di Alfonso Strazzullo
“Una delle trappole più subdole che insidiano i marxisti è la ricerca del momento della Caduta, quando le cose hanno preso la piega sbagliata nella storia del marxismo: fu già Engels con la sua concezione positivista-evoluzionista del materialismo storico? Sono stati il revisionismo e l’ortodossia della Seconda Internazionale? È stato Lenin? O è stato Marx stesso nella sua ultima opera, dopo aver abbandonato il suo umanesimo giovanile (come alcuni “marxisti umanisti” hanno sostenuto decenni fa)? L’intero argomento deve essere respinto: non c’è nessuna opposizione, la Caduta è necessariamente inscritta nelle origini stesse. (Per dirla tutta, una simile ricerca dell’intruso che ha infettato il modello originario e ne ha causato la degenerazione non può che riprodurre la logica dell’antisemitismo). Ciò significa che, anche se – anzi, soprattutto se – si sottopone il passato marxista a una critica spietata, bisogna prima riconoscerlo come “proprio”, assumendosene la piena responsabilità, non sbarazzarsi comodamente della “cattiva” piega delle cose attribuendola a un intruso estraneo (il “cattivo” Engels che era troppo stupido per capire la dialettica di Marx, il “cattivo” Lenin che non ha capito il nucleo della teoria di Marx, il “cattivo” Stalin che rovina i nobili piani del “buon” Lenin, ecc.)”.
Mi è giunta tra i meandri del Telegram questa citazione con cui sono assurdamente d’accordo, tranne, paradossalmente, che con il nucleo stesso del ragionamento di Zizek.
L’autore sloveno (col quale ho un rapporto strano, mi diverte, mi affascina, mi disgusta e mi fa incazzare allo stesso tempo) mi trova assolutamente d’accordo con l’osservazione del fatto che spesso si immagina un marxismo in un modo o nell’altro puro, non pervertito, originario per così dire, inseguendo una forma ideologica tipica della religione e non della scienza (tolgo, per questo, la filologia, essendo la prima scienza o il primo approccio scientifico tra ciò che oggi chiamiamo “discipline umanistiche”, la prima forma laica di studio della scrittura, che perde la S maiuscola che aveva in ambito teologico)
e ha a sua volta ragione nel ribadire che la struttura logica dell’antisemitismo è esattamente questa (per dirla con Eco, è la struttura logica dell’urfascismo).
Non posso fare altro che annuire di fronte alla sua descrizione di quella tendenza che vede nello Engels ignorante, mistificatore, il primo Caino, o addirittura, il primo Caino di se stesso è Marx stesso, con la sua svolta (kehre, wink wink!) ad aver abbandonato la sua prima filosofia umanistica, ma soprattutto, non è la denuncia dei pervertitori soltanto il gesto ridicolo, è investirsi come scopritori dell’originale nascosto alla vista, perduto, un po’ come gli esoteristi platonici che ne scoprivano la dottrina più pura, quella venuta fuori dalle labbra dirette del maestro e udita dalle orecchie stesse dei discepoli.
Questa è la tendenza religiosa che proprio nello scoprire o riscoprire la purezza della dottrina del maestro in realtà ne operano la sua rivoluzione, ed è quello che è avvenuto in qualsiasi scissione religiosa, cristiana in primis (ortodossi e protestanti). L’appello alla purezza, alla propria vicinanza con una verità più originale della dottrina, è proprio ciò che poi produce il distacco, lo scisma da ciò che si vuole depurare, che sia col riformismo o con la guerra santa.
Il pervertitore Engels, la volgare seconda internazionale, il cattivo Stalin, i santi scopritori dei rotoli del Mar Rosso aka i manoscritti del ’44 che mostrano il vero Marx ovvero i filosofi che avvampano leggendo Sartre o consimili, e così via e così via.
La questione mi fa sottilmente ridere perché Zizek centra anche, motteggiandole, le accuse che fanno i marxisti protestanti/neoevangelici, la specifica accusa di positivismo-evoluzionismo a Engels è una descrizione che mi fa sorridere perché è assolutamente accurata quanto ovviamente infondata è l’accusa.
Dove vacilla però il Joker jugoslavo è proprio nella motivazione al suo rimprovero contro i marxisti protestanti, e cioè la sua affermazione che l’origine della caduta sta proprio all’origine, c’è un vero e proprio peccato originale a segnare le sorti del marxismo o il marchio di quel Caino di cui volevamo invece allontanare l’ombra.
A parte che questo giochetto assolutamente hegeliano mi risulta indigesto di per sé, ad essere onesti, Marx fa utilizzo di questo schema.
Marx non fa che seguire lo sviluppo di una totalità (il capitale come concetto o la società borghese come formazione storica) che pone i suoi presupposti, andando a cogliere proprio nel presupposto stesso di tale totalità il suo sviluppo e la sua fine (il fine è la fine, un nuovo inizio che conserva, cioè presuppone, ma abolisce i propri presupposti, proprio in virtù che tale abolizione risiedeva presupposta nelle sue condizioni di esistenza, e così via).
Il giochino di Marx è semplice: scovare la spiegazione di un fenomeno, riconoscendo il risultato nelle condizioni di esistenza. La scienza è la conoscenza delle condizioni di esistenza di un fenomeno, condizioni del suo apparire che erano presupposte, ma con il twist (hegeliano), e cioè che queste sono le condizioni anche del suo sparire. Qui sta il punto cruciale del metodo di Marx.
La scienza di Marx è il riconoscere i segni iniziali dell’apparire di un fenomeno, e in questi segni riconoscere già i segni del suo futuro, del suo sviluppo, ma nello specifico proprio del suo sparire finale, dove questo sparire finale non viene dal nulla ma viene da un movimento di sviluppo e articolazione, di determinazioni, di momenti o fasi o livelli o stadi e così via, di movimento quindi, di divenire, e soprattutto non finisce nel nulla, ma in qualcosa di diverso che non è totalmente nuovo ma proviene da un passato che l’ha condizionato, ovvero ne porta, ne conserva i segni ma non è la stessa cosa, è qualcosa di nuovo, e questo accadrà per ognuno di questi fenomeni. Il conservare e superare che è la logica hegeliana dell’aufhebung, ma in senso molto più terreno, evolutivo, darwiniano: è lo stesso che avviene per gli organismi, per gli ecosistemi, per i sistemi sociali, per le formazioni storiche.
È importante però, nonostante l’apparente circolarità del processo, tenere ben chiari i momenti e la direzionalità. Marx non cerca gli indizi della fine nei primi segni di un fenomeno, è dagli ultimi segni che interpreta come fine di un processo di sviluppo che rintraccia l’inizio e lo svolgimento di un fenomeno.
L’errore della logica antica (richiamandoci alla nozione un po’ liceale che Hegel rovesci la logica aristotelica) che poi è quella cristiana (la vediamo tanto in Tommaso quanto in, ahimé, Heidegger), è l’errore della metafisica contrapposta alla dialettica come le chiama Engels, del meccanicismo; è l’errore, più concretamente, dell’economia politica classica che Marx fa tanto per criticare! È proprio l’errore che Marx chiama unilateralità, cioè l’andare, pretendere di andare dalla causa agli effetti e dagli effetti alla causa, omettendo i passi intermedi e facendo salti ingiustificati, come se si potesse fare l’una azione senza l’altra, e soprattutto tralasciando di considerare la totalità, nel suo carattere di concetto e nel suo specifico modo di essere come processo, sviluppo, non concatenazione statica. Come se si potesse fare deduzione senza induzione, errando di dogmatismo, o induzione senza deduzione, errando di empirismo (tutti errori che nota di sua penna Engels).
La logica metafisica, non scientifica, quindi religiosa, è proprio quella che conduce necessariamente alla prima causa di tutti gli effetti, cioè il dio necessario, l’uno, il primo, il motore immobile eccetera eccetera. La visione per l’appunto autocratica, autoritaria, del punto originario dal valore assoluto, della verità più lontana e più antica possibile. È per questo che Heidegger, in una tremenda conferenza degli anni 60, rimaneva scandalizzato dalle diavolerie della cibernetica, questa nuova minaccia della tecnica che fa scomparire l’origine, la causa prima che dà il senso al tutto, dato che il loop in cibernetica prende il posto della direzionalità. Ricordiamo anche le analisi sul significante dispotico edipico della catena dei segni di cui parlavano Deleuze e Guattari e capiamo perché la teologia, l’ontologia metafisica è parente del nazismo (e nemica del comunismo e della scienza).
È una mistificazione, che sia consapevole o meno, cioè figlia di scaltrezza o di ingenuità, pensare di risalire alla causa prima senza passare dagli effetti, così come dare conto degli effetti senza avere una precognizione della causa. In altri termini, cito non a caso la logica di Peirce, profondamente invischiata in questo ragionamento, per il fatto che proprio il filosofo americano aveva scoperto un anello mancante della logica aristotelica, che era l’abduzione o retroduzione. Come facciamo a produrre un sillogismo, che è la struttura della dimostrazione scientifica e produce conoscenza vera? Come arriviamo alla premessa maggiore che dà il via alla deduzione, unica inferenza certa? Peirce si stupiva che nessuno ci avesse pensato prima. Si fanno salti logici ingiustificati per arrivare alle cause e agli effetti, metterli in ordine un po’ a casaccio e come conviene. Il vero atto scientifico, che è anche un po’ implicito, intuitivo, latente, e per questo passato sotto testo nella storia della logica, è la formazione di quella “ipotesi” o “inferenza ipotetica” o “abduzione” attraverso la “retroduzione”, che non è né l’inverso della deduzione né l’inverso dell’induzione, ma è quel processo che fornisce l’ipotesi di lavoro alla deduzione e fa uso dell’induzione per procurarsi una base empirica. Per fare questo, bisogna trovarsi necessariamente in un palleggio continuo tra causa ed effetto, bisogna ritoccare continuamente il concetto della causa tramite l’incontro con l’effetto, ma allo stesso tempo si va in cerca dell’effetto perché ci si dà un’idea provvisoria della causa proprio a partire da effetti che ci eravamo provvisoriamente posti con un’idea di causa che a sua volta avevamo preso da certi effetti…
E così via, è un concetto che a suo tempo poteva precorrere quella che negli anni ’50 fu chiamata cibernetica, e non è un caso che sia americana come Peirce.
Marx faceva tutto questo ancora prima, e questo giochino retroattivo lo chiamava dialettica.
Marx usava specificamente il concetto di totalità, che alla fine può essere letta anche organismo (e ritorna la cibernetica), perché implica sviluppo, nascita e morte, evoluzione, rapporti esteriori e interiori (organi interni, altri organismi esterni, l’ambiente che racchiude tutti, che è un’altra totalità e così via).
È solo in una totalità, ovvero sistema (cibernetica), che possiamo conoscere davvero qualcosa, non tanto perché il vero è l’intero hegeliano, ma perché il senso è dato dal contesto, dalla relazione di ogni segno col resto dei segni, orizzontalmente e verticalmente, non solo in senso spaziale, formalmente gerarchico, ma anche in senso temporale, cioè evolutivo, nel doppio significato, cioè filogenetico e ontogenetico. Non dimentichiamo che Marx voleva essere per l’uomo ciò che Darwin era per la scimmia, per la storia ciò che l’altro era stato per la preistoria.
Se prima parlavo di segni era proprio per questo, perché Marx utilizza una struttura epistemologica tipica della semeiotica o sintomatologia medica. Marx fa una eziologia del sintomo a partire dalla manifestazione del sintomo e dalla sua evoluzione, senza un progresso del sintomo non si avrebbero elementi per giudicarlo, conoscerlo, ma Marx fa una diagnosi differenziale (sono numerosi i paragoni tra capitalismo e feudalesimo, tra operaio e schiavo, tra una fase o un momento del processo del capitale e un’altro) per produrre un sapere che viene dal rapporto, dall’interazione molteplice non dall’isolamento o astrazione (Marx definisce il capitale un rapporto, l’errore dell’economia classica è proprio considerarlo una cosa, ovvero non nella differenza-contraddizione, ma come identità-astrazione).
La scienza è la conoscenza degli effetti e delle cause, degli esiti (prognosi) tramite la diagnosi per mezzo dei sintomi, risalendo all’eziologia (aitia=causa) ma tutto questo è circolare, non unidirezionale, ma ancora non un cerchio chiuso, piuttosto Marx lo chiama spirale, ma ancora forse nemmeno una spirale, è proprio un andare e tornare, girare a vuoto, in tondo ma come in una stanza buia alla ricerca di un interruttore o di una maniglia, non come si gira in tondo su una pista.
Tramite la conoscenza delle cause posso prevedere gli effetti e dunque produrre conoscenza, perché sapere è prevedere effetti (=conoscere le cause), e causare effetti previsti (ricordiamo l’esempio di Marx sull’architetto che progetta l’edificio mentre l’ape produce senza proiettare il risultato nella mente – zoologicamente discutibile, ma è per rendere idea. Ricordiamo anche che qui si parla di prassi, di politica, proprio perché la scienza per Marx serve all’azione rivoluzionaria. Sapere è potere come non mai) ma per produrre effetti previsti devo conoscere le cause, e alle cause risalgo tramite gli effetti;
tramite gli effetti posso risalire alle cause, la conoscenza delle quali che mi dà la scienza, ma è l’effetto degli effetti che è la causa della conoscenza della causa. Non è uno scioglilingua, per tornare a Marx, è l’anatomia dell’uomo che spiega quella della scimmia.
È quindi un processo, un saliscendi, un andirivieni, un tira e molla, una spirale che in realtà è un girare in tondo in una stanza buia per cercare l’interruttore o la maniglia della porta: ma di certo non posso conoscere solo l’una o solo l’altra delle direzioni, come vorrebbero i metafisici, i cristiani e i nazisti (che una volta nella storia si sono sciaguratamente alleati nell’essenza di Heidegger).
Il problema di Zizek sta proprio nel fatto di parodizzare il metodo marxiano così come l’ho esposto sopra, e cioè il metodo che cerca la scienza di un fenomeno ricercando i segni della caduta nell’origine stessa del fenomeno.
Zizek parodizza e banalizza il meccanismo, e di certo pecca di hegelismo… Proprio perché rende il fenomeno marxismo o il fenomeno caduta come immanente all’origine di per sé, perché così, perché il negativo e la contraddizione già da sempre stanno. E dove sta la storia? Dove sta il complesso articolarsi dei sistemi che, proprio nel continuo mutarsi, speciarsi, conducono a uno sviluppo, un accrescimento, una evoluzione? La caduta era già all’origine, e allora è una condanna edipica, abramitica? Qua pecca di lacanismo. Gli antenati muoiono, e siccome erano già da sempre condannati a morire, a cadere, lo saranno anche i loro eredi? Questo mi pare un ragionamento heideggeriano, oltre che edipico. Ma è proprio che sbagliando si impara… Forse voleva dire questo Zizek? Probabilmente sì. Sicuramente è la banale conclusione a cui volevo arrivare io, con un giro assurdamente lungo. La caduta dell’URSS non segna il ripresentarsi della colpa originale, edipica, che risale all’origine in quanto tale, inevitabile e funesta. Che non spiega nulla. È un passaggio che va seguito, scientificamente e non metafisicamente, verso un adeguamento della scienza alla prassi e della prassi alla scienza.
-Compagno Alfonso