno di protezione sociale che viene dalle masse ed entra in contraddizione con le regole del “mondo troppo complesso per essere compreso” che difendono.
Sul terreno dello scontro di classe che sappia individuare le giuste coordinate si apre la strada per una possibile declinazione da sinistra di questo bisogno di protezione sociale.
L’esempio ci viene dai nostri cugini francesi, altro che sardine. Macron e le sue sanguinare riforme sono sfidate da quasi 2 milioni di persone piene di rabbia e pronte a dare battaglia, proseguendo lungo il sentiero aperto dai gilet jaunes un anno fa.