- Introduzione
L’ultimo libro di Mike Watson I meme e Mark Fisher. Realismo capitalista e Scuola di Francoforte nell’era digitale è stato scritto come richiamo alla teoria politica e sociale del passato per trovare una via d’uscita in un contesto di difficoltà per la sinistra davanti all’ascesa dell’estrema destra in gran parte del mondo. In questa operazione Watson si rivolge al pensiero della seconda generazione della Scuola di Francoforte e a quello di Mark Fisher. Queste scelte non sono casuali perché migliaia di giovani millennial e zoomer in tutto il mondo apprezzano i meme e i video di Mark Fisher che potrebbero essere la porta d’accesso alla Scuola di Francoforte, in particolare il pensiero di Adorno, Benjamin e Marcuse. Fisher può essere utile anche per altri motivi. La sua trasformazione in meme consente di far scendere la teoria critica e la filosofia dal loro piedistallo coinvolgendo i giovani nel suo studio. Questo non significa che Fisher non sarebbe stato capace di comprendere la natura superficiale dei meme filosofici ma, come fecero Marx e Benjamin nel XIX e XX secolo, era anche consapevole che il capitalismo porta il meglio e il peggio di tutti i mondi. Il teorico critico, per questo motivo, deve passare al setaccio il male portando in primo piano il bene. Questa operazione Fisher la fece benissimo come critico musicale e dei media. Watson prova a fare la stessa cosa con i meme. Il suo libro parte da due premesse che sono contenute in Realismo capitalista. In primo luogo il capitalismo spiazza i suoi critici culturali e in secondo luogo il capitalismo causa la depressione. Tuttavia il suo lavoro non è un tentativo di introdurre i pensatori della Scuola di Francoforte tramite i fenomeni culturali più recenti della sinistra ma prova a dare delle risposte partendo dalla mancata produzione di rotture nel tessuto del capitalismo ad opera delle energie creative dei malati e degli oppressi dopo il periodo di confinamento causato dal COVID-19. Il riferimento ai malati mentali rientra nell’analisi di una situazione in cui siamo tutti sempre più online e questo spazio online viene sempre più controllato mentre la nostra società, come dice Fisher, produce sempre più malati mentali. Per Watson i rimedi per i mali di questa società provengono dai malati mentali e dalle persone sempre online perché sono un’alternativa ai fallimenti prodotti dalle persone sane e neurotipiche. Per questo motivo è giusto puntare sugli eccezionali processi di pensiero delle persone depresse, psicotiche e neurodivergenti e sulla loro capacità di produrre scorci di realtà non contaminati dalla falsa razionalità del capitalismo. Dentro una società che spinge verso l’omogeneità sociale e il dominio di una sola ideologia, le divergenze nei processi di pensiero sono fondamentali se vogliamo tentare di sfuggire alla logica e all’estetica del mercato. Se il capitale produce depressione, psicosi e bisogno di evasione psichedelica, allora possiamo contare su questi aspetti come contraddizioni interne capaci di produrre alternative al capitalismo. Queste rivolte post-Covid non si sono verificate e anzi, si è venuto a creare un mondo peggiore di quello in cui venne scritto Realismo Capitalista fatto di guerre, fascismi e genocidi che però non hanno annichilito la capacità creativa della sinistra. Per farla sviluppare possiamo usare internet che ci aiuta nelle nostre capacità comunicative e organizzative e quindi a resistere alla totale banalizzazione e alle tendenze depressive del capitalismo. Tutto ciò è visibile sia nel periodo del theory blogging tra 2000 e 2010 che in questo momento con la creazione di account Facebook, Instagram o canali YouTube che parlano di Marx, Fisher, Deleuze, comunismo, socialismo o anarchia. Dobbiamo essere pronti a far leva sulla possibilità di pensare contro il mainstream anche al suo interno e lavorare per un movimento di sinistra ibridato, online e nella vita reale, capace di opporsi alla marcia apparentemente inarrestabile dell’estrema destra.
- La sinistra e internet
Alla fine del 2019, Matt McManus e Mike Watson hanno scritto un articolo che affrontava le difficoltà di Bernie Sanders nel conquistare la nomination democratica per le presidenziali statunitensi. Il problema principale era la percezione diffusa che la sinistra fosse sinonimo di controllo statale e di limitazione dell’indipendenza individuale. Per contrastare questa visione, gli autori proponevano che la sinistra adottasse una narrazione che enfatizzasse il contributo personale che ognuno può dare alla costruzione di una società equa, in cui il benessere fosse distribuito tra molti anziché concentrato in pochi. Questo approccio avrebbe permesso alla sinistra di rispondere al richiamo eroico della destra che celebra la lotta individuale contro nemici immaginari per realizzare il destino della nazione. Invece di puntare esclusivamente sulla critica ai super-ricchi o all’1%, la sinistra avrebbe potuto promuovere una visione positiva di una società inclusiva ma capace di soddisfare le aspirazioni individuali. Nonostante ciò, la sinistra continua a perdere la competizione elettorale, in parte perché non riesce a presentarsi in modo convincente. Storicamente, il successo della destra è stato attribuito al maggiore sostegno economico ricevuto dalle imprese per preservare l’ordine neoliberale, ma oggi l’era digitale offre strumenti comunicativi, soprattutto legati ad internet, accessibili a tutti che la sinistra non sfrutta adeguatamente. Sebbene la produzione di contenuti, come post informativi o manifesti, sia cresciuta, questi spesso rimangono inefficaci, limitandosi a provocazioni temporanee o a riflettere divisioni interne. Ciò solleva domande sull’abilità della sinistra nell’utilizzare piattaforme digitali che sembrano favorire l’approccio polarizzante della destra. Un esempio chiave è la narrazione emersa dopo la vittoria di Trump nel 2016, secondo cui pochi giovani disillusi, influenzati da meme suprematisti bianchi prodotti su piattaforme come 4Chan e 8Chan, avrebbero determinato il risultato elettorale. Questa storia, che semplifica e demonizza la generazione digitale, ignora analisi più profonde sulla reale incidenza di tali contenuti nella mobilitazione elettorale. Inoltre, l’idea che la sinistra possa replicare queste tattiche è problematica, poiché le estetiche divisive dell’alt-right non si allineano con i valori progressisti. Un caso particolarmente istruttivo è stato quello della Yang Gang, un movimento informale di sostenitori di Andrew Yang durante la sua campagna per la nomination democratica nel 2019-2020. Attraverso meme che promuovevano la proposta di un reddito di base universale, la Yang Gang attirò una platea di giovani disoccupati o sottopagati, disillusi dalla politica tradizionale e dalla presidenza Trump. Tuttavia, l’adozione di simboli associati alla destra, come Pepe the Frog o riferimenti al cappello MAGA, distorse il messaggio politico di Yang, creando ambiguità sul suo posizionamento ideologico. Questa confusione, unita alla natura anarchica e incontrollabile della comunicazione memetica, alimentò il timore che il movimento fosse manipolato dalla destra radicale. Nonostante l’entusiasmo generato online, Yang abbandonò la corsa per mancanza di fondi e risultati deludenti nelle primarie, dimostrando che una strategia focalizzata sui meme può generare attenzione, ma non necessariamente tradursi in successi politici concreti. La produzione di meme della Yang Gang rappresenta un esempio di shitposting, una pratica che consiste nel creare contenuti visivi a bassa risoluzione, spesso provocatori e apparentemente poco seri, per screditare o destabilizzare un argomento o una causa. Col tempo, questa tendenza è diventata più un’estetica che una vera tattica politica, contribuendo alla nascita di una cultura visiva “trash” in cui i contenuti glitchati e approssimativi vengono percepiti come più autentici rispetto alla comunicazione formale dei media tradizionali. Questa strategia può essere utile per mettere in discussione il discorso centrista neoliberale, ma il suo impatto politico è ambiguo, a meno che il semplice abbattimento del centrismo non venga considerato l’obiettivo principale. Tuttavia per Watson gli ultimi anni dimostrano che destabilizzare il centro senza offrire una solida alternativa di sinistra può portare a risultati disastrosi, come il rafforzamento dell’estrema destra. La campagna di Yang, dopo il suo ritiro dalle primarie democratiche, illustra questa dinamica: pur essendo stato un innovatore con proposte come il reddito di base, Yang si è poi inserito nel mainstream mediatico come commentatore della CNN, perdendo la differenziazione radicale che la Yang Gang aveva tentato di costruire. La base di sostenitori di Yang, composta in gran parte da giovani disillusi, ha amplificato la sua campagna attraverso meme virali, ma spesso ha trasmesso messaggi confusi e contraddittori, inclusi simboli associati all’estrema destra. Questo ha minato la coerenza della sua piattaforma politica, dimostrando che l’attività incontrollata di meme può facilmente travisare le intenzioni di un candidato. Inoltre, il fenomeno sottolinea un problema più ampio: i meme, pur attirando attenzione, tendono a servire dinamiche di breve termine, incapaci di costruire un movimento politico coeso. Questa dinamica è ulteriormente complicata dal ruolo di Internet. Le piattaforme digitali sono progettate per sfruttare gli antagonismi sociali al fine di generare clic e raccogliere dati. Gli algoritmi non favoriscono un dialogo costruttivo, ma alimentano polarizzazioni per prolungare l’attenzione degli utenti. Sia i produttori di meme di sinistra sia i giovani influencer che caricano selfie su TikTok e Instagram sono manipolati allo stesso modo: entrambi contribuiscono a generare dati per i giganti del web, che guadagnano indipendentemente dalla qualità o dall’intenzione dei contenuti. La sinistra online, nonostante la sua visibilità crescente, soffre di mancanza di coerenza e organizzazione. Questo è anche il risultato del dominio capitalista sulle piattaforme digitali, che integrano e neutralizzano i movimenti alternativi per renderli compatibili con le logiche di mercato, come teorizzato da Mark Fisher in Realismo capitalista. Le stesse caratteristiche di Internet ostacolano il pensiero lineare e la riflessione approfondita, rendendo difficile costruire narrazioni politiche solide. L’attività della sinistra online oggi rientra nella stessa dinamica che caratterizza l’interazione digitale generale: prediche, conflitti e confusioni. La sinistra su Internet si è ridotta a un continuo “contrarianismo”, dove si affermano posizioni contraddittorie, come nel caso di meme che si presentano come alternativi ma in realtà rafforzano divisioni. Ciò solleva la domanda sul fallimento della sinistra online che sta solo alimentando l’irritazione della gente senza costruire un movimento coeso. Per costruire un movimento è necessario riorientare Internet verso educazione, organizzazione e riflessione. La proposta di Watson è un movimento di “meme lenti”, che incoraggi l’uso ponderato di Internet, sfidando l’economia dei dati e costruendo una comunità che possa anche esistere offline. Esempi di questo approccio includono i gruppi di lettura online, i meme di citazioni e il movimento vaporwave, che stimolano la riflessione. Per rendere realizzabile questa idea, è necessario sfruttare piattaforme alternative come Diaspora, Mastodon o DTube, ma anche le piattaforme esistenti possono essere cooptate, a patto di mantenere la disciplina e resistere alla tendenza a generare contenuti eccessivamente aggressivi. Un passo fondamentale è segnare la necessità di fare un passo indietro rispetto alla velocità e aggressività dell’attuale Internet, evitando di emulare le tendenze di destra, i cui meme, sebbene efficaci nel loro contesto, hanno avuto successo principalmente per la conformazione intrinsecamente di destra della rete. Infine, l’approccio dovrebbe trarre ispirazione dai movimenti culturali come Dada, Surrealismo, Fluxus, Cubismo ed Espressionismo astratto, che, pur affrontando il capitalismo e i suoi movimenti di destra, proponevano risposte attraverso un linguaggio astratto e riflessivo, lontano dalla logica di produzione rapida e consumistica. Questi movimenti, pur essendo stati ostacolati dai regimi autoritari, dimostrano come l’arte riflessiva e l’astrazione possano essere strumenti potenti contro l’oppressione.
Il ruolo della cultura nel promuovere una società con pari opportunità dipende dall’accessibilità dell’arte, sia in termini di fruizione da parte del pubblico sia di produzione artistica. Questo argomento fu centrale per la Scuola di Francoforte e in particolare per Walter Benjamin e il suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica che assume particolare rilevanza, sia per la sua analisi della riproduzione artistica sia per la capacità di riflettere sul presente. Benjamin esplora la relazione tra arte e classe sociale, individuando nell’“aura” dell’opera d’arte il carattere esclusivo legato alla sua fruizione limitata. Tuttavia, la riproduzione tecnica diffonde l’arte a un pubblico più ampio, democratizzandone l’accesso, anche se a scapito dell’unicità dell’opera originale. Questa trasformazione, sebbene spesso interpretata come una lamentazione sulla perdita dell’aura, rappresentava per Benjamin una potenziale leva per favorire l’uguaglianza sociale, purché non ostacolata da dinamiche reazionarie. Benjamin avvertiva che offrire cultura senza modificare le relazioni materiali poteva portare a frustrazioni collettive, aprendo la strada a manipolazioni populiste e fasciste, come accadde negli anni ‘30 in Italia, Germania e Spagna. Il fascismo rispose ai desideri insoddisfatti delle masse introducendo l’estetica nella politica, canalizzando l’energia collettiva verso il culto del leader e manifestazioni militari, invece di promuovere cambiamenti strutturali. Oggi, questo fenomeno si ripresenta nei media digitali, dove piattaforme come YouTube, Instagram e TikTok promettono un accesso universale alla fama e alla ricchezza. Sebbene in pochi riescano a raggiungere tali obiettivi, molte persone ottengono visibilità all’interno di comunità specifiche, ridefinendo i confini della notorietà e producendo fenomeni come le “Insta fame”. Tuttavia, la democratizzazione apparente non elimina le disuguaglianze economiche e sociali, lasciando intatti i rapporti di proprietà che Benjamin considerava centrali. Le piattaforme digitali offrono nuovi mezzi di monetizzazione, ma, nonostante le innovazioni tecnologiche, non trasformano le dinamiche di fondo del sistema capitalista. Questo dimostra la pertinenza dell’analisi di Benjamin, che evidenzia come l’espansione dell’accesso culturale possa convivere con il perpetuarsi delle disuguaglianze materiali, richiamando l’importanza di considerare i media e la cultura nel loro rapporto con il potere e le strutture sociali. Due piattaforme più di altre ci consentono di capire come cambia il rapporto tra cultura e masse in questa fase del capitalismo, stiamo parlando di Twitch e di Patreon.
Twitch è una piattaforma di streaming fondata nel 2011 come spin-off di Justin.tv, inizialmente dedicato allo streaming di videogiochi. Con l’aumento della sua popolarità durante la pandemia di Covid-19, Twitch ha ampliato i suoi contenuti, includendo performance di cabaret, allenamenti, lezioni d’arte, talk show politici, musica dal vivo e altri programmi. La piattaforma ha visto una crescita esponenziale, passando da 1,4 milioni di spettatori medi nel 2020 a 2,8 milioni nel 2021, con un numero crescente di canali di streaming attivi. Questa evoluzione ha portato Twitch ad avere una posizione simile a quella delle principali reti televisive statunitensi come MSNBC e CNN, con un pubblico che non è solo fruitore di contenuti, ma anche produttore, rendendo la piattaforma un luogo dove le masse possono esprimere la propria creatività, accedere alla fama e, potenzialmente, guadagnare attraverso abbonamenti. Le live streaming di Twitch sono viste da Watson come una continuazione dell’evoluzione dei reality show televisivi, che a partire dal 1999 (come nel caso del Grande Fratello) hanno introdotto la prospettiva della “realtà” in diretta, dando visibilità a persone comuni. La differenza fondamentale di Twitch è che, oltre a guardare, gli utenti possono anche produrre e interpretare i propri contenuti, un’opportunità che consente loro di esplorare la propria creatività e di diventare protagonisti, eliminando forme tradizionali di intermediazione e potenzialmente guadagnando attraverso il supporto degli spettatori. Patreon, invece, è nato nel 2013 grazie all’idea di Jack Conte, un musicista che cercava una soluzione per monetizzare la sua popolarità online in un contesto di consumo musicale gratuito, dove i guadagni derivanti dallo streaming e dai download erano limitati. Patreon ha offerto ai creativi una piattaforma per guadagnare direttamente dai propri fan, stabilendo un sistema di abbonamento mensile che fornisce accesso a contenuti esclusivi, come video, canzoni, saggi, opere d’arte e altri prodotti creativi. La piattaforma è stata particolarmente utile per musicisti, podcaster, produttori di contenuti su Twitch e YouTube, offrendo loro una fonte alternativa di reddito. Un esempio di come questi strumenti siano stati utilizzati per esplorare e sviluppare una nuova forma di cultura online è rappresentato da Joshua Citarella, artista multimediale che ha usato sia Twitch che Patreon per promuovere le sue opere e le sue riflessioni sulla cultura di Internet. Citarella ha trasmesso in streaming regolarmente su Twitch, ospitando conversazioni con esperti sull’arte e la cultura online, in particolare sui meme. Durante il periodo di isolamento dovuto al Covid-19, Citarella ha organizzato la conferenza Coronacene: What Happens Next? su Twitch, un evento che ha visto la partecipazione di scrittori, artisti e accademici, che hanno discusso in tempo reale, con il pubblico che ha potuto interagire attraverso la chat di Twitch. Questo evento ha mostrato una nuova forma di orizzontalità nel contesto accademico, in cui le gerarchie tradizionali sono state abbattute e il pubblico ha avuto un ruolo attivo nel dibattito. In parallelo, Citarella ha usato Patreon per offrire ai suoi abbonati contenuti esclusivi, come il libro 20 interviste, un’indagine sui produttori di meme politici, che è stato inizialmente distribuito agli abbonati con la quota mensile più alta e successivamente reso disponibile per tutti. L’uso di Patreon ha permesso a Citarella di evitare i tradizionali intermediari editoriali, creando una connessione diretta tra lui e i suoi sostenitori, offrendo una nuova modalità di distribuzione e consumo culturale. Nonostante la libertà offerta da queste piattaforme, è importante notare che esse non riescono a mettere in discussione completamente la visione di Benjamin sull’arte nella sua epoca della riproducibilità tecnica. Le nuove forme mediatiche, pur democratizzando la possibilità di produrre e fruire contenuti, sono utilizzate anche da politici populisti per manipolare il popolo. Leader come Bolsonaro e Trump hanno sfruttato i media per promuovere una visione della fama che, pur sembrando inclusiva, in realtà serve a minare le strutture di potere democratiche e a promuovere una narrativa che favorisce gli interessi di pochi. Di fronte a tutto ciò Watson invita a prendersi una pausa dalla connessione digitale e dedicare del tempo alla critica dei media perché può offrire un’occasione per riflettere sugli strumenti disponibili per l’autoespressione, la socializzazione online e l’educazione personale. Nonostante le perdite subite dai lavoratori e dalla sinistra dagli anni ‘30, vi sono stati anche guadagni: l’accesso ai media consente trasparenza politica, produzione e diffusione indipendente di informazioni e la possibilità di monetizzare la creatività come mai prima ma anche controllo da parte delle app e dei dispositivi che utilizziamo, bombardamento costante di immagini ed informazioni e con le nostre attività online produciamo costantemente soldi per i padroni. La sfida è sfruttare al meglio tutte queste possibilità nell’arena politica per evitare di ripetere uno scivolamento verso la dittatura come ai tempi di Benjamin.
Watson prosegue il suo lavoro esplorando il concetto di “verità” in relazione alla proprietà e al potere, utilizzando come riferimento le analisi di Walter Benjamin ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Benjamin suggerisce che la verità, quando legata a questioni di proprietà o al potere della classe dominante, assume un ruolo cruciale nelle dinamiche sociali e politiche. La verità non è solo una questione di fatti oggettivi, ma diventa il terreno su cui si disputano legittimità e diritti. Quando una rivendicazione riguardante la proprietà o la posizione al potere viene messa in discussione, può causare fratture enormi, che spaziano dalla divisione familiare a conflitti internazionali, fino alla destituzione di leader politici. Il caso della contestazione da parte di Donald Trump del risultato delle elezioni presidenziali del 2020 è un esempio di come la “verità” possa essere strumentalizzata dai potenti per consolidare o difendere il loro potere, minando i processi di verifica che normalmente garantirebbero la legittimità delle rivendicazioni di proprietà e autorità. In questo contesto, l’invocazione della “post-verità”, favorita dalla proliferazione dei “fatti alternativi” durante l’amministrazione Trump, non è tanto un attacco alla verità in sé, quanto un attacco ai processi di due diligence che assicurano la veridicità delle affermazioni. Si tratta di un’azione che mira a minare la fiducia nei meccanismi di verifica, per rendere più facile manipolare l’opinione pubblica. Benjamin aveva già osservato che la destra populista degli anni ‘30 non solo distoglieva l’attenzione delle masse dalle aspirazioni alla ricchezza, ma anche dalle aspirazioni alla conoscenza, due obiettivi interconnessi. In quel periodo, la propaganda veniva diffusa attraverso manifesti, parate in stile militare e trasmissioni radiofoniche. Oggi, questa stessa manipolazione avviene tramite i social media, dove la propaganda si diffonde attraverso i meme razzisti legati all’ascesa della destra populista contemporanea. Si tratta di un fenomeno che, sebbene inizialmente percepito come significativo, oggi appare ormai superato e rozzo. La “confraternita” dei meme alt-right è composta da individui emarginati che, quotidianamente, si uniscono per condividere contenuti provocatori e offensivi. Questo gruppo non è omogeneo: alcuni sono dipendenti dalla gratificazione di vedere i loro meme diventare virali, mentre altri conducono una vita “normale”, partecipando a manifestazioni o lavorando, ma vivendo comunque un’identità principalmente online. Il movimento QAnon, rientrante sempre in questo calderone di deliri della rete, è invece molto diverso. Ha preso piede nel 2017, quando un utente anonimo su 4Chan, identificandosi come un agente governativo con un’autorizzazione di sicurezza di livello Q, ha lanciato un post che rapidamente ha attirato l’attenzione di altri utenti. Questo messaggio è stato poi amplificato attraverso piattaforme come Reddit e YouTube, dove è stato condiviso da un gruppo di individui con numerosi account di meme sui social media che fungevano da nodi di distribuzione. I meme, spesso criptici e con riferimenti oscuri, delineavano una narrativa che vedeva il mondo sotto il controllo di una élite massonica neoliberale, accusata di praticare satanismo, traffico di bambini e riti con sangue umano. Queste idee prendono spunto in parte dalla teoria del Pizzagate, una cospirazione che nel 2016 collegava i Clinton a un presunto giro di pedofilia operante da una pizzeria di Washington, Comet Ping Pong, evento che portò anche a minacce e a un attacco armato contro il locale. L’evoluzione del Pizzagate in QAnon aggiunse un ulteriore elemento, ossia l’affermazione che Donald Trump fosse destinato a combattere e sconfiggere questa élite malvagia. In particolare, il movimento interpretava un enigmatico riferimento fatto da Trump nel 2017 sulla “calma prima della tempesta” come un indizio di imminenti arresti di massa di membri del “deep state”, così come di leader liberali e di sinistra, in un evento che i seguaci chiamarono la “Tempesta”. La narrazione culmina con l’idea di un “Grande Risveglio”, un concetto che suggerisce che il popolo si sarebbe unito in una grande rivelazione, smascherando la cospirazione e liberando il mondo dall’influenza maligna delle élite. QAnon ha guadagnato una crescente attenzione durante il 2020, soprattutto dopo che i media globali hanno iniziato a preoccuparsi dell’impatto che il movimento potesse avere sulle elezioni statunitensi. La sua diffusione è stata tale che l’FBI ha emesso un avviso di terrorismo interno nel maggio 2019, e numerosi esperti psicologi sono intervenuti in pubblico per esprimere i rischi psicologici legati alle sue teorie cospirative. Ciò che distingue QAnon dagli altri movimenti memetici, come quello dell’alt-right del 2016, è la sua capacità di evolversi e di adattarsi continuamente. Mentre i meme dell’alt-right avevano una portata limitata e si concentravano su un numero ristretto di immagini e temi riconosciuti, QAnon si distingue per la sua narrativa onnicomprensiva. Sebbene i messaggi originari siano stati introdotti da Q, sono stati amplificati e adattati dai seguaci, creando una sorta di “universo narrativo” che evolve continuamente. I meme di QAnon non sono solo immagini virali, ma elementi di una storia che i seguaci devono costantemente aggiornare e invece di diffondersi come i meme tradizionali, che si presentano come variazioni visive facili da identificare, QAnon ha infiltrato la psiche dei suoi seguaci, spesso attraverso bacheche di nicchia, dove la teoria si radicava a un livello più profondo. Questo ha portato a una partecipazione attiva e a una costruzione collettiva della narrazione, dove non c’era un unico autore dietro la storia, ma una continua creazione e adattamento da parte di tutti i partecipanti. Così, la narrativa di QAnon è diventata quasi auto-generativa, con i meme che non solo diffondevano idee, ma creavano e alimentavano una storia in costante evoluzione, senza un vero e proprio indirizzo dietro la teoria del complotto. La funzione di QAnon appare dualistica: da un lato, aiuta l’élite a nascondere la disfunzionalità del capitalismo, facendo ricadere la colpa sulla sinistra, mentre dall’altro offre al pubblico una narrazione politica alternativa all’analisi marxista che viene sistematicamente ignorata dai media capitalisti. Interessante è il parallelo di Watson tra la Scuola di Francoforte, in particolare l’analisi di Adorno e Horkheimer sull’antisemitismo fascista e le cospirazioni dietro l’affermazione del nazismo, e l’ascesa di QAnon. Adorno e Horkheimer, esiliati negli Stati Uniti, criticavano la democrazia liberale come una forma di fascismo priva di coercizione, dove l’industria culturale fungeva da propaganda mascherata da intrattenimento. In Germania, il fascismo si manifestava come una combinazione di fascino estetico e violenza brutale, un contrasto che rifletteva la difficoltà di accettare la natura umana e la morte, concetti che Adorno e Horkheimer esploravano nel loro lavoro. Per loro, la smorfia, simbolo di angoscia e rassegnazione, rappresentava il tentativo umano di sfuggire alla propria mortalità, paragonabile alle espressioni dei sostenitori di Trump e dei manifestanti no-vax. Questo tentativo di “alterare” la natura attraverso il capro espiatorio (come gli ebrei o i “nemici” di QAnon) si ritorce contro l’individuo, creando una tensione interna che sfocia in paranoia. La paranoia, secondo Adorno e Horkheimer, è il risultato di una visione distorta che porta alla proiezione di debolezze sugli altri, come nel caso della cospirazione antisemita che si sviluppò nel nazismo. Anche se QAnon non è paragonabile al nazismo, risveglia sentimenti primordiali legati alla sete di sangue e al desiderio di trovare capri espiatori. La narrazione di QAnon, che mescola satanismo e abuso di minori, potrebbe svanire come è accaduto con Pizzagate, ma lascia intravedere un ritorno a pratiche sacrificali mimetiche, come descritto da Adorno e Horkheimer nella loro critica al fascismo e alla cultura del sacrificio. QAnon si distingue come fenomeno virale per il coinvolgimento attivo dei suoi seguaci nella costruzione della narrazione, che offre loro un senso di partecipazione a una “storia per i nostri tempi.” Questo appaga il bisogno umano di affrontare la paura della mortalità attraverso i miti, un bisogno che secondo Adorno e Horkheimer emerge dalla razionalità moderna stessa. Essi sostengono, nella Dialettica dell’Illuminismo, che il pensiero razionale tende a regredire al mito nel tentativo di controllare la natura e gli altri, mentre l’alternativa risiede in un pensiero “non identitario,” presente nell’arte e nella musica astratta, capaci di resistere alla narrazione dominante. Adorno vedeva nell’astrazione artistica un’opposizione alle dinamiche politiche identitarie, ma riconosceva anche i suoi limiti nel prevenire tragedie come quella del nazismo. Dopo la Seconda guerra mondiale, riflettendo sulla catastrofe nazista, egli rifiutava soluzioni politiche che rischiassero di condurre nuovamente al totalitarismo. Tuttavia, oggi, chi lotta per il socialismo deve integrare narrazioni positive capaci di ispirare i movimenti elettorali e di base ma sembra che la sensazione di delusione verso la società sia ormai condivisa da persone di tutte le posizioni politiche e trova un’efficace rappresentazione nei meme, in particolare attraverso Wojak (feels guy), Doomer e Doomer Girl. Wojak è nato nel 2010 come un’illustrazione digitale minimalista di un uomo dall’aspetto malinconico. Ha acquisito popolarità su subreddit come /r/datfeel nel 2012, diventando simbolo di frustrazione e disagio connessi a specifiche situazioni. La variante Doomer, apparsa su 4Chan nel 2018, aggiunge dettagli come un berretto nero, un maglione e una sigaretta, che enfatizzano l’aspetto depresso e nichilista del personaggio. Rappresenta un giovane adulto alienato, spesso associato a testi che descrivono stati d’animo negativi: insonnia, isolamento, abuso di sostanze o rinunce al sesso. Il meme è stato adottato sia a destra sia a sinistra, interpretato come figura simbolica che oscilla tra la malinconia e la tentazione verso l’estremismo. Con l’introduzione di Doomer Girl nel 2020, il meme ha guadagnato ulteriori sfaccettature. I due personaggi interagiscono spesso in scambi brevi e imbarazzanti che riflettono un desiderio di connessione, nonostante la reciproca solitudine. Queste rappresentazioni risuonano particolarmente in un contesto di precarietà sociale ed economica, accentuato dai lockdown, che hanno amplificato l’alienazione attraverso l’aumento dell’interazione online e della solitudine. Questa alienazione si collega alla teoria di Mark Fisher sul realismo capitalista, che descrive il capitalismo come un sistema che sembra non lasciare alternative, assorbendo e cooptando anche le critiche rivoltegli. Fisher vedeva nella frustrazione e nel rifiuto depressivo del capitalismo una possibile spinta verso il cambiamento, ma avvertiva che senza una piena comprensione delle cause profonde di questa alienazione, la sfida per costruire una società migliore sarebbe difficilmente vincibile. Mark Fisher, riflettendo sul mondo immaginato in Children of Men, evidenzia l’idea che il capitalismo tardo-moderno abbia eliminato la possibilità di novità autentica, contribuendo alla diffusione di ansia e depressione. La mancanza di rotture significative o di innovazioni sostanziali nella società viene associata alla sensazione di immobilità e perdita di significato, simboleggiata dalla domanda “C’è ancora qualcosa per cui valga la pena alzarsi dal letto?”. Il capitalismo trasforma gli individui in meri oggetti-lavoratori e consumatori, bloccando la capacità di sperimentare o produrre autentica novità. Il libro Realismo capitalista, pubblicato nel 2009, rimane rilevante, soprattutto tra i giovani millennial e zoomer, che vivono le conseguenze irrisolte della crisi economica del 2008 e delle politiche successive alla “guerra al terrorismo”. La crescente alienazione intergenerazionale si scontra con i limiti di una politica dell’identità spesso piegata agli interessi neoliberisti, che cerca di placare gruppi marginalizzati senza modificare la struttura economica sottostante. Watson sottolinea che i movimenti per i diritti di genere, razziali e LGBTQ+ sono cruciali, poiché il controllo del corpo umano è centrale per l’accumulazione capitalistica. Tuttavia, le tensioni tra chi denuncia le ingiustizie economiche e chi enfatizza quelle identitarie generano frammentazioni. Il contrasto è esasperato dai social media, che polarizzano il dibattito tra “materialisti” e sostenitori della politica identitaria. Questa divisione è particolarmente dannosa, dato che molte oppressioni attuali derivano da dinamiche storiche come il colonialismo e l’industrializzazione, che hanno creato strutture oppressive come la schiavitù, il patriarcato e l’oggettivazione sessuale. Un approccio intersezionale potrebbe superare tali fratture, ma il conflitto interno alla sinistra ostacola un’azione unitaria contro il capitalismo. Questo dissidio deriva dalla percezione di una mancanza di agency nella propria vita quotidiana e porta gli utenti di sinistra a concentrare le proprie critiche verso altri membri dello stesso spettro politico piuttosto che verso il capitalismo. Il panorama digitale offre opportunità per il dibattito attraverso piattaforme come YouTube e Twitch, ma il formato rapido e il turnover dei contenuti impediscono lo sviluppo di riflessioni approfondite. La sinistra si frammenta ulteriormente, con fazioni che sostengono influencer specifici, spesso scatenando veri e propri scontri fra le comunità. Per Watson Fisher, da un lato, avrebbe potuto vedere con ottimismo il potenziale dei media digitali per diffondere idee progressiste, continuando il suo lavoro sul suo blog K-punk. Dall’altro lato, avrebbe criticato l’effetto corrosivo del capitalismo dei dati e il modo in cui la velocità del consumo digitale mina il pensiero critico. Avrebbe respinto il clima di linciaggi e polarizzazioni, considerandolo un ostacolo alla coesione della sinistra. Avrebbe magari indirizzato i suoi sforzi contro l’ansia che pervade la sinistra online, incapace di formulare una teoria incisiva a causa dell’ossessione per il numero di visitatori delle sue pagine che impedisce di creare nuova teoria. Fisher descrive questo fenomeno come un’oscillazione bipolare tra speranza di novità e rassegnazione, che porta la sinistra a inseguire continuamente tendenze temporanee, spesso contraddittorie. Un esempio è il Partito laburista sotto Keir Starmer, che ha adottato politiche patriottiche e imperialiste, in netto contrasto con il passato multiculturale del movimento. Questa dinamica si riflette anche nella cooptazione di Fisher stesso: la sua immagine e le sue idee sono state trasformate in meme, oggetti commerciali e fraintendimenti culturali, inclusi tentativi di associarlo al movimento “incel”. Sebbene Fisher avesse promosso campagne memetiche come “Summer is Coming” per diffondere speranza, la trasformazione delle sue critiche in fenomeni superficiali dimostra come il capitalismo assimili anche le sue opposizioni più lucide. Nonostante ciò, c’è ancora una speranza, benché piccola, che nasce dalla frustrazione e dalla malattia mentale provocata dal sistema capitalistico. Questo Doomer che legge Realismo capitalista, pur essendo sopraffatto dalla depressione, potrebbe comunque sviluppare una consapevolezza politica e teorica, cercando di trasformare il proprio disagio in azione, come Fisher ha cercato di fare nel suo pensiero. La cultura dei meme, e in particolare lo shitposting, rappresenta una forma di rifiuto della società, incarnando il cinismo di una generazione che sfida le norme attraverso l’uso di immagini comiche e surreali. Questo tipo di espressione artistica si rifà in parte alle teorie estetiche di Theodor Adorno, che criticava l’arte popolare per la sua superficialità e il suo disimpegno, sostenendo che la vera arte fosse quella che rifiutava l’ordine razionale e sociale. Tuttavia, i meme non si limitano a essere una forma di fuga o distrazione; al contrario, si configurano come una resistenza, simile al teatro dell’assurdo di Beckett o alla musica atonale di Schönberg, che non cerca di risolvere ma di esprimere l’irrazionalità e la frammentazione della realtà. Mentre tutto ciò accade, dobbiamo ricordare come le stesse piattaforme che permettono l’espressione individuale attraverso i meme siano parte integrante del capitalismo e macinano profitti attraverso i dati da noi prodotti. Qui emerge la dialettica tra il capitalismo dei dati, che sfrutta le nostre emozioni e la nostra partecipazione online, e la possibilità di utilizzare questi strumenti per una resistenza autentica che Fisher suggerisce possa partire dal malessere psichico diffuso, indotto dal capitalismo, il quale potrebbe essere trasformato in una forza di opposizione, convertendo la depressione e l’ansia in movimenti di protesta concreti contro il sistema stesso.
Il meme “Macchina del tempo”, apparso nell’estate del 2020, si struttura su due livelli: uno superiore, intitolato “donne con la macchina del tempo”, e uno inferiore, “uomini con la macchina del tempo”. La figura femminile è rappresentata dalla Doomer Girl o Trad Girl, mentre quella maschile dal meme Nordic Gamer, con l’immagine di un uomo nordico biondo e barbuto. La tipica narrazione del meme vede il personaggio femminile che torna indietro nel tempo per incontrare la nonna o per trasmettere informazioni importanti a una figura storica, prevenendo difficoltà future. Al contrario, l’uomo nordico tende a viaggiare nel passato per cercare di cambiare eventi su scala globale, come avvertire la CIA dell’assassinio di Kennedy prima del 22 novembre 1963 (battuta che gioca sul fatto che la CIA già lo sappia). Questo meme ha trovato ampia diffusione nel 2020, probabilmente come risposta al desiderio di evasione durante il lockdown, ma va oltre il semplice bisogno di sfuggire dalla prigionia fisica e virtuale, esprimendo un legame imprescindibile tra presente e passato. La riflessione sottesa suggerisce che non possiamo cambiare il presente senza comprendere la storia.
Benjamin sosteneva che l’oggetto culturale non fosse solo uno strumento per svelare le condizioni materiali della realtà, come pensava il suo mentore Theodor Adorno, ma fosse il vero volto del sistema economico una volta tolta la maschera. A differenza di Adorno, che vedeva l’arte come un mezzo per creare una “scossa” rivelatrice delle problematiche del capitalismo, Benjamin cercava di ricostruire la realtà a partire dai frammenti lasciati dalla storia capitalista. La sua visione marxista era meno focalizzata sulla critica astratta e più sulla capacità degli oggetti culturali di rivelare, attraverso la loro interazione, sia la condizione materiale presente che la sua origine storica. Si tratta della famosa proprietà fantasmagorica degli oggetti che in seguito verrà applicata al suo progetto incompiuto I passages di Parigi con cui cercò di documentare i portici parigini come luoghi simbolici per analizzare le condizioni del capitale nel XX secolo a partire dalla base costruita dall’industria del XIX secolo. La ricostruzione venne realizzata attraverso una sorta di esplorazione psico-geografica della città studiandone i portici che erano centrali anche per un altro fenomeno del tempo, ovvero il flâneurismo. Si tratta della tendenza della classe media parigina di farsi trascinare dalla moda dell’esplorazione della città mossi da ozio e stupore per le meraviglie della modernità o le tracce del passato. Questo lavoro per Watson ha delle connessioni con le opere hauntologiche di Mark Fisher. Il concetto di hauntologia, elaborato da Derrida, analizza come il “fantasma del marxismo” si manifesti anche nel capitalismo tardo-moderno. L’hauntologia riflette il debito dell’esistenza nei confronti di un passato irraggiungibile e un futuro mai realizzato, un senso di stasi e fatalismo che pervade la cultura contemporanea. Fisher utilizza questa lente per descrivere la generazione che vive “dopo la storia”, un’epoca dove il futuro sembra già stato definito e consumato. Questo concetto trova una sua espressione nelle canzoni di Kurt Cobain, la cui rabbia e spossatezza, pur non cercando sensazionalismo, vengono invece presentate e consumate come spettacolo mediatico. Si tratta della stessa tendenza che ha ridotto Mark Fisher ad un meme. Il capitalismo, quindi, non solo banalizza musicisti, artisti e teorici trasformandoli in caricature di sé stessi, ma compromette la nostra stessa essenza come esseri viventi. La vita richiede costante rinnovamento, come un cuore che deve battere ininterrottamente; senza nuovi momenti, essa si riduce a monotonia e alienazione. Marx denuncia questa alienazione nel lavoro ripetitivo, mentre Adorno critica l’“industria culturale” per aver privato l’arte della capacità di sconvolgere e scuotere i lavoratori, spingendoli invece a un compiacimento oggettivo, utile solo alla produzione del capitale. Per Adorno, l’autenticità dell’arte moderna risiede nelle sue cicatrici, nei segni delle rotture che ne negano la stasi e sfidano le chiusure del “sempre uguale” con un’energia anti-tradizionale, quasi esplosiva. Nel suo Minima Moralia, Adorno sottolinea come il sistema capitalistico abbia ridotto l’arte a semplice ornamento per placare i lavoratori e mantenerli oggettivati. Questo è evidente nel caso dei Nirvana: dopo il loro breve successo tra il 1991 e il 1994, l’industria discografica abbandonò le band genuine formate nei garage e cariche di rabbia per selezionare gruppi conformi, eliminando ogni ribellione autentica. Di fronte all’incapacità dell’industria culturale di produrre vera arte sovversiva, Adorno e Benjamin adottarono un’analisi frammentaria e polemica per rivelare le condizioni materiali alla base delle forme culturali alienate. Inoltre, Adorno e Horkheimer criticarono I passages di Parigi di Benjamin per una presunta mancanza di rigore marxista, spingendolo a integrare ampie note su Marx nell’opera. Il libro incompiuto tentava di unificare misticismo ebraico, economia marxista e critica modernista attraverso il metodo del flâneurismo, esplorando i portici parigini e la poesia di Baudelaire. Questo approccio, che elevava la distrazione a metodo letterario, non distraeva dalle cause profonde del capitalismo, ma ne incorporava le condizioni, trasformando la critica in un atto “immanente”. Poiché il capitalismo invade ogni aspetto della vita quotidiana, anche la critica deve tener conto di questa pervasività. Nonostante gli sforzi, né Adorno né Horkheimer riuscirono a unificare economia ed estetica. Le loro critiche a Benjamin sembrano riflettere un’irrisolta tensione interna, poiché ogni studioso tende a privilegiare una prospettiva materialista o culturale, perpetuando l’idea riduttiva che cultura e politica siano separate. Benjamin e, in parte, Adorno cercarono di dimostrare che cultura ed economia sono profondamente intrecciate: per Adorno, questo legame è evidente nella sedimentazione della storia materiale nelle opere d’arte, il cui “contenuto di verità” risiede nei processi e nei conflitti da cui derivano. Anche l’opera d’arte più autonoma tradisce le condizioni materiali della sua produzione, riflettendo il conflitto tra soggetto umano e oggetto naturale che sottende il lavoro. Perciò, la cultura è sempre, inevitabilmente, una questione materiale ed economica. Per Walter Benjamin, la storia materiale non si manifesta come un’eco distante attraverso i materiali che compongono un’opera, come nel caso di Adorno, ma emerge nella fantasmagoria del presente, in cui i prodotti commerciali diventano costellazioni che ricompongono il passato e rivelano il capitalismo come modello vivente. I portici di Parigi del XIX secolo, con le loro scintillanti esposizioni di merci, non rappresentano semplicemente un urlo primordiale contro la natura, come suggerisce Adorno, ma un accumulo di detriti storici che rimangono vivi e interagiscono con il presente. La fantasmagoria suggerisce che l’urlo originario dell’umanità non sia mai cessato, bensì continui come una risposta perpetua agli artefatti e alle rovine della storia che ci circondano. Questo concetto è esemplificato dalla celebre descrizione benjaminiana di Angelus Novus di Paul Klee, in cui l’“Angelo della storia” guarda il passato come una serie di catastrofi che si accumulano in un cumulo di detriti. Spinto verso il futuro da una tempesta chiamata progresso, l’angelo è incapace di arrestare la distruzione per risvegliare i morti o ricostruire ciò che è stato distrutto. La visione di Benjamin implica che non possiamo plasmare il futuro con i nostri strumenti e conoscenze, ma reagiamo invece all’accumulo di esperienze passate. Il suo obiettivo era ricavare costellazioni dai frammenti della cultura per comprendere le forze che hanno disgregato l’esperienza umana e cercare modi per ricomporla. Un esempio contemporaneo del metodo benjaminiano può essere trovato nel meme What Vibe Do I Give Off?, apparso su Facebook nel 2020, che utilizza un formato giocoso per costruire costellazioni di immagini e oggetti apparentemente incongruenti. Dispone personaggi, oggetti quotidiani e simboli culturali in configurazioni che riflettono l’assurdità del capitalismo consumistico. Questi elementi, spesso disturbanti, evidenziano la banalità e la mercificazione della società moderna, in cui ogni esperienza diventa un detrito privo di significato. Benjamin sosteneva che questa mercificazione radicale ci costringe a confrontarci con la storia materiale attraverso la percezione sensoriale degli oggetti, giustapponendoli in combinazioni capaci di rivelare nuove intuizioni. Questo approccio ci permette di accumulare una varietà di prospettive utili per comprendere e smantellare il capitalismo. Come nel meme, dove le configurazioni non riescono a costruire identità significative, la nostra società produce detriti culturali che richiedono di essere riconfigurati per sfidare il loro contesto alienante e consumistico. Per Benjamin, il potere trasformativo risiede nell’interazione tra passato e presente, un dialogo che illumina la storia per destabilizzare il capitalismo e il suo dominio sulle esperienze umane. La domanda che ora si pone Watson è: il metodo del flâneur di Benjamin può essere utilizzato per esplorare la produzione artistica del XXI secolo con sguardo critico?
Nella teoria di Walter Benjamin, il flâneur è la figura del passeggiatore urbano nato nei passaggi coperti della Parigi del XIX secolo, simbolo della modernità. Egli incarna un osservatore distaccato che si muove attraverso lo spazio urbano con un atteggiamento contemplativo, senza fretta né uno scopo definito. Per Benjamin, il flâneur rappresenta l’ozio e la curiosità intellettuale come forme di resistenza alla frenesia della produzione capitalista e alla divisione del lavoro. Camminando tra le vetrine e i negozi dei portici parigini, il flâneur non si limita a osservare, ma decodifica le merci e le architetture come frammenti di storia culturale. Nei Passages di Parigi, Benjamin suggerisce che l’attività del flâneur è sia un atto di contemplazione estetica sia una forma di analisi critica: egli coglie nei detriti del passato—le merci, i manufatti, le strutture—i segni delle dinamiche storiche e capitalistiche che li hanno prodotti. Il flâneur digitale, per analogia, naviga attraverso gli spazi virtuali dei social media, delle piattaforme di streaming e delle gallerie digitali. Come il flâneur di Benjamin, è un consumatore di frammenti culturali e un osservatore delle logiche della modernità, ma il suo contesto è radicalmente diverso. Le gallerie parigine con le loro merci esposte diventano i feed di Instagram o TikTok, dove immagini e video vengono continuamente proposti e consumati. Tuttavia, a differenza del flâneur ottocentesco, che si muoveva in un contesto fisico e storico, il flâneur digitale opera in un ambiente altamente mediatizzato, in cui ogni interazione è monitorata e mercificata. Benjamin descriveva il flâneur come una figura che osserva il passato attraverso i detriti culturali per comprendere le dinamiche del presente. In modo analogo, il flâneur digitale potrebbe analizzare i frammenti culturali digitali, come meme, video virali o pubblicità, per riconfigurare le relazioni materiali e sociali della contemporaneità. Tuttavia, mentre il flâneur originario aveva un rapporto diretto con gli oggetti e le loro storie, il flâneur digitale affronta contenuti virtuali mediati da algoritmi e piattaforme, il che rende più difficile sfuggire alla logica dell’economia dei dati. Benjamin avrebbe probabilmente notato nel flâneur digitale un riflesso della fantasmagoria da lui descritta, in cui le merci non solo incantano, ma alienano gli osservatori. Per il flâneur digitale, il compito diventa quindi quello di trasformare i detriti digitali—meme, immagini, video—in costellazioni che svelino le dinamiche sottese dell’era capitalista digitale, come il controllo algoritmico e la mercificazione dell’esperienza. Tuttavia, ciò richiede uno sforzo consapevole per rallentare il consumo e riflettere criticamente su ciò che si osserva, sfuggendo all’immediatezza che caratterizza l’interazione nei media digitali.
- Conclusioni politiche
Nell’ultimo capitolo del libro Watson ci offre delle prospettive per utilizzare l’arte nelle nostre battaglie politiche. Oggi, con la possibilità di partecipare alla produzione e diffusione creativa attraverso Internet, si potrebbero sfruttare meme, video-saggi e altri contenuti per contrastare il capitalismo digitale e opporsi dialetticamente al sistema, usando la creatività per sconvolgere lo status quo. Nel 1977, Marcuse, nel suo saggio La dimensione estetica riflette sulla capacità dell’arte di sfidare il potere del capitalismo. Nonostante la fine della guerra del Vietnam, il capitalismo avanzava senza ostacoli, preludendo al neoconservatorismo di Thatcher e Reagan che sarebbe evoluto nel neoliberismo. Questo sistema si è radicato in parte proprio grazie alla cooptazione della richiesta di inclusione sociale avanzata dalla Nuova Sinistra, assorbendo le sottoclassi etniche ed economiche all’interno del capitalismo. Tuttavia, Marcuse continua a credere nel potenziale dell’arte, che, pur mantenendo la memoria del fallimento della promessa di felicità, rimane un faro per chi lotta per cambiare il mondo. Per Marcuse, l’arte rappresenta il fine ultimo della rivoluzione: la libertà e la felicità dell’individuo. Marcuse vede l’arte come una forza capace di opporsi al feticismo del capitalismo, all’asservimento degli individui e alle condizioni oggettive del dominio, indicando che l’arte può entrare come un’“idea regolatrice” nel processo di cambiamento sociale. Nonostante il persistere del grigiore del realismo capitalista, l’arte conserva la sua capacità di immaginare mondi alternativi, e con il tempo, la sua promessa potrebbe diventare più pregnante quanto più ci allontaniamo dalla realizzazione dell’utopia. L’arte, che diventa sempre più fantastica e distante dalla realtà, è quindi vista come uno strumento per stimolare desideri più complessi e intensi in risposta alla razionalizzazione del desiderio imposta dal capitalismo. Fisher, nel suo concetto di Acid Communism, coniato nel suo libro incompiuto, suggerisce una nuova controcultura che potrebbe rispondere al bisogno di un’alternativa radicale oggi. Sebbene Acid Communism abbia trovato espressione nei meme, nei seminari e nelle discussioni online, il suo vero potenziale deve ancora emergere. Gli eventi Acid Corbynist, organizzati durante la campagna elettorale del Partito Laburista, non hanno avuto il successo sperato, in parte per la difficoltà di associare concetti come “acido” e “comunismo” a una piattaforma elettorale vincente. Nonostante la sconfitta elettorale, la sinistra ha l’opportunità di costruire un movimento di base che sfrutti le dinamiche della cultura digitale. Fisher suggerisce che la sinistra online dovrebbe concentrarsi sulla produzione creativa che sfidi l’economia dei dati, incentrata su obiettivi quantitativi sia online che nella vita reale, promuovendo una visione socialista. Il compito della sinistra online, ispirata dalla critica benjaminiana e marcusiana, è di stimolare una produzione culturale in grado di risvegliare desideri più elaborati e complessi, contrastando la psicopatia consumistica e la produzione culturale basata sugli algoritmi. Fisher sottolinea che l’arte deve essere contrapposta alla monotonia del capitalismo, con la promessa di libertà che si riflette nelle nostre aspirazioni. La sinistra dovrebbe quindi rifiutare il “realismo capitalista” e il “realismo” in quanto tale, abbracciando l’irrazionalità come strumento di resistenza. L’arte, in quanto alienazione positiva, diventa un atto di negazione dell’ordine esistente e un mezzo per scuotere le strutture capitalistiche. In questo contesto, il flâneur digitale rappresenta una figura centrale per un movimento di sinistra che sfrutti le capacità di connessione e produzione online per riconfigurare le costellazioni di oggetti e immagini digitali. Queste costellazioni potrebbero svelare le dinamiche del capitalismo attraverso la cultura visiva, utilizzando meme e altre forme di arte digitale per dare forma a una nuova visione comunitaria e radicale. L’obiettivo della sinistra acida è, quindi, quello di usare la creatività per riattivare il desiderio e sublimarlo in un movimento che si colleghi a un cambiamento sociale concreto.
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