Promemoria per l’emancipazione delle donne

— Laura

In quest’emergenza sanitaria sono tante le celebrazioni e questioni che son dovute passare in secondo piano per esigenza mediatica e/o di salute pubblica.
Non tutto può però essere sottovalutato o dimenticato per via di questa eccezionale crisi mondiale, ci sono problematiche che proprio in questa situazione vengono amplificate e che se non si indirizzeranno immediatamente diverranno fenomeni ingestibili e ancora più gravi di come già queste si presentino.
Per questo, nonostante la pandemia, non possiamo trattare la giornata dell’otto marzo come una semplice ricorrenza che, al momento, va ricordata in casa: questa non è semplicemente la giornata delle mimose e delle frasi pronte sul rispetto delle donne, dietro vi è la lotta storica di compagne e compagni per la liberazione dalle catene ancora oggi influenti sul genere femminile, laddove si presenti come violenza domestica psicologica e fisica, come cultura nociva allo sviluppo intellettuale e personale della donna e come ulteriore causa di sfruttamento nell’ambito del lavoro salariato.

Come si diceva, la condizione della donna a livello globale è stata sensibilmente peggiorata, anche e soprattutto nei paesi occidentali, dall’eccezionalità della situazione attuale, più di quanto già lo fosse a causa delle politiche economiche recenti che hanno colpito tutti i settori della società e dalla mancanza di una visione realmente radicale e risolutiva.
Ora più che mai stona la narrazione del femminismo moderno e liberale della donna indipendente “fatta da sé”, che va ad intaccare solo le differenze dovute a retaggi culturali maschilisti ed ignora la condizione di quelle donne, che come tanti altri uomini, sono succubi della loro condizione economica e dei limiti da questa imposti.

Non importa quanto si possano promuovere le quote rosa, cambiare la rappresentazione della donna nella cultura di massa e mettere in bella mostra esempi di donne che “ce l’hanno fatta”. Per quanto non siano azioni di per sé negative, è il costante incentrarsi sulle scelte individuali della persona che non intacca in alcun modo il vero problema della condizione femminile odierna.
La società infatti non può essere concepita e compresa come insieme di individui totalmente ininfluenti l’uno sugli altri: le scelte di ogni singola persona, tra cui le donne, vengono influenzate dalle aspettative e consuetudini del gruppo di appartenenza ed è quindi impossibile aspettarsi che un vero cambiamento possa scaturire dalle azioni di singoli individui se questi non si connettono con le realtà concrete delle masse.
Quindi non è scontato e certo che da questi personaggi di successo (il più delle volte economico) ci si possa aspettare una visione rivoluzionaria del ruolo della donna nelle società e non vi è alcun contributo per quanto concerne un punto di vista sociale e di classe.

Ma perché quest’ultimo aspetto è davvero così fondamentale e non è semplicemente un’inezia ideologica di noi anticapitalisti?
Non vi è modo nel capitalismo di liberare completamente da questo giogo le donne, se non quelle che fanno parte di classi più agiate e che si possono permettere il lusso di poter seguire le loro scelte, che siano quella di stare in famiglia, portare avanti una carriera o tutte e due, senza l’incombente peso della ricerca affannata della stabilità economica personale e familiare. Secondo le logiche capitalistiche la donna se dovrà farsi carico da sola del peso della maternità e dei costrutti sociali partirà sempre in svantaggio, non sfruttando la possibilità che si avrebbe oggigiorno di poter superare questi limiti che oramai dovrebbero far parte del passato. La situazione corrente si può evincere in tutto il suo essere radicata socialmente dal particolare periodo storico che stiamo vivendo.

Dalla disoccupazione causata dall’emergenza Covid-19 risalta un particolare dato: la maggior parte dei posti di lavoro persi è femminile. A dicembre 2020 l’occupazione femminile era calata di 1,4 punti percentuali fino al 48,6% e quella maschile solo di 0,4 scendendo a 67,5%. In totale, all’incirca il 55% dei post di lavoro persi totali appartenevano a delle donne.
Questo è dovuto anche alla generale instabilità dei posti di lavoro occupati dalle donne e anche dalle pesanti perdite concentratesi in determinati settori, ma in molti dei casi la rinuncia al lavoro tra è dovuta alla necessità di accudire i figli e seguire le faccende domestiche. Tutto ciò è stato ulteriormente aggravato sia dal telelavoro, che non divide più ambito familiare e lavorativo, sia dalla la chiusura di scuole ed altre attività che permettevano la cura esterna di figli e anziani.
Non a caso si osserva che il lavoro part time è più diffuso tra le donne: nella media OCSE il 25,5% delle donne hanno un impiego part time contro il 9,2% degli uomini e il part time involontario per le donne si aggira al 60% secondo l’ISTAT.

I tre motivi principali del lavoro in part time vi è, in ordine, l’impossibilità di trovare un impiego full time, la necessità di occuparsi di un familiare e la conclusione degli studi: secondo dati Eurostat nel primo e ultimo caso la maggioranza è maschile, mentre nel secondo va alle donne.
Se invece si vanno ad osservare i dati riguardanti le donne senza famiglia i divari di genere si attenuano e risulta chiaro come la maternità e la cura familiare siano ancora un pesante giogo per le donne ed uno scoglio che le limita nel poter portare avanti una carriera stabile e vedersi sottoposte a giusti ed eque condizioni di assunzione, non limitate dalla potenziale possibilità di un concepimento e formazione di una famiglia. Insomma, lo stigma della concezione che la donna debba occuparsi della casa siano ancora oggi un pesante fardello per le donne e la loro indipendenza nella nostra “civile” società occidentale.
Tutto ciò ha pesanti conseguenze sulla possibilità che una donna ha di emanciparsi e non dover dipendere da un familiare.

Infatti, come se non bastasse, il lockdown non ha solo peggiorato questo aspetto, ma ha anche reso più difficoltoso agire sulle violenze domestiche. Le conseguenze sulle associazioni di supporto per le vittime di violenza hanno lasciato a sé stesse le vittime di violenza domestica ad affrontare l’impossibilità, per mancata indipendenza economica o personale, di affrontare la propria situazione familiare in sicurezza e di potersene liberare, dovendo invece rimanere in trappola nella casa condivisa con i loro oppressori.
Certamente non sono solo le differenze di genere ad essere state peggiorate dalla crisi in corso, ma certamente tutte le criticità che stanno emergendo non possono che essere affrontate da una comune lotta.

Il femminismo facile da marketing e multinazionali suona molto antipatico in questa situazione profondamente polarizzata ed è chiaro che non si possa ottenere la liberazione di tutte le donne senza un intervento collettivo che vada oltre le logiche delle responsabilità esclusivamente personali e dell’ipotetica libertà di scelta fornitaci dei sistemi liberali. Per chi non chi non ha già il privilegio economico e sociale di non doversi trovare davanti la scelta angosciante tra garantire la cura della propria famiglia e cari dedicarsi ad uno sviluppo personale gratificante, il capitalismo non potrà garantire il superamento di questo ostacolo, di fatto creando un ulteriore ostacolo che smentisce la convinzione secondo cui tutti possono avere successo se solo si impegnano per davvero.
Si dimostra indispensabile una socializzazione del lavoro domestico ed una gestione democratica da parte delle donne di queste incombenze, riprendendo in mano la situazione e non affidandola alle dinamiche del mercato.
Non ci si può limitare al solo implementare misure per assistere dove necessario, ma si deve agire con l’obiettivo di emancipare le donne con le mani delle donne stesse.

La lotta per l’emancipazione femminile nella vita privata e pubblica non può che essere collegata indissolubilmente alla lotta di classe e contro l’alienazione della costante competizione individuale priva di qualsiasi visione collettiva della società e dei nostri obiettivi.
Per questo motivo possiamo dire che no, l’otto marzo non può semplicemente passare in sordina tra le mura delle nostre case: è proprio questa situazione di emergenza che ha esposto innegabilmente tante delle crepe di questo sistema, tra cui quella della situazione femminile, e che ha dimostrato che non possiamo rimandare oltre o moderare le nostre istanze.
Adesso è il momento di riprendere la tradizione di lotta rappresentata da questa giornata e lottare per non relegare la nostra idea ad una formalità e slogan.

 

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