La luce filtrava rosso sangue a dipingere le cassettiere, le scrivanie scure, i candidi pannelli neoclassici dorati di motivi floreali. Lev si svegliò di soprassalto, mentre le prime nevi su Pietrogrado si arrossavano a quell’alba infuocata. Aveva dormito un’ora sdraiato su una stuoia sul pavimento e subito il suo sguardo andò alla ricerca di quell’energico uomo che invece sonnecchiava esausto riverso sulla poltrona. S’alzò, rassettò i vestiti, andò a lavarsi, e finalmente varcò la soglia della grande sala del vecchio Istituto Smolnij. Da uno stendardo rosso irradiato da grandi vetrate troneggiavano le lettere cubitali »ВСЯ ВЛАСТЪ СОВѢТАМЪ!« [Tutto il potere ai soviet!], e una giovane ragazza vestita in pratici abiti contadini aspettava rileggendo le poche righe di un telegramma, il primo a linee telegrafiche ripristinate dal Soviet degli operai, dei contadini, dei soldati. Si levò nella stanza vuota prima ancora che Trockij la potesse discernere fra le file irregolari di sedie.
«Compagno, compagno – avvicinandosi silenziosamente – abbiamo in consegna tutti i ministri!»
«Grandioso, davvero grandioso, – sorrise raggiante l’uomo – finalmente la farsa borghese del Governo Provvisorio si è conclusa. Compagna, sono quindi stati arrestati quei corrotti socialtraditori e liberaldemocratici?»
«Sì, Kerenskij però è fuggito verso Pskov, ma tutto il gabinetto di governo ora è alla fortezza di Pietro e Paolo. Stamattina dovrebbero arrivare anche marinai da Kronštadt, e sono insorti a Minsk, Novgorod, Ivanovo, entro domani, dicono da Mosca – scosse il telegramma come se sventolandolo avrebbe potuto parlare al posto suo – dovrebbero insorgere e controllare la città anche lì» «Molto bene, davvero, compagna. Vuole una tazza di samovar?»
«Mi perdoni, ma devo tornare subito al Comitato Militare Rivoluzionario. Saluti» disse uscendo subito dalla vastità vuota della sala da teatro. “Vorrei vedere la faccia di Martov ora, il fumo delle sue tattiche attendiste si è rivelato per quel che era: servizio al potere di Putilov, e non al popolo” pensò invece Trockij, mentre già arrivavano i rappresentanti del II Congresso Panrusso dei Soviet, che sarebbe ricominciato di lì a meno di un’ora. Sembrava che ancora risuonassero le parole pesanti, come se riecheggiasse il ticchettio dello scalpello della Storia: era notte fonda, tra il 25 e il 26 ottobre. Kamenev aveva preso la parola, tra gli sguardi polemici dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari.
Esordì: «Il Governo provvisorio è stato deposto. Il potere statale è passato nelle mani del II Congresso Panrusso dei Soviet – a Pietrogrado, al Soviet degli Operai, dei Soldati e dei Contadini e al Comitato Militare Rivoluzionario, che organizza e guida il proletariato e la guarnigione di Pietrogrado.
La causa per cui il popolo ha combattuto, in una parola, l’immediata offerta di una pace democratica, l’abolizione della proprietà terriera, il controllo operaio sulla produzione e l’edificazione del potere sovietico – questa causa è ora garantita.
Viva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei contadini!».
— Compagno Emanuele
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