Grande Guerra: di che reggimento siete | fratelli?

— Elisa

Su un evento dirompente e drammatico come la Grande Guerra sarebbe possibile inondare le pagine di fiumi di inchiostro; se ne possono esaminare le origini, il corso e le conseguenze, è possibile indagarne gli effetti sulla geografia, sull’economia, sulla politica e sulla società. Eppure un lavoro simile sarebbe non solo superfluo e generico, ma anche ridondante. Per conoscere almeno a grandi linee la prima guerra mondiale è sufficiente consultare un qualsiasi manuale di storia. Pertanto l’attenzione dell’articolo si concentrerà su coloro che hanno vissuto e combattuto la Grande Guerra.

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

Cima Quattro, il 25 dicembre 1915; Veglia, Giuseppe Ungaretti

Quel che potrebbe sembrare apparentemente paradossale è che la guerra che provocò circa 37 milioni di vittime di cui 18 milioni di morti fu, in realtà, attesa con un senso di impazienza. Si scendeva in piazza proclamando la necessità di una guerra in grado di rigenerare la società, i discorsi degli oratori, scomodando anche i miti dell’antica Roma, erano caratterizzati da un tono magniloquente e da espressioni pompose. Scriveva Giovanni Papini che “la guerra fa il vuoto perché si respiri meglio”. A ben vedere si tratta di espressioni che riflettono perfettamente il pensiero comune dell’epoca, il quale credeva ciecamente nella forza inarrestabile del progresso che aveva condotto l’umanità ad una stagione di rinnovata prosperità.

Ma quel progresso tecnico che aveva permesso all’uomo di raggiungere i cieli, è anche il progresso ingegneristico che garantisce il miglioramento della tecnologia militare. Nuove armi e nuove modalità di combattimento caratterizzano il conflitto: vengono sperimentate le mitragliatrici e le armi a gas, la “guerra lampo” diviene in pochi mesi una guerra di logoramento. Nella trincea, simbolo del primo conflitto mondiale, i soldati trascorrevano gran parte del tempo, combattendo non solo contro il nemico, ma anche contro il freddo, le intemperie, i topi, il fango e, soprattutto, contro un esaurimento psicologico pressoché inevitabile. I soldati devono restare piegati e accovacciati per evitare di divenire facile bersaglio. Comparivano quotidianamente sotto lo sguardo i corpi aggrovigliati e affastellati dei caduti, disseminati sul terreno. La guerra proseguiva nell’attesa del segnale di allarme che ordinava ai soldati di assaltare la trincea nemica, che tuttavia ben pochi riuscivano a raggiugnere. La maggior parte cadeva, infatti, sotto il fuoco incrociato delle mitragliatrici.

Nel corso della Grande Guerra quel che cambia è proprio il senso del tempo, scandito dall’attesa estenuante della battaglia – e dunque della morte – è la rapidità dell’attacco. Il tempo della trincea è il tempo mortifero della perdita:
un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
scrive Ungaretti, per il quale il vuoto e il silenzio delle spaziature sono quasi più importanti delle parole. L’elemento fondamentale della poesia ungarettiana è, infatti, proprio la frammentazione del verso, una frammentazione che è in grado di esprimere perfettamente il timore e il senso della perdita dell’altro e di se stessi. La Grande Guerra è la guerra dei feriti e dei mutilati, è la guerra che ha conosciuto la resistenza dei soldati stessi che iniziarono a disertare, a rifiutarsi di combattere e, addirittura, a praticare autolesionismo per evitare la battaglia.

Della Prima guerra mondiale si tende talvolta a ricordare soprattutto la vittoria. L’Italia ha vinto il primo conflitto mondiale, uscendone rafforzata geograficamente. Addirittura si è proposto più volte di istituire il 4 novembre come festa nazionale, in quanto ricorrenza dotata di una trasversalità della quale mancherebbe il 25 aprile.

Eppure, forse, sarebbe più giusto soffermarsi non tanto sui vincitori e vinti, quanto piuttosto sul lato umano di un conflitto traumatico e devastante.

Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante

nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli, Mariano, il 15 luglio 1916

 

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