Se il riscatto, nel caso di Alex, consta nella responsabilità di conoscere il proprio spazio di senso, il quale rappresenta la libertà delle catene per agire in quella potenza d’azione espressione stessa dell’essere umano stesso, si può dire che essa sia fermata a priori dall’assetto sclerotizzato delle relazioni di potere nella sfera bio-politica? La costruzione della soggettività fortemente strutturata sull’inconscio sociale è foriera di giustificazione ed autoassoluzione della realtà (e della sua spietatezza) oppure, d’altra parte, è colpevolizzazione di ognuno di noi, possibili Alex Delarge inconsapevoli, senza voce per urlare, ma con la forza per ottundere ogni nostro sforzo volto al realizzare il nostro mal di vivere: j’accuse! Quando la libertà corrisponde alla stessa permissibilità sistemicamente convalidata, quando la massima espressione di scelta tra “il bene” ed “il male” ha la sua esplicazione più importante nel referendum e nei limiti del mantenimento dei rapporti tra corpi, allora l’individuo è veramente libero di scegliere? C’è qualcosa che stride tra il relativismo moderno che, a livello logico, permetterebbe all’uomo di nobilitarsi entro la sua libera individualità, e l’unico ente capace di creare verità universalmente riconosciute come il mercato, entro cui limiti non si può agire?
Siamo nella civiltà dell’Arancia Meccanica, a cui verrà dedicata una serie di articoli trasversali, scritti sulla pelle umana, immediati nella loro estetica, una fotografia globale di quella rottura data dal nostro mondo civile all’unanimità. Come primo scritto, non possiamo esularci dall’estetica della violenza che fa da trampolino a questa rubrica, il libro che ne da il nome.
Veniamo quotidianamente sottoposti a scene di violenza di ogni genere, percependo forse una cinica e irrazionale attrazione verso questa; da anni ha ormai preso piede nell’industria cinematografica il genere splatter, denominato anche gore, basato proprio sull’estremo realismo con il quale vengono riprodotte scene di torture e uccisioni, gli stessi film diretti e sceneggiati da Quentin Tarantino o Martin Scorsese possono risultare a tratti violenti. Questa continua esposizione porta all’assimilazione passiva e ad una conseguente banalizzazione della violenza, eppure, nonostante la nostra abitudine, vedere Arancia meccanica, capolavoro di Stanley Kubrick del 1971, risulta ancora profondamente destabilizzante.
La tragica e grottesca vicenda di Alex Delarge, eccentrico e sadico quindicenne londinese di famiglia operaia, non è una storia di semplice violenza, bensì di Ultraviolenza: la violenza perpetrata da Alex non è inflitta per vendetta, odio, rancore o invidia, ma giacché lo spregevole protagonista gode nel compierla stuprando, picchiando o derubando; Alex, che non è pienamente consapevole della sua ferocia, trova completa realizzazione di sé nell’infliggere male, affiancato dai suoi tre drughi (soma nel libro) Pete, Georgie e Dim, i quali lo seguono per spirito di emulazione. Kubrick trasporta lo spettatore in una drammatica metafora di crudeltà, in un mondo dalle atmosfere surreali nel quale le strade colmano di bande capeggiate da centinaia di individui perversi quanto Alex e nel quale ad essere costantemente accostata alla violenza, dando luogo ad un contrasto stridente e spaesante, è la purezza del bianco dei vestiti e della musica classica, che diviene sottofondo di pestaggi e stupri.
Nel corso della vicenda Alex non proverà mai rimorso per gli atti compiuti, nemmeno quando verrà condannato a quattordici anni di reclusione per essersi macchiato dell’omicidio, seppur involontario, di una donna; tuttavia il suo destino cambierà radicalmente nel momento in cui verrà proposto dal Ministro dell’Interno in persona per essere sottoposto ad una nuova cura sperimentale, la cura Ludovico, che garantisce la scarcerazione immediata e il non-rientro definitivo in prigione.
La terapia, ideata dal partito al Governo, consiste nella visione di pellicole che mostrano scene di estrema violenza accompagnate da musica classica. Alex, forzato alla visione di tali film, essendo legato ad una sedia con delle pinze che lo costringono a tenere gli occhi aperti, inizia a provare un forte senso di nausea. Successivamente, dopo quindici giorni di tortura psicologica, viene sottoposto all’esame finale dinnanzi agli occhi dei membri del Governo, grazie al quale realizza di non poter più compiere alcun tipo di violenza per via della sensazione di malessere.
Alex in tal modo, spogliato del suo libero arbitrio, cessa di essere un malfattore per non provare la spiacevole sensazione di malessere fisico, ma nella sua mente è ancora vivo lo spirito del carnefice. Cessa dunque non solo di essere un reo, ma anche di essere capace di scelta etica e morale.
La riflessione di Arancia meccanica ha come fulcro la questione che ci interroga sul significato dell’importanza della scelta (in questo contesto della bontà) come percorso individuale, giacché nessuna imposizione sarà mai in grado di rendere l’uomo realmente retto e probo.
Reinserito nella società e sfruttato per fini propagandistici dal partito al Governo, il cui programma elettorale rivolgeva particolare attenzione alla gestione della criminalità, incontra coloro che avevano in precedenza subito la sua violenza, tra cui un vecchio che lo massacra e i drughi Pete e Dim, i quali lo percuotono con un manganello obbligandolo a tenere la testa nell’acqua. Ma Alex non può reagire. Picchiato da mani dure come il ferro, con le labbra gonfie e il naso sanguinante trova rifugio presso la casa del noto scrittore sovversivo Frank Alexander, che riconosce il ragazzo dalle foto sui giornali; dimostrandosi inizialmente affabile e cordiale, lo scrittore riesce a conquistare la fiducia di Alex, che verrà subito tradita: Frank è infatti un uomo colto, membro del principale partito di opposizione, un vedovo disabile e provato dalla prematura morte della moglie, che era stata violentata da Alex stesso. Lo scrittore dapprima sfrutterà Alex con falsa benevolenza per usarlo come mezzo di propaganda ai fini di screditare il Governo, e in seguito, riconoscendolo come l’artefice della violenza subita, in preda ad una frenesia nervosa, lo esaspererà fino a condurlo ad un tentativo di suicidio.
È proprio sulla base di questa narrazione che si innesta la seconda riflessione fondamentale di Arancia meccanica: Burgess e Kubrick delineano una società marcia nelle fondamenta, esautorata di qualsivoglia etica, nella quale si è instaurato un governo dal carattere subdolamente repressivo; profilano una società e i comportamenti umani in seno alla concezione antropologicamente pessimistica dell’ homo hominis lupus (“l’uomo è per gli uomini un lupo”), un mondo distopico nel quale nessuno è completamente mosso da spirito di fratellanza o di solidarietà, ma dove ognuno intende il suo prossimo come mezzo sfruttabile e ingannabile per perseguire i propri scopi. Alex è la metafora umana della società delineata, un ragazzo vittima di una struttura sociale che gli ha permesso di crescere e maturare in balia dei suoi istinti e delle sue inquietudini, la cui unica occasione per realizzarsi interiormente diviene la violenza. Il protagonista non è altro che il mero strumento nelle mani infingarde di un potere politico che presuppone l’esistenza di una realtà in cui nemmeno un uomo colto come Frank è riuscito a nobilitarsi.
Ebbene, in un’allegoria di una società simile, che cosa può riscattare l’uomo?
Compagna Elisa, con l’introduzione di Elia Pupil