di Michele Mariani
La legge 91/1992, che disciplina i criteri per l’ottenimento della cittadinanza, quando fu sottoscritta nacque già superata, poiché presentava e presenta un’idea di appartenenza alla comunità basata su un principio nazionalistico e sul criterio di discendenza (ius sanguinis).
In sostanza è una legge priva di visione e incapace di leggere i segnali di cambiamento sociale, demografico, economico, culturale e politico.
La legge in questione risulta essere una barriera giuridica che limita il godimento di diritti civili, sociali e politici. La questione della cittadinanza dovrebbe essere affrontata mettendo al centro le parole e le esperienze di chi, sulla propria pelle, sente ricadere l’esclusione dalle pari possibilità e opportunità che l’articolo 3 della Costituzione mette al centro per la piena realizzazione della vita.
Il mezzo milione di firme raccolte necessarie per indire il referendum sulla cittadinanza – che, in un primo momento, dovranno essere verificate dalla Corte di cassazione, per poi passare, in un secondo momento, sotto il giudizio di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale, – rappresentano solo il primo passo di un processo più lungo che possa permettere di arrivare a una riforma integrale della disciplina sulla cittadinanza. Il risultato del referendum, che con ogni probabilità si terrà tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025, dovrà avere la funzione di apripista e punto di partenza prioritario che sappia innescare un cambiamento sociale e culturale.
La costruzione di una nuova idea di cittadinanza è un fattore di importanza primaria in un paese in cui la “multietnicità” non è più una mera eccezione. Lo vediamo a scuola, nei luoghi di lavoro e nelle strade delle nostre città : una riforma integrale della cittadinanza, che estenda l’ottenimento tramite ius soli, dovrebbe essere pertanto concepita come un valore aggiunto e non come pericolo o come pretesto per costruire tesi complottiste e razziste.
Il ruolo della scuola per la creazione di una nuova idea di cittadinanza
In Italia ci sono oltre due milioni e mezzo di persone che aspettano che questa legge venga ridiscussa e cambiata. Per quanto riguarda il censimento scolastico nelle scuole italiane sono presenti 914 mila alunni e alunne con cittadinanza non italiana, pari all’11,2% degli iscritti nelle scuole del paese. Il 65% di questi è nata in Italia (2 studenti su 3) ma non possono accedere alla cittadinanza fino a 18 anni. Semplicemente questo dato dovrebbe farci comprendere quanto serva una riforma che metta al centro il criterio dello ius soli come condizione principale e necessaria.
È proprio la scuola il luogo da cui bisogna partire per diffondere un’idea di cittadinanza nuova e inclusiva che non lasci indietro le diverse soggettività e le numerose casistiche che riguardano l’accesso alla cittadinanza, ma che oggi risultano ancora ostacolate. Da questo punto di vista Antonio Gramsci (La scuola è vita, A. Gramsci, Garzanti, 2022) affermava e rivendicava l’importanza dell’istruzione come formazione a tutto tondo per le persone. In questa prospettiva, il processo educativo significa ricerca, conoscenza, scoperta di sé come necessari per la scoperta e un corretto rapporto con l’altro, attraverso un percorso che punta al sapere e allo spirito critico, alle capacità creative, alla conoscenza morale.
Gramsci riconosceva nella scuola il fulcro per la costruzione di una società responsabile e consapevole e sempre più democratica, capace di aiutare a superare individualismo ed egoismo.
“La scuola è vita” affermava, perché la partecipazione realmente attiva delle studentesse e degli studenti può esistere solo se la scuola è legata alla vita e alla condivisione delle loro esperienze. La scuola è vita perché deve avere la forza di includere, non meramente integrare, non escludere e porre dei confini.
Educare alle differenze e allo spirito critico è compito più che mai necessario e urgente, significa costruire una relazione didattica che pone al centro del suo agire l’inclusione e l’uguaglianza e che sia capace di costruire una cittadinanza attiva, formale e sostanziale allo stesso tempo. Dove la marcia in più è costituita dalla condivisione di idee e che sappia partire dalla voce e dall’esperienza di chi fa parte della relazione didattica.
Insegnando nelle scuole superiori ho compreso che i nostri corpi, la nostra voce ed esperienze sono elementi centrali della relazione scolastica. Per questo è fondamentale discutere in classe di questioni di rilevanza sociale.
La cittadinanza è parte integrante del concetto di uguaglianza poiché comprende l’elemento civile, politico e sociale.
Il primo è alla base della libertà individuale, il secondo è alla base del diritto di partecipare all’esercizio del potere politico, e, il terzo per rendere effettivo l’accesso ai servizi pubblici e una garanzia per un livello accettabile di assistenza e previdenza sociale. Abbiamo bisogno di una cittadinanza che metta al centro la persona, a prescindere da origini e provenienza. Ciò significa comprendere che i diritti fondamentali superano i confini della geografia politica.
La convinzione che la scuola possa fare tanto su questa tematica, come in molte altre ancora, deriva dal fatto che essa deve essere concepita come un luogo di accesso paritario a prescindere da qualsiasi tipo di diseguaglianza socio-economica presente. Agli insegnanti spetta un ruolo sociale di gran rilievo, nonostante i sempre più frequenti attacchi alla loro professione e alla scuola in generale. Questa responsabilità si traduce nel fare delle classi il primo luogo della cittadinanza in cui sia riconosciuto il pari accesso e le pari opportunità a tutti e tutte.
Se la democrazia è bloccata
Il referendum sulla cittadinanza deve essere concepito come l’inizio di un processo che possa portare a una riforma della cittadinanza più inclusiva e ampia rispetto al solo requisito del tempo dimezzato (da 5 a 10 anni) per ottenerla. Bisogna concepire la cittadinanza come un diritto e non una semplice concessione, per chi si è distinto per meriti o fama.
Dunque, l’importanza della riforma della cittadinanza e della scuola in generale come veicolo di partecipazione democratica sono elementi che vanno considerati l’uno la conseguenza dell’altro. Rappresentano due questioni che hanno la capacità di restituirci dei dati reali sulla vita sociale e fotografano inoltre quanto le decisioni politiche dei governi, attuale e di quelli precedenti, non riescono a stare al passo con i tempi e con i cambiamenti demografici, sociali, economici, politici e culturali.
La raccolta firme per indire il referendum sulla cittadinanza ci ha dimostrato che i desideri e le visioni di questa società non sono le stesse del governo attuale e di quelli che lo hanno preceduto.
La distanza dal sentore sociale e dal paese reale rispetto ai proclami propagandistici della politica istituzionale, che afferma che la cittadinanza si deve meritare, è visibile anche nel ruolo che può svolgere lo strumento referendario come metodo di partecipazione e come cassa di risonanza per questioni che sistematicamente vengono lasciate ai margini dalla politica.
Strumento referendario che, come nel passato, ha permesso all’Italia di ampliare gli spazi di partecipazione e di democrazia. Oggi come allora può avere lo stesso peso nelle questioni di interesse sociale e collettivo e in quelle situazioni in cui il Parlamento viene ostacolato nel suo lavoro e reso incapace di agire a causa di esecutivi forti che vogliono imporre la loro linea senza mediazioni né confronti.