–Emilio
L’11 settembre del 1973 in Cile veniva soppressa nel sangue l’esperienza socialista democratica di Salvador Allende per mano di un colpo di stato guidato da Augusto Pinochet.
Questo golpe, forse più dei molti altri che hanno macchiato di sangue la storia dell’America Latina, ha mostrato l’incompatibilità tra capitalismo e democrazia, specialmente quando tramite la seconda si cerca di costruire un’alternativa al primo. Per la prima volta in un paese occidentalizzato e culturalmente vicino al primo mondo si è aperta la possibilità di costruire un’alternativa socialista tramite la via democratica e parlamentare e la destra oligarchica, in preda all’isterismo – basti pensare che la stampa reazionaria scriveva “il terrore incombe sul paese” e “la polizia sostiene gruppi di assassini di sinistra” –, ha preferito, con il pieno supporto degli Stati Uniti, sopprimere nel sangue l’ordinamento democratico in nome della paranoia anticomunista, l’odio patologico per qualsiasi forma di socialismo, per la difesa zelota di un modello economico e sociale fallimentare, autoritario e antidemocratico alla radice e, per quanto riguarda la partecipazione statunitense, per mantenere in un pugno di ferro un’America Latina che negli anni precedenti si stava mostrando sempre più incline all’autodeterminazione.
Il golpe cileno, non sorprendentemente e preoccupantemente, è poco condannato e convenientemente dimenticato da numerosi liberali e libertari (specialmente quelli provenienti da certi “istituti”). Non dobbiamo dimenticarci che Friedrich Hayek (1899-1992), economista paladino del libero mercato e idolo liberista, espresse numerose volte simpatie per il governo di Pinochet millantando maggiori libertà individuali rispetto al Cile di Allende. Il regime di Pinochet – responsabile di decine di migliaia di sparizioni, morti e torturati in quindici anni di dittatura – viene spesso difeso o sminuito citando grafici con numeri che aumentano trattandoli come indicatori di successo oggettivo, il che non è sorprendente, dal momento che gli stessi golpisti citavano l’Indonesia dittatoriale e genocida come un buon esempio per quanto riguarda gli investimenti stranieri, dimostrando come la disumanità e il cinismo siano una tradizione nel campo liberista.
In conclusione il Cile ha mostrato il vero volto della borghesia ben vestita e benpensante. La facilità con la quale essa ha rinunciato alle istituzioni democratiche, quelle stesse istituzioni profondamente rispettate dall’UP (Unidad Popular) di Allende, di fronte ai primi segnali di una possibile messa in discussione del suo potere si è felicemente accodata senza colpo ferire a una destra violenta, parafascista e sanguinaria. Il vero volto del capitalismo, specialmente quando messo in crisi, è l’autoritarismo di destra. Di questo il Cile, almeno nel dopoguerra, ne è forse l’esempio più eclatante ricordandoci quanto sia importante ricordarsi che l’unica alternativa al socialismo sono le barbarie.
Bibliografia:
Viva la revolución. Il secolo delle utopie in America Latina, Eric J. Hobsbawm