Michael Löwy, nato a San Paolo nel 1938 da immigrati ebrei provenienti dall’Austria e formatosi tra Brasile e Francia, dove fu assistente di Nicos Poulantzas, è un riferimento internazionale per chiunque si dichiari interessato all’ecosocialismo che il pensatore brasiliano non fatica ad individuare come la più grande sfida nel XXI secolo per ripensare il pensiero marxista. Attento studioso di autori come Walter Benjamin, è uno dei principali pensatori usciti fuori dalla storia recente della Quarta Internazionale assieme al suo amico Daniel Bensaïd. Dopo la pubblicazione della nostra approfondita analisi del libro Ecosocialismo. L’alternativa radicale alla catastrofe capitalista, abbiamo posto alcune domande all’autore che ci ha gentilmente concesso il suo tempo.
- Leggendo i suoi lavori sul pensiero ecosocialista, abbiamo pensato di inserire le sue riflessioni all’interno del gruppo di pensatori marxisti che non ritengono di poter trovare in Marx ogni risposta per affrontare la crisi ecologica. Lei è d’accordo con questa conclusione?
- Credo che in Marx ed Engels ci siano alcune intuizioni molto importanti sulla logica distruttiva del “progresso” capitalista in relazione alla natura. Nel Capitale ci sono diversi riferimenti alla “frattura metabolica” tra le società umane sotto il capitalismo e l’ambiente naturale. John Bellamy Foster e Kohei Saïto hanno dato un contributo decisivo per la scoperta e l’interpretazione di queste intuizioni. Ma questa non era una questione centrale per Marx ed Engels. Non hanno mai scritto un libro e nemmeno un articolo sulla questione ecologica, per l’ovvia ragione che questa crisi era solo all’inizio nel XIX secolo. Oggi viviamo nell’Antropocene e dobbiamo confrontarci con il drammatico processo di cambiamento climatico e con la minaccia di una catastrofe ecologica senza precedenti nella storia umana. L’ecologia deve ora essere al centro del marxismo del XXI secolo e il socialismo stesso deve essere ridefinito come ecosocialismo. Il marxismo è un pensiero in movimento, che non si è fermato agli scritti completi di Marx ed Engels, ma ha dovuto confrontarsi con nuovi fenomeni, come l’imperialismo, il fascismo, lo stalinismo e ora la crisi ecologica. Marx ci fornisce il metodo per affrontare questi problemi, ma non “tutte le risposte”. Lo stesso Marx cambiò il suo modo di pensare, quando si trovò di fronte a nuovi fenomeni o nuovi eventi storici, come la Comune di Parigi del 1871.
- A partire da lavori filologici molto importanti su Marx, Kohei Saito è arrivato a scovare nell’ultimo Marx l’idea del comunismo della decrescita. Cosa ne pensa? Non c’è il rischio di utilizzare alcune opere minori di Marx per criticare e superare la sua opera principale, ovvero il Capitale?
2. L’ultimo libro1 di Kohei Saito contiene proposte molto importanti sul marxismo e sull’ecologia. Mostra come si sono evolute nel corso degli anni le idee di Marx sull’ambiente: dopo un periodo di fiducia “prometeica” nello sviluppo delle forze produttive, assumerà una visione sempre più critica del sistema produttivo capitalistico. I tre volumi del Capitale rappresentano una tappa importante in questo movimento di riflessioni di Marx, ma continuerà fino alla sua morte. Non sono convinto della distinzione tra scritti “maggiori e minori” di Marx. I brevi commenti di Marx al programma di Gotha del partito socialdemocratico tedesco sono forse un’opera “minore”? Certo non può essere paragonato ai tre volumi del Capitale, ma ha comunque un’importanza politica decisiva.
Non ho obiezioni da fare sull’uso da parte di Saïto degli scritti dell’ultimo Marx – dopo Il Capitale – e penso che abbia ragione nel sottolineare l’importanza della sua lettera a Vera Zasulič nel 1881 – un documento che “supera” la sua precedente definizione (1859) di materialismo storico. Mi piace molto il concetto di comunismo della decrescita di Saïto, ma non credo che lo si possa trovare negli ultimi scritti di Marx: non c’è nulla negli scritti da lui menzionati che permetta una simile conclusione.
- Molte delle sue critiche al marxismo si concentrano sugli attacchi al produttivismo sovietico. Recentemente un membro del nostro collettivo ha curato l’introduzione alla ristampa dei primi due tomi di Le lotte di classe in URSS di Charles Bettelheim. Nel secondo volume l’ascesa dello stalinismo è ricondotta ad una trasformazione ideologica dei bolscevichi che porta alla nascita del culto dello sviluppo delle forze produttive come mezzo per arrivare, togliendo di mezzo la lotta di classe, al socialismo. Questo ragionamento era favorevole agli interessi di una nuova classe di capitalisti che stava prendendo il potere dentro il partito. Ritiene possibile ricollegare le sue critiche al produttivismo sovietico a questi precisi interessi di classe che stavano emergendo nell’URSS?
3. Sono d’accordo con la critica di Charles Bettelheim al culto bolscevico dello sviluppo delle forze produttive. Tuttavia durante i primi anni “leninisti” dell’URSS questo coesisteva con alcune importanti iniziative ecologiche, come è stato documentato negli scritti di John Bellamy Foster. E durante questi anni, la direzione bolscevica, Lenin, Trotsky e i loro compagni non “eliminarono la lotta di classe”. Con l’ascesa di Stalin alla fine degli anni ’20 uno strato burocratico – che può essere descritto come una classe, una casta o uno “stato” [Nel senso del Terzo Stato della Rivoluziona francese, N.d.T] – salì al potere, soppresse tutte le iniziative ecologiche e sviluppò un brutale, spietato e cieco processo di industrializzazione e collettivizzazione forzata, con conseguenze tragiche per l’ambiente sovietico. Ma non penso che il culto delle forze produttive sia la causa della degenerazione burocratica dell’Unione Sovietica. Non sono così sicuro come Bettelheim che l’URSS sia diventata una forma di “capitalismo di stato”. In ogni caso non considero le élite burocratiche come “capitaliste”: Jagoda o Berija erano criminali burocratici, ma non “capitalisti”.
- Lei ha sostenuto che ogni lotta vinta, anche a livello locale, contro la distruzione dell’ambiente da parte del capitalismo è una piccola vittoria. Per questo motivo, per ragioni tattiche, afferma di sostenere soluzioni come il Green New Deal. Può spiegarci brevemente cosa intende per Green New Deal?
4. Esistono molte versioni di “Green New Deal”. Alcune sono solo forme di “capitalismo verde”, che promuovono la cosiddetta “transizione ecologica”, senza affrontare veramente le radici del problema. Vogliono sviluppare fonti di energia sostenibili – vento, sole o acqua – come complemento, e non come sostituto, del carbone, del petrolio e del gas. Le proposte del Green New Deal che trovo interessanti sono quelle che propongono un’immediata eliminazione dei combustibili fossili. Penso che gli ecosocialisti dovrebbero sostenerle.
- Queste piccole vittorie in regioni del mondo come l’America Latina possono prendere la forma delle lotte contro l’estrattivismo. Qui sorge un grande problema. Come può un governo di sinistra garantire l’uscita dalla povertà delle fasce di popolazione che lo sostengono e allo stesso tempo non distruggere l’ambiente per ricavare le risorse necessarie a questo scopo?
5. Di cosa hanno bisogno le popolazioni dell’America Latina per uscire dalla povertà? Innanzitutto il cibo sano: sovranità alimentare, grazie allo sviluppo di un’agricoltura biologica, basata su contadini e cooperative, invece dell’agrobusiness capitalista che produce soia per il mercato mondiale. Devono anche sviluppare i servizi pubblici: sanità, istruzione, alloggi, trasporti pubblici, fognature, invece di produrre sempre più grandi automobili, jet e yacht privati e altri beni di lusso per l’élite al potere. Questi obiettivi possono essere raggiunti grazie alle fonti energetiche rinnovabili, al posto del petrolio e del carbone, e riducendo l’estrattivismo ad alcuni minerali utili (ferro, rame, ecc.). L’agrobusiness e l’estrattivismo orientati all’esportazione non hanno ridotto, ma aggravato, la povertà in America Latina.
- Lei ha sostenuto che necessariamente l’ecosocialismo preveda un ripensamento dei nostri bisogni. I bisogni inautentici, alimentati dalla pubblicità, dovranno essere spazzati via. Questa questione solleva un problema molto delicato perché potrebbe portare ad una soluzione autoritaria con uno Stato che si mette a decidere sulla correttezza dei bisogni dell’uomo. Noi riteniamo che i bisogni non siano determinati dalla natura ma dalla nostra capacità di soddisfarli. Il capitalismo, con il suo sviluppo, crea sempre nuovi bisogni e Marx non diede una valutazione negativa di questo processo perché arricchiva la personalità dell’uomo, lo rendeva un uomo ricco nelle proprie capacità di godimento. La fine del capitalismo non pone termine a questo processo ma vede la sua ulteriore espansione guidata dalla libertà e del controllo sulla produzione che permette una nuova costruzione sociale della personalità dell’uomo. I bisogni, quindi, da massificati diventerebbero personali2. Cosa ne pensa di queste nostre osservazioni?
6. Sono pienamente d’accordo con voi che non debba essere “lo Stato” a definire quali siano i bisogni da soddisfare: insisto sempre, nei miei scritti, che è il popolo a decidere quali sono i suoi veri bisogni. Ma questo sarà possibile solo con la soppressione della pubblicità e del consumismo ossessivo promosso dal sistema capitalista. Molti dei falsi bisogni inventati dal capitalismo non “arricchiscono” gli esseri umani ma li alienano. Marx descrive in termini taglienti questa alienazione nelle pagine dei Manoscritti del 1844. In un processo di transizione verso l’ecosocialismo, le persone si libereranno progressivamente dei falsi bisogni creati dal sistema capitalista e scopriranno i propri veri bisogni. I bisogni umani fondamentali sono sia naturali che culturali: cibo, alloggio, vestiti, salute, amore/sesso. Altri sono più specificatamente sociali e culturali: educazione, sport, gioco, arte, musica, ecc. Naturalmente gli esseri umani scopriranno nuovi bisogni, personali o sociali, ma non tutti questi bisogni potranno essere soddisfatti dalle “merci”.
- Per quanto riguarda la pianificazione ecosocialista, lei la ritiene praticabile a partire da una maggiore democrazia possibile grazie alla riduzione dell’orario di lavoro. Come cambierebbe invece l’organizzazione del lavoro? Sarebbe identica a quella del capitalismo per garantire l’aumento della produttività necessaria per diminuire il tempo di lavoro? Infine, tra tutela del lavoro e dell’ambiente cosa dovrebbe avere la priorità?
7. Nella transizione verso l’ecosocialismo, l’organizzazione del lavoro cambierà radicalmente; i lavoratori stessi controlleranno il processo di produzione, gli orari, il reclutamento di nuova forza lavoro, ecc. Ciò non è in contraddizione con i miglioramenti tecnici volti ad aumentare la produttività. Ma la riduzione dell’orario di lavoro – condizione fondamentale per una pianificazione democratica – non è solo una questione tecnica: la “decrescita comunista”, la riduzione della produzione materiale, sarà decisiva altrettanto, se non di più, dell’aumento della produttività. Non c’è contraddizione tra “tutela del lavoro e tutela dell’ambiente”. E se emergono contraddizioni, saranno le persone interessate a risolverle, attraverso discussioni e decisioni democratiche.
- Si riferisce al libro Marx in the Anthropocene. Towards the Idea of Degrowth Communism ↩︎
- Siamo debitori, per questa riflessione, di Ernesto Screpanti, Comunismo libertario. Marx, Engels e l’economia politica della liberazione, Manifestolibri, Roma 2007 ↩︎