Contro la cultura dell’umiliazione
«È la necessità di un agire coordinato che induce, nella società, il bisogno della comunicazione. Il consenso che presiede all’agire sociale può certamente essere estorto con la forza o con l’influenza strategica. Ma esiste consenso autentico solo se basato su «convincimenti comuni». L’atto linguistico dell’uno riesce soltanto se l’altro accetta l’offerta in esso contenuta»
Jürgen Habermas
— Compagno Emilio e Compagna Elisa
Capita molto spesso online di imbattersi nei cosiddetti “leoni da tastiera”: individui profondamente convinti di potersi ergere a modello di perfezione morale, o di estremo rigore e coerenza ideologica. Questi ultimi tendono, in maniera presuntuosa, a ribadire ciò che è, a loro parere, la pura e vergine verità; tuttavia, spesso non ci si rende conto di quanto tale verità sia soggettiva e di quanto le singole percezioni possano rendere relativa e parziale un’affermazione. Non conta tanto lo schieramento politico – è infatti un fenomeno trasversale, che abbraccia ogni posizione dalla destra alla sinistra- conta piuttosto il considerare se stessi come individui perfetti ideologicamente e moralmente.
Siamo abituati a ritenere il fatto che tale fenomeno coinvolga esclusivamente i cosiddetti “analfabeti funzionali”, dunque uomini e donne che, pur sapendo leggere e scrivere, comprendono in maniera approssimativa un testo scritto, che spesso viene adattato ad una visione del mondo assolutamente personale. Ciò nonostante ciascuno di noi si è comportato da leone da tastiera almeno una volta nella sua vita.
Premettiamo che con tale articolo non intendiamo ferire la sensibilità di nessuno, qualora dovesse accadere ce ne dispiacciamo. Del resto nemmeno noi siamo esenti dall’aver adottato talvolta questo comportamento saccente e ce ne scusiamo.
Siamo del parere che oggi si tenda sempre di più ad adottare la cultura del “blasting”, peraltro favorita e a tratti sacralizzata in modo acritico da pagine facebook come “Enrico Mentana blasta laggente”, che conta circa 196.000 likes. Dunque alcuni ritengono non solo legittimo, ma addirittura doveroso ridicolizzare pubblicamente l’oppositore (ci teniamo a precisare che la satira e la comicità sono, per quanto ci riguarda, esenti da tale ragionamento). Si può dunque sostenere che spesso venga adottato un comportamento fortemente antidemocratico. Tale fatto costituisce una palese e dolorosa contraddizione, in particolar modo per gli schieramenti socialisti –e più in generale di sinistra- e liberali: mentre, infatti, il fascista medio è antidemocratico per definizione, socialisti e liberali, invece, ribadiscono con orgoglio di essere democratici. I socialisti e i liberali italiani hanno contribuito in maniera decisiva a garantire un assetto democratico al paese, soprattutto grazie alla lotta al nazifascismo; adottare dunque comportamenti così poco democratici costituisce un paradosso.
La democrazia è un sistema politico fondato sull’opposizione ideologica e sul confronto, non sulla competizione. In tal senso, è piuttosto interessante notare il lessico con il quale ogni giorno ci riferiamo al dibattito: quest’ultimo è una sfida, una gara e soprattutto una competizione e i partecipanti che vi prendono parte sono sfidanti, duellanti e competitori. L’importante non è riflettere e giungere ad una conclusione condivisa, anche se approssimativamente, ma annichilire l’avversario. La democrazia dovrebbe essere, tuttavia, un esercizio di confronto praticato fra oppositori, non da competitori. Esercitare la democrazia significa accantonare l’interesse personale, rappresentato dalla volontà di superare l’altro, e scegliere di operare per un bene comune grazie alla discussione. Conferire una forma migliore al nostro sistema economico, politico e sociale significa scendere a confronto con umiltà e con la voglia di imparare, anche ammettendo di non avere ragione su una questione. Per tale ragione, a nostro avviso, i dibattiti non dovrebbero costituire una competizione di bravura.
Si tratta, ovviamente, di un tema su cui si discute da sempre, tuttavia il passaggio del dibattito da vis-à-vis a online ha riacceso con maggiore interesse la questione. Lo schermo può raramente consentire un dibattito sano, dal momento che l’assenza della persona può implicare un completo distacco da questa: su internet non conta la sensibilità personale, conta la volontà di avere ragione ad ogni costo; l’oppositore non è più un essere umano dotato di emotività e fragilità, è semplicemente un automa da “blastare” e distruggere. Siamo abituati dall’alto della nostra ipotetica superiorità mancare di rispetto: nell’istante in cui si considera l’altro come non degno di rispetto, lo si considera automaticamente come “non-umano”.
Lo schermo può raramente consentire un dibattito sano, dal momento che l’assenza della persona spesso implica un completo distacco emotivo: online non conta più la sensibilità personale, conta la volontà di avere ragione ad ogni costo. L’oppositore non è più un essere umano dotato di fragilità e dignità, non è più un individuo al quale portare rispetto, è semplicemente un automa da “blastare” e da ridicolizzare. Noi stessi autori di questo articolo siamo stati bersaglio di tali comportamenti, peraltro denunciabili: una è stata bersaglio sotto un post di Matteo Salvini, leader del primo partito in Italia, di circa 200 commenti di insulti vari, l’altro è stato denigrato pubblicamente su Twitter attraverso la pubblicazione di messaggi inviati su un gruppo privato dal sottoscritto. Non siamo i primi. né certamente gli ultimi, ciò nonostante sono due episodi comunissimi che ci hanno dato l’opportunità di riflettere.
Coloro che possiedono anche una minima visibilità online possiedono un potere nelle proprie mani: pubblicare sui social screenshot senza consenso è un atto non solo antidemocratico, ma anche squadrista. Farsi forte della propria visibilità e del proprio gruppo di seguaci per ridicolizzare e mettere alla gogna un altro individuo è un’azione degna del più mediocre dei fascisti. Attraverso tali comportamenti si creano dei feticci contro i quali riversare la propria rabbia e le proprie frustrazioni; si tratta di un fenomeno ancora più grave se si considera che tali atti denotano l’incapacità di veicolare il dissenso e l’opposizione verso le reali cause dell’insoddisfazione, che risiedono tanto in noi stessi quanto nel vivere in un mondo che non è affatto ideale o adeguato per tutti.
Ciò dimostra la reale “banalità del male”, perpetuato quasi sempre non dalla reale volontà di essere perfidi, ma dalla mediocrità che spinge tutti noi ad essere non empatici e insensibili. L’aggressività, la prevaricazione, la mancanza di rispetto sono oggi tristemente comuni sia alla destra sia alla sinistra. Censurare senza che vi sia una discussione è un atto “fascistoide”, è inoltre un comportamento che talvolta viene considerato naturale anche da una certa sinistra liberal, specialmente nel mondo americano. Tendiamo a non renderci conto che il fascismo non è rappresentato unicamente dal nazionalismo, dalle marce pompose e dalle pose di Mussolini, ma anche da piccoli comportamenti mediocri che portiamo avanti ogni giorno. Il fascismo distrugge – e aggiungiamo anche che tutti sono bravi a farlo –, ma oggi noi dobbiamo assumerci l’incarico di costruire un mondo migliore. Riteniamo indispensabile considerare che questo “fascismo” è presente in tutti noi, ma che allo stesso tempo è possibile lasciare emergere la componente migliore e più democratica che talvolta soffochiamo. Nessuno di noi può davvero considerarsi immacolato ideologicamente e, soprattutto, moralmente: siamo esseri umani e dunque, per nostra stessa natura, scorretti e profondamente immorali.
La prossima volta che vorrete “blastare” qualcuno, pensateci su.
L’importante, in fin dei conti, è restare umani ed empatici e, per quanto riguarda i socialisti e i comunisti, scegliere sempre il socialismo alle barbarie.