- Introduzione
Dopo la Seconda guerra mondiale il nostro paese si trovava con una base industriale fortemente disorganizzata, un’economia dipendente dalle materie prime importate ma con un capitale fisso sostanzialmente intatto rispetto al periodo antecedente la guerra. Seguendo le analisi di Steve Wright contenute in L’assalto al cielo. Per una storia dell’operaismo, a rappresentare un ostacolo all’accumulazione di capitale erano sostanzialmente gli operai, principalmente nell’Italia Settentrionale, che avevano partecipato alla Resistenza e si aspettavano dal nuovo regime importanti concessioni. Questo compromesso era sempre meno gestibile da parte dei capitalisti italiani che per la ricostruzione del paese avevano bisogno di una nuova sottomissione del lavoro. In questo contesto il PCI di Togliatti non intendeva alimentare la lotta di classe perché era alla ricerca di un compromesso con le classi dominanti per accedere alle istituzioni, il campo d’azione decisivo per questo partito. Il PCI si sarebbe impegnato nella ricostruzione e nel rafforzamento della democrazia e a questo processo avrebbero preso parte anche i lavoratori. Nell’analisi dei comunisti la ricostruzione doveva basarsi essenzialmente sui bassi costi di produzione, alti salari e alta produttività del lavoro, in definitiva, quindi, sull’espansione della domanda effettiva dei lavoratori. L’obiettivo dell’aumento della produttività del lavoro era condiviso anche da avversari politici come i liberali. Per poter essere raggiunto era necessaria una riorganizzazione delle fabbriche di cui avrebbe pagato il conto soprattutto il livello organizzativo costruito dagli operai durante la Resistenza.
Wright sottolinea che questo non era un problema per la cultura politica del PCI forgiata all’interno del Comintern. Per Togliatti, infatti, l’organizzazione produttiva e le forme di produzione sono neutrali e di conseguenza non era un problema assecondare la restaurazione della forza della gestione manageriale delle imprese in nome della ricostruzione. La strategia di Togliatti arenò sull’espulsione dal governo De Gasperi che inaugurò una fase di sviluppo economico basata su bassi salari, bassi costi produttivi, alta produttività del lavoro, politiche deflazionistiche per controllare credito e salari e alta disoccupazione. L’economia era orientata verso le esportazioni per il mercato estero. A livello sindacale, invece, si assiste ad una serie di spaccature figlie della Guerra Fredda che portano alla nascita della CGIL.
I cambiamenti nell’organizzazione produttiva sono accompagnati da nuovi investimenti, uno scarto sempre maggiore tra produttività del lavoro e salari e la massiccia assunzione di lavoratori con poche esperienze lavorative e sindacali alle spalle. Inizialmente provenivano dall’Italia Settentrionale ma progressivamente furono rimpiazzati da meridionali attratti al Nord dalle nuove opportunità di lavoro. A queste trasformazioni non riesce a rispondere correttamente la CGIL che finisce per perdere il contatto con gli operai generici mentre preserva la sua forza soprattutto tra i lavoratori qualificati. La conseguenza di questo disorientamento è la sconfitta alla FIAT del 1955 con la CGIL che perde la maggioranza dei delegati sindacali nelle commissioni interne. Questa è la situazione dell’Italia all’alba degli anni ’60. A sinistra bisogna anche contare la svolta del 1956 con il processo di destalinizzazione dell’URSS che porta all’allontanamento di molti intellettuali dal PCI.
Per affrontare queste difficoltà un giovane dirigente del PSI, Raniero Panzieri, provò ad iniziare una seria indagine sul nesso tra classe e organizzazione ma si scontrerà con quello che all’epoca era uno dei partiti socialisti europei più filo-sovietici. Panzieri pensava di poter rinnovare il marxismo italiano superando l’equazione generale tra verità, classe e partito. I cosiddetti intellettuali organici non dovevano essere organici al partito ma, fuori dal controllo della sua direzione, dovevano impegnarsi nella restaurazione del marxismo come critica permanente che doveva procedere assieme al rinnovamento politico del movimento operaio.
La progressiva socialdemocratizzazione del PSI portò al suo allottamento che culminò nel suo trasferimento a Torino per lavorare alla casa editrice Einaudi. In questa nuova città entrò in contatto con marxisti di diversa origine, dal gruppo romano di Tronti ad Alquati, accomunati dalla critica al moderatismo della sinistra italiana causato dall’indifferenza per le trasformazioni della classe operaia indotte dalla crescita economica che aveva prodotto il “Miracolo italiano”. Con questa premessa nacque la rivista “Quaderni Rossi”.
Il gruppo trovò a Torino una CGIL aperta a nuove pratiche di impegno politico a seguito della sconfitta del ’55 e nella FIOM individuò lo strumento ideale per rinnovare il movimento operaio italiano. La motivazione va ricercata nella ripresa delle lotte operaie nel 1959 che si svilupperanno con maggior vigore l’anno successivo intorno al rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Nel 1959 gli operai avevano scioperato in tutto il Nord Italia e avevano utilizzato anche il blocco degli straordinari. Oltre alla lotta per il rinnovo del contratto ci furono importanti episodi di conflittualità operaia a livello della singola fabbrica dove vengono realizzati picchetti operai con delegati di tutti i sindacati. Nel 1960 ci furono gli scioperi nazionali di un giorno che porteranno alla spaccatura del fronte padronale perché costringerà alla firma del rinnovo le fabbriche di Stato. Anche senza ottenere grandi successi, questi eventi dimostrano una ritrovata combattività da parte degli operai italiani. A sostegno di ciò Wright fa notare il caso delle operaie tessili che hanno subito un forte processo di ammodernamento. La loro lotta si è sviluppata attraverso scioperi improvvisi per turni o ore chiamati a scacchiera.
Il culmine di questa fase di ritrovata conflittualità si avrà nell’estate del 1960 quando le manifestazioni per impedire il congresso a Genova del MSI porteranno alla caduta del governo Tambroni che aveva l’appoggio esterno dei fascisti. Ad essere protagonisti di questi scontri sono operai che non avevano mai vissuto per ragioni anagrafiche direttamente l’esperienza del fascismo o della Resistenza ma finirono per identificare il fascismo come la forma più pura del dominio di classe che si manifesta nelle fabbriche e nel loro lavoro pesante e sottopagato.
Il gruppo, inoltre, registra come gli scontri più duri tra il 1959 e il 1960 si siano verificati nelle imprese tecnologicamente più avanzate. Questo li spinse ad indagare la relazione tra queste trasformazioni e il comportamento di classe con l’obiettivo di sviluppare una coerente strategia politica.
2. Panzieri nel primo numero dei Quaderni Rossi
Nella seconda metà del 1961 esce il primo numero dei Quaderni Rossi dove Panzieri interviene con saggi molto importanti: Sull’uso capitalistico delle macchine e Plusvalore e pianificazione. Appunti di lettura del Capitale.
Nel primo saggio Panzieri supera una concezione positiva del progresso tecnico caratteristica del movimento operaio classico. L’autore analizza lo sviluppo della produzione capitalistica come sviluppo della divisione del lavoro e al suo interno avviene lo sviluppo tecnologico. Il luogo privilegiato per analizzare questi processi è la fabbrica dove lo sviluppo della tecnologia promosso dal capitale distrugge la vecchia divisione del lavoro mentre la ricrea e consolida per rendere l’operaio ancora più dipendente dal capitale.
Come sosteneva Marx, alla base dell’industria manifatturiera c’è l’artigianato che rappresenta ancora un limite imposto al dominio del capitale. L’incorporazione della tecnologia nel modo di produzione capitalistico supera questo ostacolo creando una forza lavoro più facilmente riproducibile. L’uso capitalistico della macchina determina lo sviluppo tecnologico e di conseguenza non si tratta semplicemente di un suo distorto, come sostenevano i marxisti ortodossi. La macchina, inoltre, si manifesta davanti agli operai singoli come lo sviluppo del capitalismo. Ogni suo avanzamento coincide con un aumento dell’autorità del padrone e la necessità di un suo controllo assoluto. Panzieri sostiene, infatti, che parallelamente si sviluppa la programmazione capitalista mentre da parte operaia cresce la cooperazione e la connessione tra i lavori. Questo piano, richiamandosi a Marx, è una caricatura della regolazione sociale del processo lavorativo.
Con questo saggio Panzieri entra in polemica con le letture “oggettivistiche” dello sviluppo capitalistico della tecnologia che provano ad individuare il fattore occulto che possa portare ad un automatismo nella mutazione dei rapporti di produzione. Infatti lo sviluppo delle basi tecniche del capitalismo finiscono per rafforzare e consolidare il suo potere. Questo, ovviamente, non impedisce il sovvertimento dei rapporti di produzione ma ciò dipenderà dalla forza dell’insubordinazione operaia. Wright sostiene che non viene colto da tanti sindacalisti il modo in cui queste riorganizzazioni rendevano più forte il lavoratore collettivo. La rigidità di queste nuove modalità di produzione industriale rafforzavano la minaccia della non-cooperazione dei lavoratori, come testimoniato dalla lotta delle operaie tessili.
Non possedere una visione critica della tecnologia porta, invece, a scambiare queste trasformazioni introdotte dal capitale per un’inevitabile e doloroso passaggio all’interno di un oggettivo sviluppo razionale. Non veniva tenuto in considerazione il ruolo giocato dall’organizzazione capitalistica e dal suo potere. L’orizzonte di tutte queste scelte non è il consolidamento di una determinata organizzazione autoritaria della fabbrica ma una maggiore libertà dell’uomo dai limiti fisici e ambientali. E ancora, lo sviluppo di tecniche e funzioni legate al management non viene legato all’aumento del potere capitalistico ma è solamente la base che permette la nascita di nuove categorie di lavoratori intellettuali. La conseguenza di tutto ciò è che il contrasto tra rapporti di produzione e forze produttive diventa un problema di non corrispondenza tecnica, ovvero l’obbligo di non scegliere la combinazione ottimale dei fattori produttivi. Questo produce mancanze nell’analisi della lotta di classe. Infatti nello stesso periodo vengono avanzate delle richieste di potere gestionale sostenute da una ricomposizione unitaria di lavoratori posti in diversi ambiti della produzione. Il loro obiettivo era la rottura con la razionalità del processo produttivo moderno per crearne uno alternativo, con una diversa razionalità rispetto a quella del capitalismo.
In Plusvalore e pianificazione Panzieri parte dalle polemiche di Lenin con i populisti russi sul capitalismo in Russia per analizzare il piano nell’economia capitalista. Lenin sosteneva che il capitalismo potesse esistere anche in paesi con un livello tecnico molto basso e attacca la lettura sottoconsumista della crisi dei populisti, cioè una crisi prodotta da un mancato consumo. Le crisi, sostiene il leader bolscevico, sono figlie della contraddizione tra carattere sociale della produzione e modi privati di appropriazione. Lenin arriva a questa conclusione studiando lo schema dell’accumulazione del Capitale di Marx. Tuttavia per Panzieri la sua analisi dei processi di socializzazione prodotti dallo sviluppo capitalistico è unilaterale e limitata perché individua il suo carattere antagonista nel rapporto tra socializzazione della produzione e anarchia nella circolazione che andava risolto con un’economia pianificata.
“Ovviamente Lenin non ignora gli effetti dell’uso capitalistico delle macchine sulle condizioni della classe operaia, ma egli non vede come le leggi di sviluppo del capitalismo (plus-valore relativo, massimizzazione del profitto) che, all’epoca della concorrenza, fanno del capitale individuale la molla dello sviluppo del capitale totale sociale, si manifestino, nella sfera della produzione diretta, al livello di fabbrica, come pianificazione capitalistica. Nell’analisi di Lenin sulla fabbrica è assente il concetto marxiano dell’appropriazione capitalistica della scienza e della tecnica, che è la base per lo sviluppo del piano dispotico del capitale. Per Lenin lo sviluppo delle forze produttive, forma specifica di sviluppo della grande industria capitalistica, conserva il suo segreto: la pianificazione capitalistica non compare come forma fondamentale nella produzione diretta e la socializzazione del lavoro è vista come deformata dall’impronta capitalistica soltanto per aspetti esterni ( ‘economici’) alla pianificazione stessa. Tecnologia capitalistica e piano capitalistico restano interamente fuori del rapporto sociale che li domina e li plasma. L’anarchia è la caratteristica specifica del capitalismo, l’espressione essenziale della legge del plusvalore; ed è essa che ne decide il destino storico. L’incompatibilità è assoluta tra l’integrazione del processo lavorativo sociale e il fatto che ogni singolo ramo di produzione è diretto da un singolo capitalista e gli dà i prodotti sociali a titolo di proprietà privata. L’ipotesi di una « unione di processi di lavoro di tutti i capitalisti in un unico processo di lavoro » è esplicitamente scartata da Lenin come assurda perché incompatibile con la proprietà privata”1.
Lenin poggia le sue analisi su una lettura del Capitale dove vengono contrapposti il dispotismo della fabbrica con il suo piano e l’analisi generale. In questo quadro trova espressione la forma generale della legge del valore. Il rischio è avere uno schema utile solo per l’analisi del capitalismo concorrenziale con il suo ultimo stadio putrescente chiamato capitalismo monopolistico-oligopolistico. Per Panzieri il lavoro di Marx non è così chiuso e ci sono delle tendenze storiche che fanno prevedere il superamento della concorrenza, per esempio il capitale azionario. Infatti si tratta di uno stadio dell’accumulazione oltre la concorrenza che coesiste con essa senza alcuna conciliazione.
Il capitale azionario non è un intreccio casuale dei singoli capitali ma una forma del capitale sociale totale. Marx somma a questo studio quello dei processi di centralizzazione con cui “i rapporti tra la sfera della produzione diretta e la sfera della circolazione diventano dunque molto più stretti di quanto non apparisse attraverso l’analisi del rapporto tra produzione diretta e concorrenza. Appare qui un tipo di legame che non è quello stabilito nella struttura logica generale del Capitale, e che, in effetti, relega non poche delle ‘leggi’ in una fase storica determinata dello sviluppo capitalistico”2.
Panzieri, seguendo Wright, con questa analisi del Capitale voleva dimostrare la possibilità di una piena conciliazione tra piano ed economia capitalista ma ha dimostrato anche come Marx non sempre seppe distinguere elementi particolari della fase del capitalismo analizzata e tendenze generali. Nella fase che analizza Panzieri la pianificazione diventa l’espressione fondamentale della legge del plusvalore che dalla fabbrica si espande verso la società. La pianificazione del lavoro vivo risponde alle esigenze della crescita del capitale costante e della programmazione produttiva e la partecipazione operaia a questo piano del capitale è un pericoloso fattore di integrazione e alienazione. La risposta delle lotte operaie è il rovesciamento del piano che per quanto riguarda il rapporto con la tecnologia significa comprenderla per piegarla ad un uso socialista delle macchine.
3. La schiavitù politica
Panzieri afferma che il progresso tecnico del capitalismo genera per Marx un aumento del salario reale e nominale. Il risultato è un aumento dell’abisso sociale tra operaio e capitale mentre aumenta il suo potere perché rende il lavoro più dipendente da esso. Quindi il miglioramento materiale genera un peggioramento della situazione sociale dell’operaio che per lottare per il superamento socialista del capitalismo deve rendersi conto di questa dipendenza politica. Tale processo, con tutta la sua forza eversiva, si manifesta nei punti di sviluppo del capitalismo dove il rapporto tra capitale costante e lavoro vivo favorisce il primo e la razionalità incorporata rende più facile la comprensione della propria schiavitù politica. Le lotte operaie analizzate dal gruppo di Panzieri sono caratterizzate dalla richiesta di gestione che si traduce in lotta contro il dispotismo del capitale sulla società. In questo modo può reinterpretare la questione del controllo operaio come elemento di accelerazione della lotta di classe che aumenta la pressione sul potere capitalistico favorendo una situazione di dualismo di potere in vista della conquista del potere politico.
1 Reply to “Raniero Panzieri: analizzare le trasformazioni del capitalismo con Marx e nei suoi limiti”