Il libro Contrattare l’innovazione digitale è un manuale della CGIL pensato per delegati e delegate con lo scopo di formarli per poter contrattare la digitalizzazione del lavoro con le imprese. Il libro è composto da molti interventi che spaziano dall’analisi del concetto di innovazione alle competenze future che dovranno avere i lavoratori.
- Introduzione
Gaetano Sateriale nel suo saggio Per un’innovazione socialmente sostenibile ricostruisce molto brevemente gli impatti dell’innovazione tecnologica sui lavoratori. La prima rivoluzione industriale, con la macchina a vapore, la meccanizzazione, l’organizzazione del lavoro nelle fabbriche, produsse la classe operaia, le organizzazioni mutualistico-sindacali e la contrattazione collettiva sugli orari e i salari. L’uso del petrolio, dell’elettricità, l’invenzione del motore a combustione interna hanno invece trasformato le condizioni di lavoro e le abitudini di consumo del proletariato. Queste innovazioni hanno permesso la nascita delle grandi fabbriche, dei monopoli, delle nuove professionalità operaie ed intermedie, delle produzioni e del consumo di massa. L’implementazione delle catene di produzione coincisero con l’ascesa delle grandi organizzazioni sindacali, della contrattazione su salari, orari, ritmi di lavoro, professionalità, condizioni di salute e diritti di istruzione. A partire dagli anni ‘80 nelle imprese si inizia ad impiegare su larga scala l’elettronica e il controllo numerico con l’effetto di ridurre la quantità di lavoro necessario alla produzione di una merce, avvicinare il momento della produzione con quello dei servizi, sviluppare i trasporti e superare il sistema fordista e taylorista dell’organizzazione del lavoro. Le lavorazioni maggiormente standardizzate vengono trasferite, anche grazie alle innovazioni prodotte dalle ICT, nei paesi con salari più bassi e meno diritti per i lavoratori. La contrattazione industriale si deve misurare con questi processi di ristrutturazione e provare a difendere il lavoro, sia nella sua dimensione quantitativa che in quella qualitativa. Allo stesso tempo la contrattazione si fa strada nei servizi e aumenta la necessità di nuovi contenuti professionali.
Un altro punto evidenziato da Sateriale riguarda la relazione tra rivoluzioni industriali e superamento dell’economia basata sul lavoro del singolo. Le botteghe degli artigiani vennero rimpiazzate dalle fabbriche mentre i negozi dai centri commerciali. La cooperazione tra diverse professionalità incrementa il valore aggiunto delle merci e dei servizi. Le imprese industriali producono una sintesi tra i vertici ristretti perché in questo modo redistribuisce il minimo possibile del valore aggiunto. Oggi l’innovazione digitale forse obbligherà a fare una sintesi delle competenze ad ogni livello e per questo motivo la partecipazione, intesa come relazione tra diverse competenze, è un obiettivo e uno strumento reso ancora più centrale dalla rivoluzione tecnologica informatica. Questo processo innovativo viene descritto come qualcosa di ancora in corso e non pienamente compiuto. Nonostante ciò l’internet delle cose, l’intelligenza artificiale o l’economia digitale sono elementi centrali nelle trasformazioni dell’economia e della società in corso. Infatti questi cambiamenti non riguardano solo il nostro modo di produrre ma coinvolgono anche le condizioni di vita delle persone e delle comunità, i luoghi di abitare, i mezzi di trasporto, i modi in cui comunichiamo, i consumi e i servizi sociali. Per quanto riguarda il lavoro, le tecnologie digitali modificano il rapporto tra capitale fisso e lavoro, la quantità e le caratteristiche del lavoro necessario alla produzione. Sateriale sostiene che il minor peso relativo di alcune componenti di costo potrebbe invertire la tendenza verso la delocalizzazione di alcune attività produttive dalle aree di più antica industrializzazione, come gli USA e l’Europa, con relativo spostamento del capitale finanziario e del lavoro. L’innovazione tecnologica, inoltre, tende a ridurre le differenze tecnologiche ed organizzative tra settori, in particolare produzione e distribuzione, con l’obiettivo di tenere insieme una maggiore personalizzazione delle merci prodotte e le economie di scala necessarie a una produzione e una distribuzione rapida ed efficiente. Il concetto di personalizzazione del prodotto si lega ad un cambiamento di modello di produzione dove il consumatore ha la possibilità di intervenire addirittura nelle fasi di progettazione e realizzazione del prodotto per poter individuare e commissionare il modello più ottimale rispetto alle proprie esigenze. Tuttavia la digitalizzazione è un processo graduale con diverse velocità di diffusione e innovazione incrementale. Questo significa che ci sarà una lunga convivenza e complementarietà tra le tecnologie digitali e quelle tradizionali anche sé le tecnologie digitali diventeranno progressivamente culturalmente e socialmente dominanti. Per governare simili processi, senza subire il tutto passivamente, è necessario conoscere le caratteristiche, i livelli di diffusione e le conseguenze sulle attitudini di consumo e di lavoro delle persone. Questa è una precondizione da cui si diramano diverse strategie di governo. La prima è favorire l’implementazione spontanea dell’innovazione digitale, la seconda è il tentativo di indirizzare il suo sviluppo a partire dai bisogni del Paese e infine il contenimento degli effetti discriminatori sui lavoratori e i cittadini. La diffusione dell’innovazione riguarda anche il rapporto con il territorio. Questo dato è importante da sottolineare perché oggi non è più solo la fabbrica il luogo di produzione del valore. La catena del valore si determina nel territorio attraverso un insieme di prodotti e servizi che finiscono per rendere più coesa una comunità e più attrattivo un territorio. Il sindacato, per agire in un’ottica inclusiva volta a ridurre le diseguaglianze e valorizzare il lavoro, deve essere in grado di individuare le filiere produttive e distributive e i territori per captare i bisogni e le potenzialità per adottare strategie e tecniche contrattuali adeguate. Per quanto riguarda, invece, le conseguenze sul lavoro non è scontato l’esito quantitativo netto sulle forze del lavoro. L’innovazione tecnologica tende ad accentuare la tendenza verso la polarizzazione del lavoro tra competenze di alto livello professionale da un lato e lavoro esecutivo e povero dall’altro. A causa delle scarse dinamiche degli investimenti è molto facile immaginare che la maggior parte delle imprese italiane, senza un adeguato supporto dato dalla crescita della domanda, tenderà ad esternalizzare la quota di lavoro professionalizzato e creativo e ad accentuare il peso del lavoro maggiormente povero professionalmente. A queste dinamiche si aggiunge l’emergere della gig economy. Sateriale sottolinea che le piattaforme della gig economy e della sharing economy separano fisicamente, contrattualmente e socialmente i lavoratori che le creano da quelli che le applicano. Le imprese delle new economy nascono su questa separazione e amplificano un processo di subappalto e di dequalificazione del lavoro. In queste attività il lavoro è considerato autonomo mentre rappresenta spesso uno dei gradi più alti di sfruttamento e assenza di diritti. Da qualche tempo, tuttavia, ci sono segni di una ricomposizione sindacale sul piano dei diritti e delle condizioni di lavoro in queste piattaforme ma stiamo parlando di un campo ancora da esplorare per bene e rappresentare veramente con una contrattazione nuova. Su questo punto concludiamo l’analisi del saggio di Sateriale che invita a ripensare la contrattazione. Il sistema contrattuale consolidato nella seconda metà del Novecento non è più sufficiente e non appare più efficace la divisione del lavoro tra titolarità contrattuali confederali e competenze di categoria. Le novità emerse a partire dai settori dove si sono create nuove catene del valore lasciano intravedere la possibilità di una ricomposizione e riduzione del numero dei contratti nazionali a partire dalle nuove filiere che si sono determinate. La dimensione sovranazionale dei processi scaturiti dall’innovazione sul lavoro e nella società impongono di adottare politiche fiscali e contrattuali coordinate almeno al livello dei sindacati europei. Lungo questa via si incammina Monica Ceremigna con il saggio Un approccio transnazionale. L’autrice sottolinea come le immense opportunità insite nella trasformazione digitale si accompagnano ad alcune importanti minacce. Parliamo della gestione del tempo di lavoro e del tempo libero, la maggiore flessibilità richiesta dai padroni e dagli stessi lavoratori, l’aggiornamento delle competenze e la riqualificazione per evitare l’esclusione dal mercato del lavoro, la robotizzazione, la deregolamentazione e la disintermediazione. Siamo spesso davanti a forme occupazionali e modelli organizzativi inediti, una smaterializzazione della figura della controparte e un maggiore ruolo delle tecnologie avanzate e dei dati nella gestione e nel controllo delle prestazioni. Per questi motivi è urgente ripensare e rinnovare l’azione sindacale in tutto il mondo. I confini tra le dimensioni tradizionali del lavoro tendono a sfumare ma il sindacato deve comunque battersi per difendere un lavoro dignitoso, sicuro, con un salario equo e proporzionato, diritti e garanzie negoziati e riconosciuti, accesso alla formazione e all’aggiornamento continuo come diritto contrattuale individuale della persona. Queste sfide devono spingere il sindacato a progettare nuove forme di organizzazione, collaborazioni e reti. Si tratta di quello che già alcuni sindacati stanno facendo in relazione ai lavoratori informali come venditori ambulanti, raccoglitori di rifiuti, crowdworkers, riders, lavoratori a chiamata, a progetto e con voucher. Questi lavoratori sperimentano autonomamente forme non classiche di rappresentanza collettiva e giustamente meritano di avere gli stessi diritti dei lavoratori tradizionali. Un esempio in tal senso viene dalla Danimarca dove i lavoratori, circa 450, della piattaforma Hilfr.dk che si occupa di pulizia sono coperti dal contratto collettivo grazie all’azione dei sindacati. In questo modo avranno diritto a contributi pensionistici, indennità di ferie e di malattia. I lavoratori sono passati dall’essere autonomi al diventare dipendenti e quindi tutelati dal diritto del lavoro nazionale ed europeo. Altre conseguenze di questo accordo riguardano la rimozione dei lavoratori dalla piattaforma. Hilfr è tenuta, se volesse rimuovere un lavoratore, a dare un preavviso con una ragionevole motivazione. L’accordo prevede che qualsiasi lavoratore della piattaforma inizierà a lavorare come libero professionista ma dopo 100 ore di lavoro l’algoritmo è tenuto a trasformare automaticamente il freelance in un lavoratore dipendente. Se dopo 100 ore il lavoratore intende rimanere un lavoratore autonomo, dovrà presentare una specifica richiesta. Un ultimo spunto offerto da Ceremigna riguarda la firma degli accordi aziendali transnazionali con cui i sindacati europei e internazionali contrattano con le multinazionali per garantire diritti sociali e standard del lavoro lungo tutta la global supply chains.
- Come si sviluppa la contrattazione
Nel suo intervento Dove sta andando la contrattazione Cinzia Maiolini sostiene che bisogna ridurre i CCNL in essere. Le nuove tecnologie spingono verso il superamento dei confini che giustificano l’attuale architettura contrattuale sia dal punto di vista del processo che del prodotto. Per questo motivo bisogna puntare sui contratti di filiera con cui andare oltre la valutazione perimetrale dei CCNL che deve essere legata al prodotto/servizio. Un esempio in tal senso viene dalla trasformazione dei tre CCNL cartaio/cartotecnico, grafico editoriale e poligrafico in un unico contratto della filiera della carta. Un altro aspetto che emerge a seguito dell’innovazione è la necessità di mettere in campo una contrattazione di anticipo rispetto ai cambiamenti tecnologici imposti dalle imprese che hanno ricadute sulle trasformazioni dei processi e dei prodotti. La risposta di Maiolini è un rafforzamento della parte prima dei CCNL che riguarda i diritti di informazione, di consultazione e, allo stesso tempo, la rivisitazione dell’impianto della bilateralità. Durante i rinnovi dei CCNL devono essere previsti degli organismi paritetici stabili e permanenti, aventi un’efficacia sia a livello aziendale che nazionale, per dare sostanza al diritto di informazione preventiva e consuntiva e anche a percorsi di consultazione e contrattazione condivisi. La contrattazione di primo e secondo livello per essere efficace deve prevedere all’interno dei CCNL una declaratoria di materie oggetto di informazione obbligatoria e di consultazione. Per esempio progetti di investimento, disinvestimento, riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, piani di investimento specifici di innovazione tecnologica, piani di investimento e di formazione specifici in salute e sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente, piani di formazione professionale, nuovi regimi di organizzazione dell’orario e del tempo di lavoro e delle modalità di prestazione e infine custodia, utilizzo e valorizzazione dei dati raccolti in occasione della prestazione lavorativa. Questi obiettivi non possono essere circoscritti alla sola dimensione aziendale perché spesso i sindacati devono confrontarsi con multinazionali.
Un altro aspetto da sottolineare è la relazione tra la costituzione di organismi paritetici grazie ai CCNL e l’esercizio del diritto di partecipazione e la codeterminazione da parte dei lavoratori. Questo patrimonio di informazioni permette di rafforzare l’esercizio del ruolo della bilateralità. Con questo termine intendiamo la possibilità di accompagnare il lavoratore nella fase di accesso al lavoro, durante il percorso di prestazione lavorativa e anche in una fase successiva grazie alla previdenza complementare. Questo elemento, affiancato alla consapevolezza dell’apprendimento permanente alimentato dai processi di innovazione tecnologica in corso, dovrebbero spingere a lottare per una previsione contrattuale di obbligo formativo periodico per tutti i dipendenti di natura contrattuale. Il diritto alla formazione diventa un diritto soggettivo per il cui esercizio devono essere contrattualmente previste delle ore obbligatorie annue di formazione, implementabili con la contrattazione di secondo livello. A questo punto Maiolini mette sul tavolo una questione chiave del rapporto tra contrattazione e innovazione tecnologica, ovvero la gestione della raccolta dati provenienti dal lavoratore e dalle sue attività. Questi dati, ormai lo sappiamo benissimo, sono utilizzati per efficientare la produzione ma comportano anche una profilazione completa del lavoratore. Quindi la raccolta e la detenzione di dati che riguardano il lavoratore e la sua prestazione richiede la creazione di una nuova bilateralità a livello nazionale e di singola azienda per una loro gestione corretta. Essere a conoscenza di questi meccanismi serve per portare avanti una contrattazione informata attraverso questi nuovi organismi bilaterali che devono essere oggetto di preventiva informazione obbligatoria sulla natura e sulla eventuale implementazione dei sistemi operativi di produzione che consentono: raccolta del dato, controllo della tipologia del dato raccolto, controllo della modalità di raccolta, controllo della modalità di anonimizzazione del dato, controllo della modalità di utilizzo del dato, controllo della modalità di archiviazione e controllo della modalità e dei tempi di cancellazione del dato. I dati hanno un fondamentale valore economico in questa fase del capitalismo. Le informazioni che vengono obbligatoriamente fornite agli organismi bilaterali sono essenziali per l’esercizio della contrattazione di merito a livello nazionale e aziendale. Gli effetti che derivano dalla possibilità di processare i dati hanno un valore economico anche per quanto riguarda la loro possibile cessione a terzi. Conoscere tutto ciò e come i dati vengono utilizzati per efficientare il processo e il prodotto permette ai sindacati di contrattare la redistribuzione del vantaggio acquisito dall’impresa per mezzo dei dati. Maiolini conclude il saggio con alcuni esempi di contrattazione dell’innovazione. Il primo esempio è il Nuovo Pignone, un’azienda che ha un’organizzazione del lavoro di tipo lean che produce compressori, in un processo che può anche durare un anno, su ordinazione. Sono stati firmati degli accordi sull’uso delle telecamere in azienda che devono essere accese solo quando non si lavora e i filmati sono visionabili unicamente da personale autorizzato dai carabinieri e dalla procura in caso di furto. Il software applicativo in dotazione ai computer aziendali, Webex, grazie al contratto integrativo aziendale può essere utilizzato unicamente come mezzo di comunicazione interna ed esterna. L’azienda, inoltre, ha provato ad introdurre GPS wearable sui carrellisti per ottimizzare le loro manovre e aumentare la loro sicurezza con un sistema “uomo a terra”. Le RSU hanno chiesto che questi strumenti non fossero utilizzati per il controllo del lavoratore. Un’altra azienda analizzata è Saras, impresa del settore petrolchimico, che sta implementando un digital safety advice, uno strumento indossabile con GPS che monitora il lavoratore per impedire che esca dall’area consentita, che si tolga il casco o se ci sono anomalie per quanto riguarda la sicurezza. In questo caso si attiva un allarme automatico in sala di controllo per consentire un tempestivo intervento. Questa innovazione ha generato preoccupazioni per i rischi di un maggiore controllo sui lavoratori che sono state affrontate sia sul piano tecnico che delle relazioni industriali. Per quanto riguarda il primo aspetto, non viene tracciato il lavoratore perché esiste una barriera nello spazio fisico e la geolocalizzazione viene attivata unicamente quando l’operaio la oltrepassa e il dato non può essere storicizzato. Per quanto riguarda, invece, gli aspetti legati alle relazioni industriali va sottolineato come la loro qualità svolga una funziona di contrappeso ad un possibile utilizzo della tecnologia come strumento di controllo. Un ultimo esempio viene da Auta Marocchi, un’azienda che si occupa di trasporto merci e traffico di container. L’impresa ha introdotto un sistema di localizzazione prima attraverso i cellulari e poi per mezzo di satelliti con cui monitorare autisti e mezzi. Si tratta del punto di partenza da cui è poi sorto l’impiego di una scatola nera che consente la parametrizzazione del mezzo con la rilevazione di oltre 1500 parametri, di un cronotachigrafo digitale capace di registrare le ore di guida, obbligatorio su tutti i mezzi pesanti in circolazione, e infine la stampante termica per stampare direttamente i documenti di viaggio senza doverli ritirare nelle filiali. Grazie a questi sistemi tutto viene tracciato per garantire la sicurezza dei mezzi e dei lavoratori e consente autodiagnosi da remoto e interventi immediati in caso di problemi ma ovviamente c’è il rischio di un controllo da remoto del lavoratore. Per questo motivo è stato sottoscritto un accordo sugli impianti satellitari e di videosorveglianza in cui viene chiarito come i controlli abbiano uno scopo unicamente difensivo, ovvero queste tecnologie servono unicamente per prevenire fenomeni criminali e non per controllare a distanza i lavoratori e di conseguenze questi strumenti non possono essere utilizzati a fini disciplinari. Con il saggio di Massimo Mensi Contrattare le condizioni di lavoro nella gig economy si entra nell’analisi del ruolo del sindacato all’interno delle imprese alla base del capitalismo delle piattaforme. Sappiamo che spesso chi lavora per le società che si occupano di consegna del cibo o trasporto urbano inquadrano i loro lavoratori come autonomi che lavorano a chiamata comunicando la loro disponibilità a svolgere la propria attività secondo uno schema che ricorda il lavoro a cottimo. Le loro mansioni, inoltre, come abbiamo già visto altrove sono fortemente condizionate dagli algoritmi di proprietà di queste imprese che il sindacato deve provare a contrattare. Riemerge, in questo contesto, il tema della necessità di contrattare l’algoritmo che Mensi traduce in contrattazione dell’organizzazione del lavoro. La criticità contro cui il sindacato si scontra maggiormente è il fatto che questi algoritmi sono scatole nere a cui non viene dato l’accesso per intero con lo scopo di verificare il suo funzionamento lasciando la possibilità unicamente di valutare i contenuti prodotti. L’obiettivo del sindacato è passare dalla scatola nera alla scatola di vetro trasparente per poter avere accesso e libero controllo dei dati e dei meccanismi di calcolo. Un ultimo contributo da analizzare è La contrattazione da farsi in azienda e sul territorio di Alessio Gramolati. L’intervento si sviluppa a partire da un focus sulla contrattazione d’anticipo e la progettazione partecipata che hanno lo scopo di permettere al sindacato di contribuire all’affermazione di un futuro sostenibile nelle aree dove può intervenire, come aziende e territorio. Questo modo di lavorare ha bisogno di una costante elaborazione degli obiettivi e degli indicatori per poter contrattare e monitorare il cambiamento. Il sindacato deve assumersi la responsabilità nel momento in cui li propone e prova a misurarli. Ovviamente Gramoli è consapevole che le soluzioni tecnologiche coinvolte in questa modalità di azione del sindacato non sono interamente prevedibili e non possono essere tutte contrattate in anticipo. Possono però essere previste due cose: il metodo di progettazione integrata e partecipata e i paradigmi innovativi verso cui sono orientate le soluzioni. Tutto ciò richiede un profondo processo di cambiamento strategico, organizzativo e culturale del sindacato. L’innovazione digitale, inoltre, produce un lavoro sempre più differenziato, amplificando o limitando gli apporti del singolo e rendendo vaghi i confini tra autonomia e dipendenza della prestazione. Gramolati sostiene che per il sindacato si apre una stagione in cui occorre nei bisogni e diritti collettivi, acquisiti e da aggiornare, trovare spazi di affermazione individuale delle esigenze e delle condizioni di lavoro. I diritti collettivi devono trovare forme di fruizione conciliabili con i diversi bisogni individuali delle persone. In questo quadro generale la contrattazione deve essere orientata al riconoscimento delle diverse competenze esistenti in tutta la catena di valorizzazione del prodotto o del servizio e garantire a tutti i lavoratori un reddito dignitoso, indipendentemente dal tipo di funzione svolta. Una parte della produttività dell’impresa deve essere utilizzata per compensare e contrastare la polarizzazione tra lavoratori qualificati e non qualificati. Un altro aspetto su cui la contrattazione può agire è la trasformazione del sistema con cui viene calcolata la retribuzione. Sempre più spesso il lavoro non viene valutato tramite orari e tempi di svolgimento ma con incarichi e risultato delle attività del singolo, dell’impresa o del team. La contrattazione dovrà individuare l’apporto del lavoro del singolo e la ricomposizione dei singoli contributi nel risultato finale. Gramolati sostiene che l’organizzazione del lavoro, il percorso con cui vengono combinati i diversi saperi e i diversi lavori per garantire il risultato non può essere delegato agli automatismi della tecnologia. Questa combinazione di competenze genera il valore aggiunto dell’attività aziendale. L’algoritmo non può nascondere e valutare l’interazione fra i lavori diversi che producono il valore. Da qui deriva, ancora una volta, la necessità di contrattare l’algoritmo perché non possiamo lasciargli il controllo del lavoro lungo la catena del valore senza regolamentare, attraverso la contrattazione, le modalità del suo funzionamento e le conseguenze sulla privacy e sul lavoro. Gli algoritmi non sono tecnologicamente immodificabili e corrispondono a scelte fatte e non a realtà scientifiche oggettive. Gli algoritmi sono formule matematiche che vengono create dall’uomo a partire da criteri funzionali alle richieste di controllo dell’impresa. Si tratta di un controllo di macchine e persone capace di alterare le condizioni di lavoro e i diritti a partire da una pretesa di neutralità scientifica. Questa neutralità non esiste e, oltretutto, la diffusione dell’intelligenza artificiale sta portando gli algoritmi a modificarsi autonomamente a partire dagli obiettivi programmati. Per questo motivo è importante conoscere e contrattare i principi di base del software impiegato. L’algoritmo deve essere verificato e modificato partendo dall’equilibrio tra necessità dell’impresa e diritti del lavoro. Bisogna replicare nella situazione attuale quello che abbiamo fatto come movimento operaio durante l’epoca del fordismo e del taylorismo con l’attacco all’oggettività del sistema Tempi e Metodi. L’uso dell’algoritmo nei posti di lavoro porta a nuovi diritti di informazione e nuove capacità contrattuali. Accanto a lavori basati su funzioni puramente esecutive dove il lavoro è misurabile nei termini classici di orario, ci sono lavori non misurabili in quantità orarie giornaliere o settimanali ma in intensità e periodi di applicazione. In queste situazioni è giusto sperimentare forme di maggiore controllo contro gli abusi come il diritto alla disconnessione e al tempo libero oppure maggiore flessibilità sull’autogestione del tempo di lavoro nel momento in cui viene realizzato il proprio compito. Un ultimo aspetto da indagare riguarda le competenze dei lavoratori. Deve essere garantito a tutti i lavoratori il diritto all’apprendimento permanente superando ogni impedimento economico o di tempo che limitano questo diritto. Questo diritto deve essere fatto valere soprattutto per i lavoratori meno qualificati e può essere usato come leva per contrastare la tendenza alla polarizzazione delle competenze all’interno dell’impresa. Tutto ciò deve essere abbinato alla revisione dei sistemi di classificazione e di inquadramento fermi agli anni ‘70 e superati, dice Gramolati, dall’evoluzione professionale e dall’organizzazione del lavoro nel frattempo affermatesi. Bisogna, quindi, sperimentare il riconoscimento anche formale di tutte le nuove figure professionali nate in questo lasso di tempo a partire da parametri come intensità del lavoro, competenza organizzativa e realizzativa oppure capacità relazionale e responsabilità. Deve essere costruito un nuovo modello di inquadramento delle professionalità unico con l’introduzione di percorsi di carriera interni e occorre evitare la polarizzazione del lavoro e delle competenze.