La filosofia marxista e sovversiva di Toni Negri

Il libro di Roberto Nigro Dal rifiuto del lavoro alla moltitudine. La filosofia sovversiva di Toni Negri affronta da vicino e con un duplice approccio analitico-affettivo il percorso teorico-pratico, lungo quasi 8 decenni di storia, di Toni Negri. Ripercorrendo in maniera pressoché completa la sua intera filosofia, dagli albori del contesto di sfruttamento e miseria del dopoguerra fino alle rivolte della moltitudine contemporanee, esso offre tra le altre cose un buono spunto introduttivo a tutti i compagni che, per la prima volta, si avvicinano alle macro tematiche indagate da lui e dagli altri pensatori che lo affiancarono. Si può dire che in effetti questo libro rappresenta in maniera ottimale il tentativo, inseguito per tutta la vita, dello stesso Negri: quello di non rimanere confinato solo dentro le comode mura accademiche e di proporsi anche ai giovani, agli sfruttati e agli ultimi arrivati, di accrescere la loro potenza in tutti i campi. Ed è proprio riflettendo tale implicita volontà dello stesso Negri che il libro risulta tanto adatto a chi desidera approfondire la sua eccedenza eversiva nel campo del marxismo operaista, scoprendo la storia di un rivoluzionario. Negri si ritrova sin dalla sua nascita, come fatto notare già dalle prime pagine dell’opera, immerso in un contesto di fame e distruzione. Siamo nel secondo dopoguerra e in Italia il capitalismo muove i suoi primi passi per riorganizzare i suoi rapporti e l’intero apparato di produzione, non curandosi del prezzo elevato che ha fatto pagare durante la guerra a intere fasce di popolazione ora ridotte in estrema povertà. In questo clima Negri vive e cresce in una famiglia di tradizione cattolica-comunista da parte paterna e in una liberale-fascista da parte materna, dove il dolore è all’ordine del giorno: perde 7 familiari nel conflitto mondiale tra cui il fratello, fascista convinto, che morirà nella campagna in Jugoslavia. E’ proprio a partire dal domandarsi il perché dell’adesione del fratello a quelle idee, così vicine alla morte e all’odio, unito allo stare insieme alla povera gente in sofferenza, che Negri maturerà progressivamente il suo amore e la sua speranza nella vita. La vita è la lotta contro la morte ogni giorno, e la morte era quell’intero sistema ingiusto che ci si ritrovava a dover sopportare, morendo altresì dentro.

Negri si ribellava a questo crudele “destino” e vedeva anche in quell’epoca disperata le lotte e le resistenze delle potenzialità rivoluzionarie di tutta la collettività: perché come in ogni epoca simile, sono queste a delineare la storia del potere e del dominio, quelle contro cui esso si indirizza e risponde ri-plasmandosi a sua volta. Facendo tesoro di questi insegnamenti personali entra in università e già negli anni ‘50 e riesce a dare un nome alla sua volontà radicale di cambiare una società orientata alla morte: il comunismo. Si distingue nettamente dai colleghi per lo spiccato senso di militanza; oltre che per la ricerca di rinnovamenti teorico-scientifici, infatti, partecipa fin da subito con decisione alle lotte degli operai nelle fabbriche, cercando dunque una “rivolta etica” da trasformare successivamente in “rivolta politica” e studiando/lottando, di volta in volta, con i soggetti sfruttati dal padrone: cioè dal capitale. Il suo vero punto di partenza nella riflessione è però il ‘68 che rappresenta una trasformazione epistemologica, cioè un aggiornamento delle problematizzazioni e dei paradigmi nei campi della stessa produzione di sapere. Negri re-interpreta il ’68 in senso lato, come un evento di un “prima” e un “dopo”, ma ovviamente a partire dal dispositivo della lotta di classe; ed è ricostruendo questo filone che si può osservare la genesi e il dispiegamento del suo pensiero. Nel “prima” ci si era ritrovati nella situazione Italiana degli anni 40’ e 50 caratterizzate dalle grandi proteste del cosiddetto “operaio specializzato” del Nord Italia, molto legato all’ideologia del lavoro e a uno spiccato produttivismo. Il rappresentante di questa classe operaia, il PCI, spingeva per l’aumento delle forze produttive con lo scopo di realizzare, attraverso questa attività, il suo “compito storico” di liberazione dell’umanità. Queste direttive da “Ideologia del Lavoro” spingevano la classe operaia specializzata del Nord, tra l’altro nettamente contrapposta alle classi contadine del povero e arretrato Sud Italia, a sopportare lo sfruttamento capitalistico pur di aumentare di volta in volta la produzione e l’accumulazione, nella speranza di un assalto al cielo definitivo e con la garanzia di conquiste sociali progressive, indicizzate dal Partito. Il capitale, reagendo a quest’organizzazione della classe e sviluppandosi, muta però la situazione complessiva. A partire da inizio anni ‘50 fa la sua comparsa infatti una nuova figura: l’operaio-massa. Il capitalismo, grazie all’industrialismo/produttivismo si era sviluppato molto ed ora cercava di penetrare il mercato internazionale, espandendo il processo di accumulazione. Questo richiedeva un deciso aumento di manodopera, perlopiù non qualificata e a basso costo, e un grado di automazione dei processi meccanici più alto rispetto al passato. Ciò che insomma prima costituiva l’organizzazione strutturale della società e del lavoro nel suo complesso, con le forme di resistenza attive della classe operaia “specializzata”, ora rappresentava un limite e un ostacolo da arginare. Viene così inaugurata una massiccia stagione di importazione forzata dalla classe contadina dal Sud Italia che viene arruolata nelle file operaie, prima quasi tutte di origine settentrionale. Ora l’operaio diventa parte di una massa omogenea, indistinguibile e soprattutto poco specializzata in compiti specifici: adatta cioè a mansioni semplici, ripetitive e standardizzate. Con l’avvento della produzione di massa-scientifica del Fordismo il capitale reagiva e desiderava avere degli strumenti per controllare e sussumere, con il disciplinamento fordista, le lotte e resistenze dei primi operai settentrionali. Da ciò seguì la creazione di una seconda generazione operaia mista che cambiò la formazione della forza-lavoro nelle fabbriche, catene di montaggio e nelle metropoli: per loro il lavoro era fatica e sfruttamento, non ideologia o emancipazione. 

Lo scenario vissuto in prima persona (le innumerevoli proteste fuori i cancelli nel triangolo industriale Milano-Torino-Genoa) rendono chiaro a Negri come stiano le cose da parte del potere e del dominio: quest’ultimo ha la necessità costante di reagire alle lotte dei soggetti sfruttati che divengono antagonisti perché non sono semplice “prodotto” oggettivato del capitale, ma sono anche lavoro vivo, una base irriducibile di resistenza al rapporto capitalistico, cioè una soggettività in carne e ossa. A questo antagonismo difatti il capitale deve rispondere di volta in volta, riconfigurando i suoi assetti e rapporti produttivi-organizzativi che contrastino l’organizzazione della classe che gli resiste. Si arriva dunque alla constatazione, nella teoria e nella prassi, di come la lotta di classe non sia solo la conseguenza dello sviluppo capitalistico ma, proprio perché soprattutto soggettività, sia essa stessa motore e genesi reattiva dello sviluppo e trasformazione.

Appare ancora più chiaro in quegli anni come le forme di lotta della stessa soggettività siano diverse le une dalle altre: se con l’operaio specializzato si parlava di lotta sindacalizzata e guidata dall’avanguardia rappresentativa del Partito (dall’esterno) con l’operaio massa si parla sempre più del “Rifiuto del Lavoro”: la forma di questa lotta si esplicitava nel disconoscersi come operai dell’operaio stesso, rifiutando questo ruolo attribuito dal modo di produzione capitalistico (MDPC). Era quel tipo di lotta che, mediante il sabotaggio, l’insubordinazione e le resistenze individuali-collettive, veniva attivata in maniera spontanea e senza il bisogno di essere guidata dall’alto (Partito, Sindacato) essendo al contempo altamente organizzata. Il concetto divenne sempre più centrale nelle riflessioni e diede la spinta per il nascere, a inizio anni ‘60, di quella che sarà la macro-corrente di pensiero e di appartenenza consolidata di Negri e quanti con lui rinnovarono teoricamente il marxismo: l’Operaismo. Questa corrente rappresenta non solo la comprensione teorica dell’importanza della soggettività del lavoro vivo come antagonista e generatore delle condizioni di sviluppo del capitale; da un punto di vista pratico in quegli anni introduce una nuova microfisica della resistenza del lavoro vivo e della classe operaia, che ora rifiuta di essere sé stessa nel ruolo attribuitogli di classe lavoratrice; poi forza che produce Capitale oppure rifiuta di produrlo. Tutto ciò avviene dentro e contro il capitale. Il concetto di “composizione di classe” nella sua duplicità rende ancora più evidente tale rivoluzione copernicana: da un lato la composizione tecnica-oggettiva di classe, cioè il capitale che domina la forza-lavoro disciplinandola e ordinandola. Insomma, la classe operaia come risultante delle leggi oggettive dei rapporti economici che regolano il suo formarsi. Dall’altro lato abbiamo la composizione politica-soggettiva di classe che indica la forma soggettivizzata della classe operaia, composta da eredità storico-culturale, dai modi di pensare e di vivere, dai desideri e i modi di aggregarsi in lotta; quest’ultima, è per gli operaisti, il vero nucleo della classe lavoratrice: si genera dalle lotte, dalle esperienze politico-pratiche degli operai e dai loro apporti vitali, determinando l’orientamento dello sviluppo capitalistico.

Il lavoro non è più l’essenza dell’uomo da esaltare come nella vecchia tradizione socialista-socialdemocratica ma ne diventa, per dirla con Foucault, il suo assoggettamento, imposto con un sistema di disciplinamento e controllo (incentrato nella Fabbrica), attraverso dei dispositivi che trasformano soggetti liberi con la loro vita (fatta di una molteplicità di eventi) in soggetti produttivi e in forza-lavoro massificata. Avviene così definitivamente il distacco fra il Marxismo tradizionale e il Marxismo autonomo dell’operaismo: si fa avanti nel discorso comunista la “storia dell’altro movimento operaio”, a lungo accantonata, che parlava del soggetto operaio autonomo e maggioritario (e non più solo di quello specializzato, visto come minoritario ed egemonizzato dal Partito) e che apporterà al movimento novità radicali nelle concezioni della stessa lotta di classe.

Se queste posizioni, mutuate e riprese dal Tronti di Operai e Capitale, segneranno l’approdo di Negri nella corrente operaista e alle lotte in fabbrica negli anni ‘60, con tutte le conseguenze teoriche che ne derivano (superamento dello storicismo hegeliano, della teleologia storica, dell’umanesimo antropologico e dell’economicismo), parimenti ne segneranno il suo discostamento e la sua rinnovata eresia. Si arriva così al ‘68 e soprattutto al suo “dopo”: se per comprendere il “grezzo” operaismo trontiano bisognava inquadrare il contesto storico-sociale inaugurato dal fordismo-taylorismo, come fase del capitalismo e di organizzazione del lavoro nella prima metà ‘900; per capire l’operaismo negriano occorre passare di qui fino al cosiddetto “autunno caldo”, cioè la nuova era di conflitti. L’obiettivo preliminare di Negri era però dichiaratamente quello di “dimostrare che la classe operaia è stata, nella sua pluriformità, il motore del “Secolo Breve”: partendo dalla rivoluzione d’ottobre mostrava come il capitale, più o meno indirettamente, avesse reagito a questo attacco degli operai riconfigurando una nuova organizzazione del lavoro internazionale (col taylorismo-fordismo) e nuove forme politiche di dominio/controllo (nazifascismo, New Deal roosveltiano ecc..) al fine di frammentare la stessa classe lavoratrice, attraverso due effetti: rompendo l’unità Partito d’Avanguardia/composizione della classe operaia in generale e isolando la rivoluzione sovietica a livello mondiale in particolare. Il punto massimo e il manifesto politico di questa volontà di contrattacco del capitale si raggiunse con la crisi del ‘29 e l’avvento del keynesismo. Il ‘17 aveva insomma dimostrato, con la sua nuova congiuntura e le sue conseguenze, che la classe operaia è la forza trainante della strutturazione del capitale. Se da tale evento storico discende questa constatazione (e la nascita, come visto, dell’operaio-massa), “quella che era solo un’indicazione nel ‘17, il 1968 l’ha messo in luce come possibilità immediata nella coscienza e prassi collettive”. Iniziava così una nuova stagione di lotte, che in Italia sarebbe durata ben 10 anni e che avrebbe visto la partecipazione di nuove soggettività rivoluzionarie combinate fra loro: dai movimenti femministi fino a quelli anti-imperialisti e pacifisti. Tutta questa molteplice eterogeneità arriverà a confluire e comporsi nella lotta di classe contro il capitale. Ma come è avvenuto tale mutamento? Ancora una volta il capitale, reagendo alle lotte decennali dell’operaio-massa, aveva ristrutturato l’organizzazione del lavoro: si passa ora dal fordismo al post-fordismo. L’epoca post-fordista caratterizza in maniera radicalmente diversa i rapporti capitalisti rispetto al passato: il decentrarsi e lo smantellamento delle fabbriche tradizionali; il disperdersi allargato della stessa produzione nella società intera (aziendalizzazione della società); la crescente centralità dei servizi rispetto all’industria classica; la fine della società degli “spazi separati” dove lo spazio della produzione e del lavoro (la fabbrica) era separato da tutti gli altri spazi della riproduzione della vita in generale; e ovviamente una nuova composizione tecnico-politica di classe. Da qui si generano le rotture col vecchio operaismo: Tronti vede in ciò solo il tramonto in generale della classe operaia, che ora è disgregata e la cui crisi può essere risolta solo dal Partito, come organo esterno ad essa che la ri-assembli; il nuovo operaismo di Negri invece vede, con l’emergere di nuove soggettività antagoniste, tutte nuove potenzialità politiche capaci di entrare in conflitto con le dinamiche del capitalismo post-fordista. Quello che insomma in Tronti e nei vecchi operaisti era vista come una sconfitta (in molti casi definitiva) del movimento operaio, per Negri diventa l’occasione per ri-affermare la lotta del lavoro vivo contro lo sfruttamento capitalistico. Difatti le lotte dall’autunno caldo del ‘68 fino al loro apice, il movimento del ‘77, vedranno come nuovo protagonista proprio la figura dell’operaio sociale: il lavoro dell’operaio non risiede più solo nella centralità della fabbrica/catena di montaggio, ma invade tutta la società e i suoi spazi. Nel lavoro vivo e produttivo, capace di confliggere col Capitale, ora rientrano anche nuovi elementi quali medici, infermieri, studenti, lavoratori dei servizi ecc…un tempo considerati lavori improduttivi e che ora re-inventano forme di conflitto prima inedite: le lotte negli ospedali pubblici, il movimento anti-psichiatria, le conflittualità nella sfera privata, il movimento femminista, le organizzazioni operaie autonome. L’operaio sociale non è però esclusivo: rappresenta l’unione, come soggetto politico, delle vecchie soggettività operaie di fabbrica con le nuove soggettività eterogenee provenienti da tutti gli spazi della vita sociale e dall’insurrezione dei “saperi e pratiche assoggettati dal basso” degli emarginati di foucaultiana memoria, un tempo esclusi dall’orizzonte politico. L’affermazione di questa eterogeneità nelle lotte, come nota Negri, è sempre più generalizzata a partire dagli anni ‘70 e porta con sé un’altra intuizione fondamentale: cioè che il lavoro si fa sempre più cognitivo e immateriale. Le sue caratteristiche principali ora diventano infatti il condividere informazioni e dati, la cooperazione, le relazioni, gli affetti e le interazioni-comunicazioni tra le soggettività. Negri giunge a questa svolta radicale del marxismo specialmente attraverso il riutilizzo dei concetti, provenienti da manoscritti di Marx, in particolare i Grundrisse, di Individuo Sociale e di General Intellect, visti come essenziali per la comprensione dell’evoluzione capitalistica odierna. Nel mentre tuttavia avveniva qualcosa di più grosso: la fine del ‘77 si conclude con la sconfitta del movimento operaio autonomo; si chiudeva dunque la stagione dell’autunno caldo e si intravedeva l’ennesima risposta del capitale alle lotte mondiali. La contro-rivoluzione neoliberale del “lungo inverno”, come venne definita da Guattari, inizierà negli anni ‘80 ed avrà effetti che sul lungo termine si ripercuoteranno fino alla nostra epoca. Con questa fase si inaugura la reazione che diffonde definitivamente l’ordine post-fordista a livello mondiale, con tutto ciò che ne segue a livello pratico: la fine delle forme politiche dello Stato Sociale e l’imposizione dogmatica di politiche economiche liberiste (Reaganomics), il cruciale passaggio dalla società repressiva-della disciplina alla società del controllo, ben delineato da Deleuze, che organizza ora una sorveglianza anatomica, capillare e onnilaterale di tutti gli spazi sociali, arrivando a ordinare e governare a livello “democratico” (non percepita affatto come una repressione identificabile in un sovrano, come in passato) l’intera vita di tutti i corpi sussumendoli a sé; l’indebolimento generalizzato delle lotte e la loro spoliticizzazione sempre più frequente. Proprio in un presente così desolato e sconfortante arriva per Negri, accusato ingiustamente di atti da lui mai commessi negli anni ‘70 e nel frattempo costretto all’esilio in Francia per sfuggire all’arresto, l’occasione sempre più necessaria ridare ossigeno al marxismo, attuando un’ennesima opera di rinnovamento che implementi le grandi conquiste teoriche dell’operaismo. Questa impellente necessità rispecchia perfettamente l’atteggiamento che lui ha da sempre avuto fin qui e che d’ora in avanti caratterizzerà anche il resto della sua vita: quello di non darsi mai per vinti e di fornire nuove spinte e punti di riferimento per orientare il movimento comunista alla lotta per il cambiamento. Principalmente sono due le direttive che si intersecano nella grande operazione di ri-sistematizzazione epistemologica: il confronto con il Marx eversivo della nuova scuola strutturalista-althusseriana e l’alter-modernità culminante in Spinoza. Con l’opera Marx oltre Marx si riscopre il Marx dei Grundrisse (uscendo fuori dall’esclusiva egemonia detenuta dal Capitale) con il suo attivo potenziale rivoluzionario e le categorie succitate che, sulla scia di Raniero Panzieri, porranno l’accento soprattutto sul dualismo negativo-positivo del lavoro vivo: riferendosi al famoso “frammento sulle macchine” si vuole far notare che, nel quadro delle forze produttive eccedenti al MDPC, il plusvalore da base oggettiva dell’accumulazione capitalistica e sua forma storica si configura altresì come soggettivazione in composizione articolata. Passare dalla “critica alla valorizzazione oggettiva capitalistica all’autovalorizzazione proletaria” significa proprio riconoscere il lavoro vivo come “Non-Capitale”. Lo può fare negativamente, quando è un lavoro non-oggettivato e astratto, cioè separato da tutti i mezzi e oggetti del lavoro. I lavoratori sono esseri puramente fisici, ridotti alla loro semplice riproduzione, e sebbene siano capaci “oggettivamente” di produrre la ricchezza, risultano separati infine da questa come un’astrazione di “capacità produttiva in potenza” esclusivamente passiva. Oppure positivamente, quando un lavoro sempre non-oggettivato (non-capitale) si fa capacità di negazione del suo essere negativo. In poche parole nega il suo essere separato dalla ricchezza oggettiva che può produrre, si fa soggetto attivo e diviene cosciente che il lavoro è sorgente vitale del valore prodotto, dunque nega questo lavoro e diviene non-capitale pieno in potenza (è la vera esistenza non-oggettivata in capitale) sfrutta la sua capacità di produrre in potenza per diventare “Non-Capitale” pieno perché si rifiuta di essere mero lavoro: diviene soggetto attivo e prende vita.

La grande potenzialità contenuta in Marx sta espressamente nella scoperta di questa capacità del lavoro di farsi vivo, il suo rendersi soggetto irriducibile contro la sussunzione capitalista. La potenzialità del lavoro vivo si unisce al quadro moderno del post-fordismo, in cui si riscontra sempre più l’egemonia del lavoro cognitivo su altri lavori e il farsi forza produttiva dello stesso sapere sociale generalizzato (General Intellect) e del suo soggetto antagonista: l’individuo sociale re-interpretato come operaio sociale. Appare allora un nuovo concetto determinante in tutte le successive teorizzazioni di Negri: la produzione sociale complessiva capitalistica si è fatta, col lavoro cognitivo, “produzione biopolitica” in quanto ora l’intero Bios o “sfera della vita” dei corpi si sussume alla valorizzazione capitalista, dove il lavoro vivo è sempre più basato sulla cooperazione sociale delle “forme di vita” con il risultato di avere lo sfuttamento e il controllo in ogni campo esistenziale degli uomini.

Con l’altra direttiva viene invece coniugato il primo aspetto del corpus marxiano alle teorie di vari pensatori (da Machiavelli e Leopardi a Merleau-Ponty) ricostruendo una Teoria Alternativa della Modernità e del Politico: centrale diventa l’intera opera di Spinoza, di cui Negri propone una nuova interpretazione nel testo L’anomalia Selvaggia, in cui se ne riscopre la portata rivoluzionaria: promotore di un’ontologia materialista, positiva, plurale e della piena immanenza dell’essere sociale, Spinoza con il suo progetto ha dato lustro a nuove armi contro l’oppressione della modernità capitalistica. Il Politico e insieme a questo “l’essere sociale” non si fondano mai a partire da un trascendente/trascendentale ontologico (Il Divino, lo Stato ecc.. )ma dalla potenza degli uomini che insieme hanno da fare/realizzare la storia: la loro capacità di costruire assieme un essere sociale. Questa potenza è dunque elevata a livello ontologico e rappresenta il tentativo spinoziano di rimettere la Storia “coi piedi per terra”, fondandola non più sull’alto dei cieli o della terra, ma sul potere costituente del comune dei corpi. Da ciò ne deriva il continuo costituirsi e prodursi degli uomini singoli insieme come “moltitudini”, di aggregarsi come soggettività che realizzano la storia stessa e l’essere sociale. Il concetto di Comune esprime pienamente la capacità di ri-affermare la potenza ontologica delle categorie marxiane del lavoro vivo, delle forze produttive e della lotta di classe espresse come soggettività (moltitudini) che costruiscono il presente e la società. Il Comune è la stessa produzione e costituzione che si realizza con il fare esperienza concreta degli uomini; una perenne costruzione dell’essere sociale in nuove forme di vita e al contempo il suo stesso fondamento, l’agire delle forme di vita singolari che cooperano tra di loro: le moltitudini. Il Comune è difatti sia il processo che il risultato, è la co-essenzialità di produzione e costituzione del medesimo essere (la Società è il fondamento dello stesso Stato come Società risultante), è sia la base sulla quale si costruisce società sia il suo orientamento etico-politico in una determinata società. La rivoluzione sta proprio qui: il comune è immediatamente etico-politico e non a posteriori; già in partenza non può che darsi orientato come tale in una dualità tra il potere costituito attuale e la costante produzione di alternative del potere costituente in potenza: entrambe sono presenti come co-prodotte nel Comune stesso. Sparisce l’apparente univocità e uni-dimensionalità del Politico e a un dato potere costituito si darà sempre un potere costituente moltitudinario eccedente, internamente democratico e multiplo, capace con forza espressiva di spezzare, creare e re-inventare il potere col suo dispiegarsi. Il potere costituente delle moltitudini, tradotto in Comune, è la vera regola della storia e di ogni potere su cui si fonda il Politico, non è ovviamente semplice eccezione ad esso. Negri mostra infatti che lo Stato moderno (fondato sull’autoritario normativo o sul contratto sociale) alla sua nascita ha dovuto continuamente lottare contro la Società Civile e e le moltitudini per fissarsi e imporsi come “potere costituito” installato nel Comune. L’incredibile ricostruzione del pensiero spinoziano fornisce dunque i presupposti per l’affermarsi di un’ontologia storica immanente e plurale che vede protagoniste le moltitudini con il loro potere costituente come suo fondamento e che non si dà mai per data o conclusa una volta per sempre in una società invalicabile o insuperabile. Il soggetto moltitudinario non può mai essere sussunto del tutto a una data società, e la sua potenza di innovazione congenita può aprire la strada ad alternative progettuali etico-politiche sempre in gioco. Ora questa produzione e costituzione del soggetto-moltitudine in Comune vengono poste come potenza nel quadro immanente del moderno processo capitalistico. Al “processo senza soggetto” di Althusser, di cui pure vanno riconosciuti i meriti di aver “de-soggettivizzato” ontologicamente lo stesso soggetto classico-moderno e di aver ripulito dunque il marxismo di residui di umanesimo e antropologismo, si sostituisce un processo sociale di soggettivazione non più moderna ma “alter-moderna” della potenza e dell’attualità immanente nelle dinamiche della storicità proprio per evitare, come Negri rimproverava ad Althusser, di “tagliare lo stesso ramo nel quale era seduto” non concependo un altro soggetto possibile se non quello assoggettato e passivo al processo stesso. 

Questa straordinaria mole di lavoro, insieme alle collaborazioni con pensatori quali Deleuze, Guattari e al contributo indiretto di altri tra cui Foucault, daranno le basi della grossa rinascita del pensiero intellettuale di Negri a partire dagli anni ‘80 fino ad oggi. Superando la fase “del lungo inverno” della società capitalista “neoliberale”, si ha una ripartenza generale delle lotte e il ri-prodursi di nuove soggettività antagoniste. Non solo lo sciopero dei minatori e lavoratori inglesi del ‘84/’85 contro la repressione thatcheriana, ma anche l’affiorare negli anni ‘90 di proteste studentesche, della protesta francese dei lavoratori dei servizi (trasporti, telecomunicazioni, informatica) nel ‘95 rendono sempre più evidente il carattere immateriale-cooperativo del lavoro espresso da queste categorie, il loro costituirsi insieme alle informazioni, interazioni e alla produzione di un sapere sociale condiviso e generale in una soggettività “cognitiva-cooperativa” amalgamata. Il resistere e lottare dei lavoratori cognitivi contro l’appropriarsi del capitale delle loro capacità comuni di produrre sapere sociale generalizzato, conoscenza e informazioni mostra sempre più quali siano i meccanismi odierni di estrazione del valore (a partire da questa capacità comune e di cooperazione sociale fra singoli) e che la storia non sia davvero finita all’indomani del crollo del Muro di Berlino e del Socialismo Reale, visto da Negri come una semplice altra faccia del capitalismo.

La potenza dell’alternativa è sempre all’orizzonte, e le nuove categorie possono essere usate per comprendere lo stato attuale dei conflitti e di come il capitale reagisca a questi oramai non più a livello nazionale, bensì internazionale. Il capitale in quest’ultima fase storica infatti si ristruttura in una forma politica-economica-culturale del tutto nuova: quella dell’Impero, una figura consolidata che si mette in relazione con le dinamiche della globalizzazione. Esso è una nuova forma di sovranità globale: anonima, de-territorializzata e decentrata. L’Impero è senza confini e localizzazione, la nuova fonte del potere del Capitale che prende il posto della sovranità degli Stati-Nazione e li soppianta (tuttavia essi non scompaiono, bensì perdono d’importanza rispetto al passato); infatti l’Impero non si identifica propriamente con nessuno Stato, neanche con quelli più forti quali Stati Uniti, Cina e Russia, proprio perché l’imperialismo non è la prerogativa sul quale erigere il suo potere. Impero è la regolazione e l’assoggettamento immediato di tutta la società civile e delle forme di vita del lavoro cognitivo al MDPC, in ogni angolo del pianeta. Il capitale nell’Impero arriva a estendere, sussumere e sottomettere non più solo la sfera della produzione-economica come spazio, ma appunto l’intera Vita/Bios in tutte le sue forme-dimensioni spaziali e temporali, da cui ora viene estratto il valore. Queste forme di vita sono espresse perlopiù dal lavoro cognitivo mondiale e rappresentano le nuove soggettività antagoniste, perché il loro diventare produttive per il capitale le rende in grado di opporsi e di ri-appropriarsi di quanto hanno prodotto con le loro capacità e flussi di cooperazione sociale, cioè il Comune. In questa situazione globale infatti, il Comune è il continuo prodotto delle singolarità messe in assemblaggio dal lavoro cognitivo internazionale: flussi di dati, di saperi, di informazioni, di affetti, di comunicazioni, di corpi. Le nuove soggettività sono espresse qui dal concetto di moltitudine proprio perché prodotte in un assemblaggio perpetuo di elementi singolari integri, che non si annullano vicendevolmente ma si rafforzano in cooperazione fra loro, capaci di produrre questa enorme mole di ricchezza sociale che gli viene strappata via dal Capitale. Lo stesso Capitale però rende possibile il proliferare dell’assemblaggio costante e stimola sempre più l’aumento della cooperazione sociale nelle singolarità del lavoro cognitivo: perché ha bisogno di questa capacità cooperativa nella produzione delle moltitudini per appropriarsene, così da continuare a usarla per la sua valorizzazione, sussumendola con un’organizzazione costante, per trarne la massima profittabilità. Ciò genera a un tempo la sua forza, a un tempo la sua possibile disfatta: la moltitudine da semplice prodotto passivo, fagocitato dal capitale, può farsi soggettività attiva e, con l’aumentare costante della sua autonomia e creatività nella produzione, rompere il rapporto di subordinazione. Si profila allora, come rovesciamento dell’Impero, la potenzialità di realizzare davvero il Comune che le moltitudini costituiscono al loro interno come nuovo modo di produzione.

Per Negri infatti il  “Comune” è il risultato specifico dell’epoca storica attuale, della produzione globale costante di un modo di produzione che funziona attraverso il lavoro cognitivo organizzato e i suoi soggetti moltitudinari; una produzione nella quale cooperano socialmente e si assemblano tutte le singolarità. La scommessa, a cui solo le stesse moltitudini potranno dar risposta, è dunque come sia possibile strappare il Comune stesso all’egemonia del capitale e renderlo attivo, cioè la base di una nuova società.

Le categorie di Impero e di Comune si inseriscono nel lavoro ventennale dell’ultimo Negri che, in collaborazione con Michael Hardt, cercherà assieme all’enorme lavoro di rinnovamento teorico degli anni precedenti, come presupposto da cui partire, di trovare alternative e fornire una nuova organizzazione possibile del Comune contro la società capitalistica globalizzata.

E’ un’ambizione che, sebbene sia giunta a un modesto risultato da parte dei due autori, con la produzione della famosa tetralogia Impero-Moltitudine-Comune-Assemblea, è ancora in corso d’opera e presenta diverse criticità a cui solo i movimenti e lo sforzo congiunto delle soggettività in lotta potranno dare soluzioni soddisfacenti. Cogliere quest’ambizione in tutta la sua potenzialità per espanderla rappresenta la vera sfida teorico-pratica al capitalismo contemporaneo, e deve essere prerogativa per tutti i compagni che non si danno per vinti e non accettano una resa alla società capitalistica attuale, resa che, come ci ha insegnato lo stesso Negri, sarebbe “ontologicamente impossibile” perché non ci si può mai rassegnare totalmente allo stato di cose presente. Questo libro in sintesi non ha solo dato un ritratto biografico-contenutistico sulla figura di uno dei più grandi marxisti pensatori del ‘900: ha anche reso onore alla condotta di un rivoluzionario, prima che intellettuale, in cui è sempre stato centrale un insegnamento: “la vita è più forte della morte ed è una continua lotta e rivolta contro la morte stessa”. Un’etica che ha sempre rispecchiato la sua volontà politica perché di Negri non va ricordata solo l’immensa cassetta degli attrezzi che ci ha lasciato per affrontare le trasformazioni capitalistiche attuali (anche da aggiornare e sottoporre in critica) ma soprattutto l’irriducibile coraggio, l’amore per le capacità di lotta e di cambiamento degli ultimi.

-Compagno Marco

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