Da Latina arriva un segnale chiaro: serve il sindacato di strada

Sul Manifesto del 19/06/2024 viene riportata la storia di un bracciante a cui una macchina agricola ha staccato un braccio ed è stato abbandonato morente invece di essere soccorso. Non è il primo caso di questo tipo nelle campagne della zona dove spadroneggia il caporalato e lo sfruttamento del lavoro migrante, in particolare degli indiani sikh in agricoltura. È prassi diffusa l’utilizzo di droghe, antidolorifici e anabolizzanti per non far sentire la fatica durante il lavoro in campagna a questi lavoratori. Il caporalato è inoltre estremamente diffuso e con esso tutta una serie di vessazioni nei loro confronti. Il Manifesto riporta le storie di lavoratori minacciati da fucili e pistole, costretti ad abbassare il capo o fare il saluto romano davanti a busti di Mussolini. La Flai CGIL è molto presente in questi luoghi con il sindacato di strada. A Borgo Hermada, dove vivono 2000 indiani sikh, ad esempio ha aperto una casa del popolo e sono in aumento i loro scioperi. Questa tragedia ci permette per un momento di riflettere, con l’aiuto di Giulio Marcon e del suo libro Il sindacato nell’Italia che cambia, di cui abbiamo già parlato nel nostro sito, sulle esperienze del sindacato di strada lanciate dalla CGIL nel corso degli ultimi anni per contrastare simili fenomeni. Si tratta di una pratica organizzativa che prevede una presenza capillare sul territorio per rappresentare dei lavoratori dispersi come coloro, soprattutto migranti e precari, impiegati nell’agricoltura. Ad esempio la FLAI CGIL, che conta 251000 iscritti, in Puglia lotta contro il caporalato con le sue sedi di strada. Di solito utilizzano un furgone o un camper con due sindacalisti, un mediatore culturale e due operatori umanitari che girano la provincia denunciando lo sfruttamento e assistendo i lavoratori. Il segretario della FLAI CGIL Giovanni Mininni parla nel libro della necessità di incontrare direttamente dove sono impiegati i lavoratori e presidiare capillarmente il territorio, come già fece Di Vittorio con le Leghe Bracciantili in tutta la Puglia.

Dice Mininni: “Se il lavoro è polverizzato e si sposta, perché non si sta sempre sullo stesso campo agricolo, allora diventa importante che il sindacato vada dai singoli lavoratori uscendo dalle proprie sedi, per agire la tutela individuale e anche collettiva. Da qui nasce in FLAI l’esperienza del ‘sindacato di strada’”1.

In questo modo hanno scoperto che il caporalato esiste ancora ed è funzionale ad un modello di sviluppo che scarica il costo della competizione sul mercato sui lavoratori, comprimendone salari e diritti. Questo modo di fare sindacato è anche una formidabile possibilità di inchiesta che consente di raccogliere dati da ogni campagna d’Italia dove la FLAI opera in questo modo, confluendo poi nei rapporti biennali “Agromafie e caporalato”. Con il sindacato di strada è stata conquistata la legge 199 del 2016 contro il caporalato che riconosce il fenomeno come un nodo di un sistema dove l’imprenditore detta le condizioni al caporale in termini di orario e salario di piazza, definito al momento della raccolta dei lavoratori in piazza ed è più basso di quello del CCNL, mentre il costo del viaggio, acqua e panino lo determina il caporale che spesso è anche caposquadra sul posto di lavoro. Il fenomeno non riguarda solo gli immigrati ma anche i braccianti italiani, come ci ricorda il caso di Paola Clemente. Ormai la FLAI possiede un camper per ogni regione e gira per le campagne durante le fasi di lavoro per denunciare lo sfruttamento, indirizzare i lavoratori verso le sedi sindacali e scoprire le violazioni delle leggi.

In Basilicata e nell’Agro Pontino ci sono stati interventi per contrastare lo sfruttamento dei braccianti da parte del caporalato tramite squadre di sindacalisti e operatori sociali che girano per i campi e per i luoghi delle raccolte dando assistenza sociale, legale e sanitaria ai lavoratori. In questo modo si sono organizzati anche tra le vigne dell’astigiano.

Il sindacato di strada non riguarda solo la campagna ma anche la città, dove, tramite il NIDIL CGIL, vengono usate le strutture del sindacato come punto di accoglienza dei riders dove possono riposare e discutere con i loro colleghi. Sostiene Mininni che: “La chiave del “sindacato di strada” è quella della confederalità, in difficoltà da alcuni anni, ma che è un punto cruciale nella prospettiva di rilancio del sindacato, capace di far dialogare la dimensione verticale (delle categorie) e orizzontale (della confederazione) sul territorio nel lavoro sindacale. Bisogna rafforzarla, svilupparla ancora di più. Dobbiamo superare le logiche corporative e di auto isolamento nel sindacato, che ancora ci sono e sono forti. Dobbiamo fare in modo che la contrattazione sia coordinata tra le varie categorie, per evitare disparità nelle richieste e nei risultati ottenuti: la riduzione dell’orario di lavoro, la difesa e la crescita dei salari riguarda tutti e devono entrare nelle richieste di tutte le categorie nello stesso modo e non in modo differenziato. Ora, io penso che la prospettiva del “sindacato di strada” non risieda solo in cambiamenti organizzativi più o meno sofisticati (naturalmente le Camere del lavoro devono tornare ad avere un ruolo importante perché sarebbero un punto di forza e oggi non lo sono più dappertutto), ma maggiormente in un cambio, in una evoluzione della cultura politica e sindacale, della mentalità dei sindacalisti, del lavoro sindacale e di come mettersi nuovamente al servizio della grande causa del lavoro, per dirla come Di Vittorio. Rimettere al centro la confederalità e attenuare il normale corporativismo delle categorie sono due chiavi per un “sindacato di strada” sempre più necessario di fronte alla polverizzazione del lavoro e al suo impoverimento così come si incontra sempre di più nei territori, nelle città, nelle campagne”.

  1. Giulio Marcon, Il sindacato nell’Italia che cambia. E/O, Roma 2024, le citazioni legate al libro sono prese da un ebook e pertanto non sono disponibili le pagine. ↩︎

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