Scuola: sindrome di Fantozzi o di Tafazzi?

L’istituzione, per legge, di un regime di elargizione selettiva e discriminatoria di un bonus di risorse aggiuntive, che si suppone improntato a criteri di «equità meritocratica» (mi riferisco al cosiddetto «bonus merito» introdotto dalla legge n. 107 del 2015), nella scuola, ovvero nel settore dell’istruzione e della formazione delle giovani generazioni, laddove occorrono, invece, uno spirito di partecipazione e di solidarietà costruttiva ed espansiva, un modello di democrazia collegiale, aperta a tutte le componenti operanti nel campo scolastico, ed una forma di autogestione diretta e cooperativa di tipo comunitario, temo che abbia innescato un complesso di dinamiche e di conseguenze deleterie, che hanno sortito risultati laceranti per il fragile corpo delle istituzioni scolastico-educative.

È un meccanismo perverso, che ha incentivato il ricorso a pratiche di clientelismo e di affarismo senza freni, legittimando ed incoraggiando fino alle conseguenze più estreme atteggiamenti disdicevoli: servilismo, avidità, arrivismo, opportunismo, corruzione, nepotismo ed individualismo, già insiti in forma latente nel contesto di numerose scuole. Ciò ha esaltato l’arroganza e l’arbitrio di troppi dirigenti scolastici e dei loro scagnozzi. È prevalsa la peggiore competizione di natura egoistica e mercantilistica, bensì tendente al ribasso. Faccio notare che il clientelismo era già presente nel mondo della scuola, sia pur in termini circoscritti o marginali. Si assisteva già da tempo ad uno squallido mercato delle vacche. E, per l’esattezza, dal 1998, cioè da quando furono introdotti i «fondi incentivanti» che si sono moltiplicati a dismisura, come i pani ed i pesci (anzi, i PON ed i pesci). I presidi elargiscono tali fondi ai servi più «devoti» e ai leccapiedi.

La nostra è una categoria formata in gran parte da gente servile e conformista: ho assistito a litigi per quattro spiccioli, fino a (s)vendersi il deretano per una miserabile mancia. Per cui figuriamoci ciò che è accaduto dopo l’introduzione di meccanismi premiali (il bonus merito) affidati alla discrezione arbitraria di sedicenti «presidi-manager». In verità, non ho ancora capito se siamo affetti da quella che io definisco come la sindrome di Fantozzi, o dalla sindrome di Tafazzi. In molti si dimostrano docili e remissivi per una sorta di quieto vivere, per un’assenza di coesione, di solidarietà corporativa, per mancanza di grinta e di combattività caratteriale. Altri, invece, si rivelano conniventi e complici dell’ordine costituito, per un interesse o tornaconto personale, come accade in altri ambienti di lavoro. Alcuni mi sembrano addirittura vittime in preda ad una sorta di sindrome autolesionista. Alla stregua, appunto, del celebre personaggio Tafazzi, interpretato dal comico Giacomo Poretti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, la cui caratteristica, oramai proverbiale, è il masochismo.

— Compagno Lucio

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