- Introdurre La Grassa a chi non lo conosce
Per introdurre il pensiero di Gianfranco La Grassa è utile prendere in mano Il meccanico del marxismo. Introduzione critica al pensiero di Gianfranco La Grassa scritto da Piotr Zygulski. Il termine “meccanico del marxismo” è di Costanzo Preve e serve a descrivere il lavoro dell’economista veneto come un tentativo orientato non alla rianimazione della teoria di Marx bensì alla sua analisi per provare a smontare e rimontare, anche con pezzi nuovi, questa dottrina politica che avrebbe bisogno più di un nuovo motore che di nuovi autisti. Questa operazione richiede di individuare con precisione le parti difettose per poi apporre delle modifiche efficaci che possono produrre un risultato poco lontano dall’originale o la creazione di una vettura del tutto nuova e difficilmente distinguibile dal punto di partenza. Per capire come e perché è stato realizzato tutto ciò è bene presentare qualche dato biografico. Gianfranco La Grassa nasce nel 1935 a Conegliano da una famiglia di origini siciliane che possedeva un’azienda in Veneto specializzata nella produzione di vini e vermut. Nel 1953 approda al marxismo e si avvicina al PCI dopo una vacanza a Palermo dove scopre i libri di Marx e di Stalin. Dopo il diploma presso la scuola enologica di Conegliano si iscrive all’Università Ca’ Foscari di Venezia e inizia a partecipare alle riunioni del PCI pur non prendendo la tessera del partito. Nel 1959, dopo uno scambio epistolare, il suo maestro italiano, Antonio Pesenti, lo convince a trasferirsi all’Università di Parma dove aveva la cattedra di Scienza delle Finanze e di Diritto Finanziario. Nello stesso periodo inizia a prendere le distanze dal PCI e dalla “via italiana al socialismo” di Togliatti e non accetta le conclusioni del XX congresso del PCUS colpevole, secondo La Grassa, di incolpare dei crimini dello stalinismo unicamente la figura di Stalin e per questo iniziò ad avvicinarsi al maoismo. Nel 1963 rompe in maniera definitiva con il PCI dopo una complicata riunione di partito con il Comitato Federale di Treviso a cui fa seguito l’inizio della scrittura di una serie di ciclostilati di analisi politica tramite cui accusava di “neorevisionismo” sia il PCUS che il PCI. Contestualmente prende contatti con le Edizioni Oriente di Milano che si occupavano della traduzione e diffusione nel nostro paese dei testi maoisti cinesi ma non militò mai nei vari gruppi marxisti-leninisti nati in quel periodo perché secondo l’economista veneto proponevano un’analisi politica insufficiente e una prassi politica grossolana. Dopo la laurea nel 1964 venne chiamato da Pesenti all’Università di Pisa, dove nel frattempo si era trasferito, per fare prima l’assistente volontario e poi, nel 1968, l’assistente di ruolo. Nel 1970 pubblica la sua prima opera di un certo rilievo, ovvero l’appendice di microeconomia ai due volumi del Manuale di Economia di Pesenti. Nello stesso periodo La Grassa si sposta per due anni a Parigi per seguire i corsi dell’EPHE, poi divenuto EHESS nel 1975, del suo maestro francese Charles Bettelheim a partire dal libro Calcolo economico e forme di proprietà ed entra in stretta relazione con la scuola di Louis Althusser. Nel 1972, al suo rientro in Italia, divenne professore incaricato a Pisa ed iniziò a collaborare con molte riviste di orientamento marxista come Ideologie diretta da Ferruccio Rossi-Landi, Utopia di Mario Spinella, Che Fare di Francesco Leonetti, Problemi del socialismo di Lelio Basso e l’organo teorico del PCI Critica Marxista. Infatti, nonostante non sia più da tempo vicino al PCI, le sue analisi sono apprezzate dalla dirigenza del partito con cui La Grassa mantiene delle buone relazioni anche grazie alle collaborazioni con il suo maestro Pesenti scomparso nel 1973. Zygulski opportunamente ricorda che in questo periodo l’economista veneto scrive interventi sul pensiero di Marx vicini alla lettura di Althusser, pur con una loro originalità, intervenendo nel dibattito tra Emilio Sereni e Cesare Luporini all’interno di Critica Marxista partito dal lavoro di alcuni gruppi di studio focalizzati sull’analisi dei diversi modi di produzione nati su impulso di Giorgio Amendola. In questo contesto La Grassa scrive il saggio, contenuto in Critica Marxista n.4 del 1972, dal titolo Modo di produzione, rapporti di produzione e formazione economico-sociale che ha come scopo definire la nozione di formazione economico-sociale. Prima di lavorare in tal senso, l’autore fornisce una definizione del concetto di modo di produzione a partire da Marx. Per La Grassa nel modo di produzione è possibile rintracciare fusi due elementi, uno di carattere prevalentemente tecnico e l’altro di carattere squisitamente sociale. Stiamo parlando delle forze produttive, del loro livello e del loro ritmo di sviluppo, e dei rapporti sociali di produzione. Il modo di produzione è il campo comprensivo di questi due elementi che si integrano profondamente, si attraggono l’un l’altro finendo per realizzare un’unità complessa e internamente differenziata. Quindi possiamo dire che le forze produttive rappresentano il contenuto mentre i rapporti di produzione la forma di questa sintesi. Davanti ad una società stabilizzata, ovvero di forme sociali tra loro integrate sia al livello di base economica che di sovrastruttura, è facile individuare il referente reale del concetto di modo di produzione. Il modo di produzione è un dato insieme di metodi tecnici e organizzativi impiegati nel processo produttivo e allo stesso tempo un ben definito sistema di strutturazione in classi della società. Questo ci porta a dire che nella società borghese, nel momento in cui il modo di produzione capitalistico è stabilmente affermato, le forze produttive e le modalità con cui si sviluppano sono in linea con i rapporti di produzione e con le relazioni tra le classi. Tutte queste riflessioni vanno problematizzate nei momenti di passaggio tra il dominio di un modo di produzione e la dominanza di un altro modo di produzione. Infatti la connotazione reale di un modo di produzione in una simile situazione diventa molto incerta e di conseguenza ci troviamo di fronte ad una sfasatura, ad un non coordinamento tra forze produttive e rapporti di produzione. La Grassa fornisce un esempio di ciò quando parla del primo passo compiuto sulla via della transizione dal modo di produzione feudale a quello capitalistico con l’affermazione di nuovi rapporti di produzione capitalistici. Questi rapporti esistevano già agli inizi della manifattura, quando ancora non si distinguevano dall’artigianato se non per il numero degli operai impiegati. Perciò il capitale in quanto rapporto storico e particolare rapporto di produzione tra non lavoratori-proprietari dei mezzi di produzione, inizialmente proprietari degli oggetti di lavoro e capitale monetario e in un secondo momento anche degli strumenti di produzione, e lavoratori-non proprietari ha preceduto la trasformazione tecnica. I capitalisti potevano comprare sul mercato la forza lavoro con le sue particolari abilità tecniche e abitudini lavorative da questa contratte con l’esercizio dell’industria artigiana mentre la tecnologia impiegata non poteva che essere quella collegata a quel tipo particolare di industria. Successivamente, grazie all’opera di dissolvimento delle vecchie forme sociali provocata dai nuovi rapporti di produzione, anche il modo di sviluppo delle forze produttive venne modificato e si adattò ai nuovi bisogni della produzione nati a seguito dell’affermazione dei nuovi rapporti di produzione. Queste conclusioni, sostiene Nicola Simoni in Tra Marx e Lenin. La discussione sul concetto di formazione economico-sociale, potrebbero sembrare in contrasto con alcune note riflessioni di Marx contenute in Per la critica dell’economia politica:
“A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”.
La Grassa cita questo passo nel suo saggio e dice che ad un primo sguardo sembra come se Marx stesse sostenendo l’idea delle forze produttive come elemento più mobile e dinamico del sistema economico-sociale. I rapporti di produzione sembra che debbano modificarsi per meglio adattarsi al nuovo livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive. Per La Grassa questa affermazione entra in contrasto con tutto ciò che Marx ha sostenuto durante la sua analisi della sottomissione prima formale e poi reale del lavoro al capitale. Quali conseguenze ne trae l’economista veneto? Sicuramente i rapporti di produzione anticipano la completa trasformazione del modo di produzione ma solamente la modificazione delle forme organizzative e tecniche del processo produttivo, cioè elementi come divisione del lavoro non solo sociale, ma anche tecnica al livello dell’unità produttiva e del sistema delle macchine, rende stabile ed irreversibile il nuovo modo di produzione e in questo modo riesce a garantire la sua evoluzione lungo le direttrici indicate dalla sua nuova strutturazione in classi. I rapporti di produzione, che in un certo senso avevano anticipato e guidato la trasformazione, finiscono per assumere un nuovo significato e nuovi contenuti a trasformazione compiuta. Per La Grassa i rapporti di produzione sono l’elemento mediano tra la spinta iniziale delle forze produttive e la loro successiva rifondazione necessaria per garantire la temporanea stabilità e l’irreversibilità della trasformazione dal vecchio al nuovo modo di produzione. A questo punto della riflessione La Grassa, utilizzando il testo di Lenin Che cosa sono gli “amici del popolo”, affronta il concetto di formazione economico-sociale a partire dalla sua connotazione strutturale, esattamente come il modo di produzione. Ne consegue l’esclusione dell’idea che il primo termine rappresenta la società nel suo complesso mentre il secondo sia associato al suo scheletro. Lenin ci ricorda come Marx non si è mai limitato a studiare lo scheletro, cioè la base economica, della società ma sostiene che sia stato il primo a portare la sociologia su un terreno scientifico elaborando il concetto di formazione economico-sociale come complesso di determinati rapporti di produzione e stabilendo che lo sviluppo di queste formazioni è un processo storico naturale. Quindi per Lenin il concetto di formazione economico-sociale non rappresenta l’intera società ma la struttura della società, l’insieme dei rapporti di produzione. Sembra che il termine formazione economico-sociale descriva la stessa realtà indicata dal concetto di modo di produzione. In entrambi i casi si tratterebbe della struttura di un certo tipo di società. Questa difficoltà viene superata da La Grassa utilizzando il termine formazione economico-sociale per riferirsi ad un complesso insieme di modi di produzione articolati tra loro in modo tale che ve ne sia uno dominante mentre gli altri sono subordinati. Bisogna però ricordare che il rapporto di produzione del modo di produzione dominante finisce per conformare a sé anche i rapporti di produzione delle forme economico-sociali subordinate pur nella varietà delle forme organizzative e tecniche del processo produttivo e pur nella permanenza di una relativa specificità delle forme sociali che a queste ultime corrispondono. Siamo davanti a due diversi casi. Nel primo esiste la presenza di un vero e proprio modo di produzione dominante, la cui strutturazione, ovvero la forma dei rapporti di produzione e lo sviluppo delle forze produttive, spiega i meccanismi di movimento e lo sviluppo della società in questione. La conformazione strutturale della società è formata anche da altre forme economiche e sociali subordinate a cui non possiamo attribuire il carattere di veri e propri modi di produzione diversi da quello dominante. Questo perché nei settori subordinati della base economica della società i rapporti di produzione sono plasmati e assimilati dai rapporti di produzione del modo di produzione dominante. Nel secondo caso, quando siamo in presenza di una situazione di transizione da un modo di produzione all’altro e, di conseguenza, da una formazione economico-sociale all’altra o in altri termini dalla dominanza di un modo di produzione alla dominanza di un altro, la particolare formazione economico-sociale di transizione deve essere vista come una articolazione di modi di produzione diversi. Uno di questi modi di produzione, a partire da un certo momento, manifesta chiaramente la sua dominanza esplicitando il senso e la direzione della trasformazione in atto ma non ha ancora nettamente e irreversibilmente subordinato a sé il modo di produzione dominante della vecchia formazione economico-sociale. Quindi il nuovo modo di produzione non è ancora riuscito a rendere funzionale al proprio tipo di sviluppo, alla propria legge di movimento, le forme sociali, economiche e tecniche relative al vecchio modo di produzione che va cadendo in una posizione subordinata. Di conseguenza possiamo ancora distinguere dentro il vecchio modo di produzione un sistema di rapporti di produzione distinto e non ancora plasmato da quello tipico del nuovo modo di produzione dominante. La Grassa conclude il ragionamento affermando che una formazione economico-sociale in transizione può essere considerata come una effettiva articolazione di modi di produzione differenti e gerarchizzati rispetto ad una forma dominante. In quest’ultimo caso il termine formazione ha una connotazione più genetica che strutturale ed indica una serie di fenomeni e la direzione del loro movimento finalizzato all’enucleazione di una nuova formazione sociale a partire dalla vecchia.
Il periodo in cui prende corpo questo dibattito su Critica Marxista è affiancato dalla pubblicazione di tre saggi per la casa editrice del PCI Editori Riuniti. Si tratta di Struttura economica e società nel 1973, Valore e formazione sociale nel 1975 e Riflessioni sulla merce nel 1977. Questi argomenti saranno ripresi nel 1978 nel libro Dal capitalismo alla società di transizione scritto con la sua principale allieva Maria Turchetto. Il volume prende esplicitamente le mosse delle tesi di Charles Bettelheim identificato come l’unico studioso comunista che abbia dato un contributo decisivo a un’analisi rigorosa e marxista del problema della transizione. Nel 1979 La Grassa ottenne una cattedra all’Università Ca’ Foscari di Venezia e fino al 1981 mantenne anche quella a Pisa. Gli anni ‘80 coincidono con l’inizio della maturazione di un’analisi fortemente critica sulle possibilità di realizzare una transizione socialista e previde con largo anticipo il collasso dell’URSS e del campo socialista. Nel 1983 a Milano fonda il Centro Studi di Materialismo Storico che darà vita ad una collana edita da Franco Angeli mentre inizia, utilizzando Panzieri pur non diventando mai operaista, a porre sempre più enfasi sulle nuove tecnologie e sull’organizzazione del processo di lavoro nelle sue analisi. Siamo entrati nella fase del capitalismo lavorativo che porterà alla pubblicazione di volumi come Il capitalismo lavorativo e la sua ri-mondializzazione scritto con l’allievo Marco Bonzio. Il centro studi si scioglie nel 1993 e negli anni successivi inizia a collaborare con il filosofo Costanzo Preve con cui partecipò ai seminari estivi di Carrara organizzati dai nostri amici di Punto Rosso. A partire da questi incontri vennero scritti dei libri focalizzati sull’analisi della nuova fase del capitalismo in cui eravamo entrati dopo il collasso del socialismo reale. Nel 1996 si ritirò dalla docenza universitaria e pubblicò due opere, La fine di una teoria e Lezioni sul capitalismo, in cui ammette il fallimento irreversibile del marxismo e inizia a lavorare alla terza fase della sua parabola intellettuale che prende definitivamente forma e coerenza con il libro Gli strateghi del capitale. Si tratta di un volume figlio del suo studio sulla ricorsività tra periodi di monocentrismo e policentrismo dove il comunismo è ridotto a scommessa pascaliana, dice Zygulski, ma resta una speranza e un desiderio per cui continuare a battersi senza sostenerne più l’inevitabilità. Questo è anche il periodo in cui le riflessioni dell’autore iniziano a svilupparsi online, prima con il sito Ripensare Marx e infine con Conflitti&Strategie, tuttora attivo.
- Il punto di partenza di La Grassa: come viene analizzato il pensiero di Marx
Zygulski a questo punto prova a riassumere il pensiero di La Grassa partendo, inevitabilmente, da Marx. L’economista veneto considera Marx essenzialmente uno scienziato e un rivoluzionario che rappresenta l’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza. Non aveva in mente di pianificare nei dettagli la futura società comunista ma analizzare scientificamente le caratteristiche strutturali della società del suo tempo e le condizioni per una ridefinizione dei rapporti di classe. Durante questo suo studio era convinto di aver individuato delle dinamiche intrinseche al modo di produzione capitalistico che avrebbero condotto alla trasformazione comunista della società facendo piazza pulita di ogni forma di sfruttamento. Bisognava però prendere le distanze da ogni forma di utopismo attraverso una rappresentazione metodicamente costruita che nel pensiero potesse riprodurre la realtà nella sua esatta strutturazione essenziale per poi poterla indagare. Queste riflessioni rendono evidente a chiunque l’influenza su La Grassa di Althusser che sostenne l’idea secondo cui Marx aprì alla scienza l’esplorazione del continente storia e questo è un fatto da cui la scienza sociale non potrà più tornare indietro. Il progetto di Marx consisteva nell’utilizzare gli strumenti degli economisti classici per realizzare la critica della totalità sociale a partire dalla critica dell’economia politica. Una simile operazione non serviva a criticare le teorie economiche dominanti ma a far capire a tutti che i rapporti sociali eternizzati dall’economia classica non erano affatto eterni. Infatti l’oggetto dell’analisi marxiana del modo di produzione non è lo scambio mercantile che prefigura la riduzione del capitale a cosa, a mezzi produttivi, processo produttivo e finanza, ma i rapporti sociali. Nel suo lavoro Marx, dopo aver individuato nel processo di accumulazione originaria la genesi del capitalismo, riesce a trovare una forma di sfruttamento celata agli occhi dei più nel modo di produzione capitalistico e che è possibile far emergere utilizzando la teoria del valore-lavoro elaborata dagli economisti borghesi. Nel modo di produzione capitalistico ci sono due parti, colui che possiede i mezzi di produzione e il possessore della capacità di lavoro detta forza lavoro, che, diversamente da altri modi di produzione, si scambiano in condizioni di piena libertà ciò che hanno grazie alla contrattazione permessa dalla forma merce generalizzata. Nel capitalismo il possessore della sola forza lavoro è formalmente libero da qualsiasi dipendenza personale o catena servile ma per sopravvivere è costretto a vendere la propria capacità lavorativa al prezzo di mercato che gravita attorno alla media del valore. In potenza questo processo contiene il pluslavoro che diventerà plusvalore. L’esistenza del pluslavoro è resa possibile dalla capacità dell’uomo di produrre di più rispetto al salario, composto da tutte le risorse di cui ha bisogno per la vita in società. Per La Grassa Marx accetta l’idea degli economisti classici secondo cui il valore delle cose dipende dalla quantità di lavoro ma distingue tra forza lavoro in potenza e in atto che ne rappresenta l’estrinsecazione. In questo modo di produzione la merce decisiva è la forza lavoro, ovvero l’energia lavorativa presente nella corporeità del lavoratore. Il contratto tra lavoratore e possessore dei mezzi di produzione dà al proprietario delle condizioni oggettive di produzione il diritto di impiegare la capacità lavorativa della forza lavoro e, nella fase dello scambio del prodotto, viene realizzato il plusvalore che nel caso più comune è di tipo relativo, ovvero quando a parità di lavoro pagato al suo valore esatto aumenta il prodotto complessivo e perciò i profitti evitando la compressione del salario in termini assoluti. Di questo plusvalore ne beneficia solo il proprietario dei mezzi di produzione e non il lavoratore. Qui risiede l’iniquità e lo sfruttamento che viene nascosto sul mercato del lavoro attraverso una maschera di libertà ed eguaglianza. Questo inganno è una delle fonti della resistenza del modo di produzione capitalistico. Di conseguenza il plusvalore non nasce sul mercato a causa dell’imposizione di una compravendita delle merci sopra o sotto il loro valore ma sorge alle spalle della circolazione di superficie dove c’è un contraccambio che mediamente potrebbe essere a somma zero se venisse supposta la perfetta equità. La teoria marxiana del plusvalore è quindi uno strumento per svelare l’inganno ideologico della scienza economica dei padroni che al livello della sfera circolatoria appiattisce tutti i membri della società capitalistica a eguali possessori e scambiatori di merci con gli stessi diritti. Lo sfruttamento, inteso da Marx come una sottrazione algebrica da cui si ricava la quantità di pluslavoro/plusvalore, è presente nella società del capitale e garantisce a chi possiede i mezzi di produzione un profitto permanente. Dietro l’apparenza, quindi, c’è un gioco a somma non zero. Una simile situazione non muterebbe anche se i lavoratori riuscissero ad ottenere dei salari altissimi perché resterebbe una sostanziale differenza tra la merce forza lavoro e la merce mezzi di produzione che lascia intatta la grave asimmetria tra le due figure che si incontrano sul mercato. Per La Grassa tutto ciò è il merito decisivo ed imperituro della scienza marxiana e viene ribadito anche nei confronti di chi non vuole capire la centralità in Marx della riproduzione del rapporto sociale preferendo la centralità della teoria del plusvalore che legge il modo di produzione capitalistico solo come una modalità tecnico-organizzativa di estrazione del plusvalore. Si tratta di un vero tradimento ad opera di una teoria marxista degenerata che ha trasformato la legge scientifica del plusvalore in, per riprendere Althusser, una teoria contabile. Tra chi possiede solo la forza lavoro e chi detiene il controllo dei mezzi di produzione sussiste una differenza non matematizzabile, ovvero la proprietà di quest’ultimi. Questa separazione è una precondizione per l’esistenza del rapporto sociale compiutamente capitalista e produce le classi sociali borghese, quella che detiene il controllo delle fabbriche e dei macchinari, e il proletariato che può vendere solo la propria capacità lavorativa.
A questo punto La Grassa analizza come i rapporti di produzione presenti nel modo di produzione capitalistico possono essere trasformati secondo Marx. Nelle famose Glosse a Wagner troviamo la descrizione del possessore dei mezzi di produzione capace anche di ottenere un ruolo di coordinamento perché il capitalista non estorce solamente il plusvalore ai produttori ma contribuisce alla creazione di ciò di cui si appropria. Il padrone è sia un proprietario che un direttore d’orchestra. Lo sviluppo del capitalismo avrebbe dovuto produrre un processo di centralizzazione dei capitali che tramite la concorrenza è capace di ridurre il numero delle proprietà in poche grandi fabbriche con dei capitalisti sempre più disinteressati alla produzione e per questo simili a dei signori parassiti che godono di una rendita azionaria tramite le cedole dei dividendi. Coloro che soccombono a causa della concorrenza perdono i mezzi di produzione e iniziano a vendere ad altri padroni la loro capacità di direzione che, sebbene più qualificata rispetto alla semplice forza lavoro, li fa rientrare nella classe dei salariati. I proprietari diventano semplici capitalisti monetari mentre si formano dei dirigenti amministratori del capitale altrui. Questo favorirebbe l’emergere del lavoratore collettivo cooperativo che parte dai dirigenti attivi nella produzione e finisce con l’ultimo manovale giornaliero ed è cosciente di rappresentare la totalità della produzione in contrapposizione ai pochi usurpatori sempre più inutili rispetto alla produzione. Questa aggregazione, una sorta di operaio combinato, non è esente da contraddizioni interne ma è consapevole della ricchezza che produce e non dovrebbe avere alcuna difficoltà nello spazzare via l’esigua aristocrazia finanziaria ottenendo la piena padronanza degli strumenti produttivi, questa volta per gestirli in maniera associata. Si tratta della base economico-sociale del modo di produzione socialista già in formazione all’interno del capitalismo. In questo senso la rivoluzione proletaria dovrebbe solo accelerare il percorso verso il socialismo in cui comunque vigerà il principio del minimax, minimo mezzo dato un risultato oppure massimo risultato dato un mezzo, utilizzato nel capitalismo per estrarre il plusvalore relativo e riproposto nel nuovo modo di produzione per altre finalità. La trasformazione dei precedenti rapporti di produzione, l’efficienza minimax e la distribuzione consapevole del tempo di lavoro tra i vari usi produttivi servirebbero a garantire l’abbondanza nel comunismo e il completo sviluppo della libera individualità umana. Nel socialismo, quindi, si sarebbe applicata la stessa razionalità economica di Robinson ma in maniera collettiva per soddisfare i bisogni di tutti. Sarebbe ancora esistita la competizione per le cose futili ma sarebbe scomparsa quella per la sopravvivenza. Questo processo avrebbe certamente incontrato l’opposizione della borghesia ma, essendo diventata un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive, sarebbe stata oggettivamente rimossa prima o poi in un processo che per Marx, dice La Grassa, doveva essere più rapido di quello che ha portato il feudalesimo a trasformarsi in capitalismo. L’ultimo ostacolo, lo Stato che difende gli interessi dei proprietari-azionisti ormai rentier assenteisti, doveva essere distrutto perché garante dei diritti borghesi. A questo punto le strategie per raggiungere questi obiettivi si biforcano in due strade. La prima è quella riformista che puntava al controllo numerico del parlamento per adottare provvedimenti legislativi utili alla trasformazione dei rapporti di produzione. La seconda, quella rivoluzionaria, puntava alla distruzione degli apparati statali identificati con gli strumenti coercitivi per sostituire il tutto con la dittatura della maggioranza proletaria. Una volta preso il potere una serie di misure economicamente insufficienti e insostenibili, come l’imposizione dell’istruzione pubblica e gratuita, avrebbero naturalmente portato alla trasformazione dei rapporti di produzione e gradualmente si sarebbe estinto lo Stato come apparato di repressione e monopolio della forza, non lo Stato come organizzazione amministrativa essenziale per ogni società civile. Per La Grassa tutte queste previsioni non si sono avverate e se ne erano già accorti alcuni marxisti alla fine del XIX secolo in Germania a causa della mancata formazione del lavoratore collettivo cooperativo. Ciò portò Kautsky ad identificare il soggetto rivoluzionario nel lavoratore operaio addetto alle mansioni esecutive inferiori perché le potenze mentali della produzione erano ormai, anche se salariate, dall’altra parte della barricata. Questa classe operaia per l’economista veneto non è stata capace di trasformare il modo di produzione perché aveva una base sociale più ristretta rispetto alla concezione marxiana originaria. A questo problema trovò una soluzione Lenin tramite le alleanze di classe con i contadini, più rivoluzionari e immuni dal pericolo del tradeunionismo che in Inghilterra stava generando una pericolosa aristocrazia operaia, e gli intellettuali che dovevano porsi sotto l’avanguardia operaia del partito bolscevico. Per La Grassa questa fu una revisione del marxismo con suo avanzamento teorico che Lenin seppe sfruttare con una perfetta analisi concreta di una situazione concreta individuando, nel contesto della Prima guerra mondiale, l’anello debole della catena, cioè dove i dominanti si trovano in maggiore difficoltà, per far esplodere la Rivoluzione d’Ottobre. La Grassa sostiene che il percorso dell’URSS non portò ad alcun socialismo ma ad un assolutismo statalista di tipo lasalliano e tutte le rivoluzioni successive furono aggiunte posticce per non ammettere le carenze della teoria originaria. Tutto ciò non spinge l’economista veneto a ripudiare Marx perché continua a pensare che la sua teoria sia la più avanzata finora prodotta per analizzare la società. Tuttavia accetta la sfida di Popper sulla falsificabilità per discriminare le teorie scientifiche da quelle non controllabili e proprio perché il comunismo di Marx è fallibile possiamo definire scientifiche le sue analisi.
- Il ripensamento teorico di La Grassa
Zygulski fa partire il ripensamento teorico di La Grassa con la fase teorica del capitalismo lavorativo perché in questo periodo viene colto un aspetto mancante nella teoria di Marx, ovvero il mutamento delle caratteristiche del nucleo predominante del modo di produzione capitalistico cioè la trasformazione della fabbrica in impresa. Per La Grassa la fabbrica è l’entità produttiva in senso stretto dove gli input vengono trasformati in output. Non comprende solamente lo stabilimento industriale ma anche altre sezioni, con una crescente autonomia, come ricerca delle materie prime e dei finanziamenti, contabilità, amministrazione o marketing. Tra questi comparti non manca mai un coordinamento unitario che prende il nome di impresa condotta, spesso, da un gruppo manageriale non proprietario. Nelle sue riflessioni sull’impresa La Grassa recupera alcuni elementi delle teorie di Schumpeter come la differenza tra crescita e sviluppo. Quest’ultimo viene letto come un mutamento nelle proporzioni tra risorse da indirizzare verso settori innovativi anche rinunciando a produrre aumenti quantitativi o generando decrementi dei dati economici. La seconda acquisizione riguarda la differenza tra capitalista, manager e imprenditore. Il primo è il proprietario puro di un pacchetto azionario rilevante, il secondo è un dirigente della produzione mentre l’imprenditore è colui che introduce le innovazioni ed ha una posizione mediana tra capitalista e manager. Queste figure sono funzioni che possono essere ricoperte anche da una pluralità di soggetti fisici e giuridici. In certi casi le funzioni possono fare capo ad una persona mentre in altre situazioni potrebbe sorgere una conflittualità non antagonistica tra questi ruoli. Di Schumpeter La Grassa rifiuta l’individualismo metodologico che, oltre a produrre il mito romantico dell’imprenditore coraggioso contro il mondo, impedisce di cogliere tutta l’articolazione del modo di produzione capitalistico perché continua a fare perno sull’idea di impresa come fabbrica produttiva. Inoltre respinge la previsione del capitalismo stagnante a causa della burocratizzazione delle imprese che aprirebbe le porte al socialismo. La Grassa sviluppa queste idee sostenendo che tra lavoro di tipo esecutivo e direttivo il potere decisivo risiede in quest’ultimo. Infatti l’economista veneto avanza la tesi secondo cui nel capitalismo il potere preponderante non sarebbe la proprietà dei mezzi di produzione ma la direzione imprenditoriale. La competizione tra le imprese, inoltre, scinde la direzione in due con l’emersione di una figura inedita che possiede abilità strategico-decisionali di ampio spettro, come la capacità di ottenere sostegno dagli apparati statali e dai mass media, per favorire l’azione dell’impresa e in contiguità con la gestione finanziaria che fornisce i mezzi monetari per lo svolgimento del conflitto. Questi agenti strategici si affiancano ai dirigenti di fabbrica dotati delle competenze tecniche per trasformare input in output ma sono i primi ad avere la vera funzione dominante nel capitalismo. L’impresa ingloba più fabbriche e di conseguenza la direzione manageriale è sopra quella tecnica. Le imprese sono un’istituzione essenzialmente politica intermedia tra l’organizzazione della fabbrica e l’anarchia del mercato che ha come scopo smussare le ostilità al suo interno e contrastare la disarticolazione tra le entità di cui è composta generata dalla competizione interindividuale. Questo ruolo assume una centralità nei momenti di scontro più acceso che richiedono unitarietà del vertice per preservare l’impresa dalle turbolenze del quasi mercato interno ed esterne. Andando avanti nelle riflessioni, La Grassa si interroga sul tipo di razionalità tipico delle imprese. Non viene rinnegata la razionalità strumentale minimax della direzione di fabbrica ma l’impresa risponde ad una razionalità strategica che contiene un quid essenziale capace di sfuggire ad una razionalità puramente calcolante che la rendono più simile all’arte che alla scienza. Il profitto diventa solo un mezzo per lo scontro tra imprenditori perché essi puntano non al massimo guadagno ma al massimo vantaggio strategico. La razionalità strumentale estrae dai legami sociali mentre quella strategica è immersa nel conflitto. Essa è propria dei dominanti che non sono né economicamente efficienti né rentier ma non sono neanche mossi dalla volontà di potenza perché per dispiegarsi non si può fare a meno di un’analisi dell’arena in cui ci si muove, facendo analisi del passato e previsioni sul futuro. La Grassa giunge a sostenere che è dominante solo chi occupa ruoli di supremazia facendo uso della razionalità strategica. Tutte le configurazioni sociali finora esistite sono contraddistinte dal dominio della razionalità strategica. Da tutto ciò deriva che per La Grassa la politica è una tendenza di fondo, talvolta solo potenziale, di scontro tra idee e pratiche con l’obiettivo, consapevole o meno, di fare gli interessi di gruppi sociali contrapposti. Essa, intesa come lotta di strategie per prevalere, è centrale anche rispetto alla sfera economica. Nella sua dimensione maggiore questi conflitti si traducono in scontri interdominanti tra potenze geopolitiche, cioè Stati, da assimilare ad agenti strategici con opposte strategie. Il marxismo ha sempre visto la lotta tra Stati come una conseguenza della centralizzazione dei capitali e nell’ottica di una stadio anticipatorio del comunismo. Basti pensare a tutti gli studi sull’imperialismo che portarono al noto lavoro di Lenin condensato da La Grassa in 5 punti: centralizzazione monopolistica dei capitali quale stadio supremo del capitalismo, formazione del capitale finanziario in quanto simbiosi tra capitale bancario e capitale industriale, sviluppo relativamente maggiore dell’esportazione di capitali rispetto a quello di merci, competizione tra grandi concentrazioni monopolistiche per la spartizione del mercato mondiale e conflitto tra grandi potenze per la divisione del mondo in zone di influenza. Per Lenin il primo punto è centrale e da esso dipendono tutti gli altri mentre per La Grassa centrali sono il quarto e il quinto punto. Questo perché il primo punto presuppone due assunti marxiani per La Grassa smentiti: la focalizzazione sulla proprietà dei mezzi di produzione e la tendenza alla centralizzazione dei capitali che prelude al socialismo. Inoltre identificare il gigantismo dimensionale delle unità produttive come un effetto dei monopoli è economicismo. Per La Grassa la centralizzazione monopolistica si verifica solo in alcune epoche di conflitto attenuato e non è presente in quelle dove il conflitto si scatena. Zygulski però ricorda che l’economista veneto resta un ammiratore delle intuizioni leniniste secondo cui l’imperialismo esaspera il conflitto tra formazioni economico-sociali con l’obiettivo di prevalere e che il monopolio intensifica ad un livello più alto la concorrenza invece di sopprimerla. Per poter nuovamente usare le tesi di Lenin è necessario riprendere ciò che il leader bolscevico aveva solo percepito con la sua pratica, cioè la possibilità di usare le contraddizioni tra dominanti per produrre rivolgimenti sistemici e a tal fine estrinsecare apertamente le ostilità tra agenti direttivi. Lo sviluppo delle dinamiche del conflitto potrebbero anche far risaltare la legge leniniana dello sviluppo diseguale, utile per analizzare le irregolarità spaziali e temporali con cui avvengono i processi di espansione economica a causa delle turbolenze generate dai contrasti locali. Questa ripresa di Lenin in La Grassa è funzionale al riconoscimento della presenza nel capitalismo di eventi ricorsivi, ciclici e senza direttrici di sviluppo unilineari. Vengono individuate due tipologie di ricorsività: monocentriche e policentriche. Si ha il monocentrismo quando un paese capitalista coordina nel suo insieme la scena mondiale. In questa fase è presenta una certa tranquillità monopolistica che favorisce l’ascesa di gruppi manageriali collocati nei vertici della dirigenza strategica. Alcune di queste imprese si accordano con gli apparati statali per monopolizzare i mercati, prevalgono politiche economiche keynesiane sociali o militari frutto di accordi tra agenti politici e strategico-imprenditoriali del paese centrale per evitare le crisi di sottoconsumo o di sovrapproduzione tipiche delle fasi di monocentrismo. Il conflitto sembra dormiente ma rimane in vita sotto la forma di guerra di posizione. Nella fase di policentrismo abbiamo una competizione tra molti centri capitalisti per ottenere l’egemonia. Gli agenti strategico-imprenditoriali utilizzano la proprietà giuridica come strumento difensivo assieme alle operazioni di acquisto azionario. Le alleanze e le espansioni servono alla competizione. Le crisi di questa fase policentrica sono determinate dal conflitto stesso, da scompensi settoriali, dalla caduta tendenziale del saggio di profitto o dalla necessità di reperire risorse per le innovazioni. Siamo davanti a delle guerre di movimento che hanno bisogno di spostare rapidamente ingenti risorse facilmente liquidabili e di conseguenza si espande il settore finanziario. Nel policentrismo si afferma l’imperialismo lagrassiano dove il gigantismo imprenditoriale non coincide con il monopolismo ma con maggiore flessibilità. Nella storia del capitalismo il policentrismo sarebbe la regole e il monocentrismo l’eccezione. Oggi, con l’avvento della globalizzazione, ci ritroviamo in una fase di policentrismo inizialmente sorto a livello inter-imprenditoriale per poi espandersi a livello dello scontro tra paesi, in particolare tra USA, Russia e Cina. Questa fase viene anche indicata come multipolarismo e somma forte concorrenza economica e conflitto tra Stati non ancora pienamente dispiegato. Il multipolarismo può evolvere sia verso un nuovo monocentrismo che verso uno scontro policentrico ancora più violento.
Speriamo che questo testo sia utile per introdurre ai nostri lettori il pensiero di uno dei principali economisti marxisti italiani del XX secolo ingiustamente ignorato da larga parte del mondo comunista, in particolare quello legato al PCI. In occasione dei suoi 90 anni abbiamo deciso di dedicare a La Grassa tre pubblicazioni, inclusa quella che state leggendo, con la speranza di contribuire alla diffusione del suo lavoro teorico tra i giovani militanti comunisti. Ci sono anche altri motivi dietro questa scelta. In primis l’incontro con i suoi libri è stato importante per la formazione politica di alcuni di noi e in secondo luogo non ci siamo dimenticati che è stato il primo intellettuale di un certo rilievo a volersi interfacciare con noi nell’ormai lontano 2019 tramite interviste, video e saggi pubblicati sul nostro sito e di questo gli saremo per sempre riconoscenti.