Franco Berardi, detto Bifo, nasce a Bologna il 2 novembre del 1949. Tra i protagonisti del movimento del ’77, in particolare della sua ala creativa e fuori dalla tradizione leninista sorta intorno alla rivista A/traverso, ha partecipato attivamente all’esperienza politica di Potere Operaio.
Tra i fondatori di Radio Alice, alle fine degli anni ’70, dopo la chiusura della radio, spicca nei suoi confronti un mandato per “istigazione di odio di classe per mezzo radio”. Ripara a Parigi, dove ha modo di frequentare Felix Guattari e Michel Foucault. Tornato in Italia, ha modo di collaborare con molte riviste tra cui DeriveApprodi, alfabeta2 ed anche il giornale di Rifondazione Comunista “Liberazione”. Tra i suoi libri più importanti ricordiamo: Contro il lavoro del 1970; Mutazione e cyberpunk. Immaginario e tecnologia negli scenari di fine millennio del 1994; Neuromagma. Lavoro cognitivo e infoproduzione del 1995; Il sapiente, il mercante, il guerriero. Dal rifiuto del lavoro all’emergere del cognitariato del 2004; Dopo il futuro. Dal futurismo al cyberpunk. L’esaurimento della modernità del 2013; e Futurabilità del 2019.
1) Hai partecipato da protagonista al movimento del ’77, durante questo periodo hai fondato la rivista A/traverso e Radio Alice. Volevo chiederti che legami hanno queste esperienze con il situazionismo e che ruolo hanno avuto nel contestare il partito leninista come forma di organizzazione della lotta del movimento comunista.
Ho letto Debord per la prima volta nel 1977, lo avevo sentito nominare, avevo qualche vaga informazione sul situazionismo anche prima, ma non era qualcosa di ben definito nella mia mente. Con ciò voglio dire che l’influenza del situazionismo non è stata diretta. Piuttosto direi che in alcuni ambienti culturali c’era in quegli anni una predisposizione ad abbandonare il campo della politica tradizionalmente intesa per scandagliare livelli di pratiche – la vita quotidiana, la sessualità, le forme dell’abitare, e del avere la città – che superavano in qualche modo il marxismo novecentesco.
La centralità della produzione culturale nel capitalismo tardo-industriale e post-industriale è un aspetto che avvicina autori come Debord e Vaneigem alle posizioni che in Italia si manifestano intorno alla rivista A/traverso dal ’75 in poi.
Certo, questo approccio comune si colloca al di fuori e oltre il leninismo, prima di tutto perché il rapporto tra partito di avanguardia e attività culturale, artistica, in Lenin (pensiamoa d esempio al Che fare? del 1902, in cui Lenin definisce il partito come intellettuale collettivo) è meccanico e strumentale, mentre negli anni ’70, per effetto del situazionismo e non solo, il lavoro culturale viene riconosciuto come un livello specifico della produzione sociale, e perché se ne rifiuta una visione strumentale.
2) Quanto sei stato influenzato dalla lettura operaista dei lavori di Marx e quanto di attuale c’è di quelle teorie?
Ho letto Operai e capitale nel 1967, ho fatto parte di Potere dal 1967 fino al 1971, quindi è evidente che l’operaismo mi ha influenzato profondamente. Ma poiché l’operaismo è tutt’altro che una scuola dogmatica e monolitica, quel che a me interessava accentuare era soprattutto la visione che Marx elabora nei Grundrisse a proposito del rapporto tra lavoro, macchine e liberazione dal lavoro. Altri preferivano accentuare aspetti differenti, più vicini al leninismo.
3) Ritieni le elaborazioni teoriche di Toni Negri sul Comune l’alternativa all’organizzazione leninista del partito?
Toni Negri è un pensatore complesso, e la sua visione è cambiata molto dagli anni ’60 e ’70 agli anni 2000. Negli anni ’70 Negri rivendica il modo esplicito e quasi rabbioso, la funzione centrale del leninismo nel processo rivoluzionario. L’intenzione di Negri è da comprendere nel contesto della polemica interna a Potere Operaio in quegli anni. Poiché il frontismo di Potere Operaio aveva caratteri largamente definibili come “spontaneisti”, anti-leninisti, o, come io preferisco dire “composizionisti”, l’intenzione di Negri fu quella di riportare Potere Operaio nell’alveo del comunismo leninista, e dibattere ogni posizione vagamente definibile come “spontaneista”. È la ragione per cui, dopo il Convegno di Firenze dell’8-9 gennaio 1970, io mi allontano progressivamente da Potere Operaio, proprio perché rifiutavo la bolscevizzazione. Fino a uscire dall’organizzazione nel luglio del 1971, quando al Congresso di Roma Potere Operaio affermò di avere compiuto una compiuta svolta leninista, abbandonando quella che per me era invece l’ispirazione originale e composizionista del gruppo.
4) Nel 1970 pubblichi Contro il Lavoro, a cinquant’anni di distanza ancora stiamo lottando con il collasso della società fondata sul lavoro salariato, contro quella cultura lavorista che il movimento del ’77 criticava mentre veniva difesa dal PCI e la CGIL. Non condivido però la prospettiva della piena automazione e del reddito universale. Non mi convince per il semplice fatto che sembra pretendere la ricchezza prodotta dal capitalismo senza pagarne il prezzo, ovvero il consumo di merci senza la produzione di merci. Occorre lavorare per una rottura ontologica con le categorie del capitalismo come denaro, lavoro salariato e merce altrimenti rischiamo di produrre una critica edonistica e superficiale del lavoro. Sembra il discorso che faceva Mao nelle sue Dieci grandi relazioni in cui invitava a modificare la concezione stessa di «lavoro», «produttività» e «risorse» per uscire dal modello della rivoluzione industriale, rompendo con l’idea sovietica dell’accumulazione socialista. Come ti confronti con queste critiche che per esempio sono mosse anche dalla scuola di Robert Kurz che ruota intorno alla rivista Krisis?
Non ho nessuna intenzione di convincerti di alcunché, né di polemizzare su questioni che oggi mi paiono definitivamente uscite dalla sfera dell’attualità storica. Il progetto della abolizione del lavoro nasce con le intuizioni marxiane del Frammento sulle macchine, ed emerge maturo nelle esperienza di rifiuto del lavoro, di sabotaggio e di autonomia esistenziale degli operai giovani che entrano nella catena di montaggio negli anni ’60.
Era un progetto, una possibilità, una indicazione che non si doveva né si deve intendere come un’utopia, come una ricetta per la trattoria dell’avvenire.
Potevamo vincere o potevamo perdere. Abbiamo perso, su questo non c’è dubbio, e nel nuovo secolo la subalternità culturale e psichica al lavoro è tanto più forte quanto più precario è il lavoro.
5) Un tema che tratti spesso è la tecnologia e il suo possibile ruolo rivoluzionario. Ritieni la tecnica un elemento neutro da usare solo diversamente da una forza anticapitalista o un prodotto dei rapporti di forza dentro la società? Questa domanda si lega al tema dell’accelerazionismo che punta ad accelerare i processi avviati dal capitalismo, liberando dalle logiche capitaliste i suoi prodotti tecnologici. Un’idea che nasce dalla filosofia di Deleuze e Guattari con cui non mi trovo assolutamente d’accordo, anzi, ritengo che sia influenzata da una metafisica del progresso che tende a vedere ogni conquista del capitalismo come un passo nella giusta direzione della storia, oltre ad essere ancorato ad una solida tradizione economicista.
Ancora una volta, non mi interessa convincerti di questo o di quello, ma mi limito a dirti che non ho mai pensato alla tecnologia come un elemento neutrale. Ho pensato alla tecnologia come un insieme di espositivi che sono modellati dal rapporto di classe, dalla forza del rifiuto operaio o dalla forza del dominio capitalista. La parola “accelerazionismo” è estremamente ambigua e preferisco non usarla, perché confonde il processo di intensificazione (della produttività della tecnica) con il processo di liberazione della società dal dominio del lavoro salariato. Io condivido l’idea (tutta marxiana) secondo cui l’intensificazione della produttività “tornerà utile” alla liberazione dal lavoro. Ma non credo che in sé e per sé l’accelerazione e l’intensificazione vadano in quella direzione. Di fatto è accaduto l’esatto contrario: l’accelerazione del ciclo produttivo, informativo ha funzionato e funziona come fattore di sottomissione del corpo collettivo.
6) Conosci molto bene il pensiero di due grandi filosofi come Deleuze e Guattari, che con il loro Anti-Edipo hanno aperto un mondo. Un libro essenziale per la tua generazione che vedeva nel desiderio una forza rivoluzionaria. Alla luce delle critiche di Baudillard a Foucault, ma indirettamente anche a loro due, cosa resta oggi degli insegnamenti dell’Anti-Edipo?
L’Antiedipo forse è un libro che abbiamo troppo sopravvalutato. È un testo letterario più che filosofico, indica una direzione di ricerca, rompe alcuni schemi della psicoanalisi e del marxismo, ma riletto oggi non mi sembra che sia molto utile. I grandi libri di quei due filosofi a mio parere sono quelli successivi. Mille piani disegna il campo della trasformazione semiotica del processo produttivo in tutta la sua estensore antropologica. E Cosa è la filosofia offre una possibilità di ripensare la filosofia come creazione di concetti-dispositivo. Se oggi rileggiamo i libri di Deleuze e Guattari insieme ad alcune cose scritte da Baudrillard, particolarmente Lo scambio simbolico e la morte, debbo dire che Baudrillard aveva visto molto più lontano, aveva compreso più a fondo il senso della trasformazione semiotica del capitalismo, e aveva compreso che il desiderio non è di per sé forza rivoluzionaria o liberatoria.
7) Tornando al tema del lavoro, come si può oggi tornare al concetto di rifiuto del lavoro salariato in un’epoca in cui domina la precarietà e nei lavoratori, specialmente i lavoratori cognitivi, il tempo di lavoro diventa la parte centrale della propria vita, assorbendo la quasi totalità delle proprie energie fisiche ed intellettuali? Addirittura, come sottolineava Kurz nei suoi libri, un manager di oggi lavora più di uno schiavo romano. Come è possibile tornare a slegare il tempo di vita dal tempo di lavoro come facevano gli operai della fabbrica fordista a tuo avviso?
Qui tu segnali la difficoltà principale dell’autonomia nella sfera del lavoro cognitivo.
Il paradosso per cui le tecnologie labor saving hanno costretto a un aumento del tempo di lavoro consiste nel fatto che la codificazione capitalistica trasforma in lavoro salariato forme di attività che di per sé sono espressione e libera della ricchezza e della creatività sociale. Il manager lavora più di uno schiavo perché il suo sistema è così stupido che non riesce a organizzare l’attività di inventare, di parlare, di scrivere, di comunicare, di curare, di insegnare… se non in forma di sottomissione del tempo al valore, all’accumulazione al denaro.
8) Credi ancora nelle possibilità rivoluzionarie di internet, nonostante l’ascesa di potenti oligopoli che hanno un sempre maggiore controllo ed influenza sulla nostra vita?
Ci ho creduto per un paio di anni, diciamo magari nel primo lustro del decennio ’90.
Nel 1995 ho pubblicato con Castelvecchi un libretto che si chiama Neuromagma (chissà se esiste ancora da qualche parte?) in cui dicevo che con l’imposizione del browser Explorer nella navigazione di rete, e quindi con l’ingresso di una grande corporation monopolistica, finiva la funzione autonomizzante e orizzontale di Internet. Ma la storia di Internet non l’ha ancora scritta nessuno, e soprattutto non è affatto finita, più o meno come la storia del mondo.
9) In Futurabilità ci inviti a guardare la bestia negli occhi, preparandoci ad un lungo periodo di violenza, guerra e demenza. Il consumo di psicofarmaci, l’ansia e la depressione dominano la nostra società e si accompagnano alla precarietà totale della mia generazione. Come mai a tutto ciò non corrisponde la nascita di un movimento che tenti non di mediare con questo mondo, ma di ribaltare il tavolo? Come mai, come direbbe Mark Fisher, il realismo capitalista diventa l’unico orizzonte in cui sappiamo muoverci, senza più avere la forza di immaginare una società diversa, da reinventare, seguendo Castoriadis?
Ma hai già risposto a questa domanda: la precarizzazione del lavoro ha trasformato la società in un campo di guerra inter-proletaria. E la globalizzazione del mercato del lavoro ha trasformato l’odio di classe in razzismo, nazionalismo, fascismo.
Solo un trauma molto profondo potrà rompere il circolo vizioso della subordinazione psichica e dell’aggressività inter-proletaria. Ma purtroppo il trauma che si prepara (anzi è già cominciato) rischia anche di devastare tutto quel che di umano ha prodotto il genere umano.
10) Se Claudio Lolli è stato la colonna sonora del movimento del ’77 e delle sue speranze, quale genere musicale può rappresentare l’era di depressione ed ansia in cui viviamo?
Non ascolto musica da quindici anni perché sono quasi completamente sordo. Quando ascolto musica con una protesi auricolare mi limito ad ascoltare i concerti brandeburghesi di Brahms, il Requiem di Mozart e il Koln Konzert di Keith Jarret. E anche molto Torna a Surriento.
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