All’inizio del suo progetto (Grundrisse, 1857) Marx comincia l’elaborazione della sua teoria con la produzione in generale. Quest’ultimo termine traduce il tedesco allgemeines, ed è una categoria derivata dalla hegeliana logica del concetto, al pari di besonderes, particolare, e einzales, singolare.
L’oggetto in questione è innanzitutto la produzione materiale. Individui che producono in società, e quindi produzione socialmente determinata degli individui, costituiscono naturalmente il punto d’avvio. Il cacciatore e pescatore singolo e isolato con cui cominciano Smith e Ricardo rientrano nelle fantasie prive di immaginazione delle robinsonate del XVIII secolo
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Più ci addentriamo a ritroso nella storia e più l’individuo, e quindi anche l’individuo che produce, ci appare non autonomo, ma come parte di una totalità più vasta: dapprima ancora in modo del tutto naturale, nella famiglia e nella famiglia allargata a tribù; più tardi nella comunità, sorta dal contrasto e dalla fusione delle tribù, nelle sue diverse forme. Solo nel XVIII secolo, nella «società civile», le differenti forme dei nessi sociali si presentano al singolo come un puro mezzo per i suoi fini privati, come una necessità esteriore. Ma l’epoca che crea questo modo di vedere, il modo di vedere del singolo isolato, è proprio quella dei rapporti sociali (generali, per questo modo di vedere) finora più sviluppati. L’uomo è nel senso più letterale del termine uno ζῶον πολιτιϰόν, non solo un animale sociale, ma un animale che può isolarsi solo nella società. La produzione dell’individuo isolato all’esterno della società – una rarità, un fatto che può effettivamente accadere a un individuo civilizzato che il caso ha condotto in un luogo selvaggio, a un individuo che in sé possiede già dinamicamente le forze sociali – è una assurdità pari al formarsi di una lingua che senza esistano individui che vivano e parlino insieme.
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Quando dunque si parla di produzione, si parla sempre di produzione ad un determinato livello dello sviluppo sociale – della produzione di individui sociali. Potrebbe dunque sembrare che, per parlare in generale di produzione, si debba seguire il processo di sviluppo storico nelle sue differenti fasi, oppure dichiarare sin da principio che si ha a che fare con una determinata epoca storica, quindi ad esempio con la moderna produzione borghese, la quale in effetti è il nostro tema reale. Ma tutte le epoche della produzione hanno taluni caratteri comuni, talune determinazioni comuni. La produzione in generale è sì un’astrazione, ma un’astrazione sensata, in quanto mette effettivamente in luce e fissa l’elemento comune, risparmiandoci quindi la ripetizione. Nondimeno questo generale, ossia l’elemento comune selezionato attraverso il confronto, è esso stesso qualcosa di molteplicemente articolato, che diverge in differenti determinazioni. Qualcosa di esso appartiene a tutte le epoche; un’altra parte è comune solo ad alcune. [Talune] determinazioni saranno comuni all’epoca più moderna e a quella più antica. Senza di esse non si potrà concepire alcuna produzione; ma come le lingue più sviluppate hanno in comune leggi e determinazioni con le meno sviluppate, e proprio ciò che costituisce il loro sviluppo le differenzia dal carattere più generale e comune; così le determinazioni che vigono per la produzione in generale debbono venir separate proprio perché al di là dell’unità – la quale risulta già dal fatto che il soggetto, l’umanità, e l’oggetto, la natura, sono i medesimi – non si dimentichi la differenza essenziale. In questa dimenticanza risiede ad esempio tutta la saggezza degli economisti moderni, che dimostrano l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti.
Marx K., Introduzione ai Lineamenti fondamentali della Critica dell’Economia Politica, in Opere Complete Vol. 29. Scritti Economici 1857-1858, pp. 17-18-19 Editori Riuniti, Roma, 1986
Nel Capitale invece (1867), egli parte direttamente dall’esposizione della merce e accennerà a temi della produzione in generale solo nel Capitolo V. Come mai questo cambiamento? Ce lo dice Marx stesso, nella prefazione a Per la Critica dell’Economia Politica (1859):
Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che voglia comunque seguirmi dovrà decidersi a salire dal singolare al generale.
Marx K., Per la Critica dell’Economia Politica, in Opere Complete Vol. 30. Scritti Economici 1858-1859, p. 297, Editori Riuniti, Roma, 1986
Perché avrebbe questo carattere di anticipazione? Perché la produzione in generale è costituita da categorie che:
- fissano in maniera astratta momenti di un processo reale, reale perché si svolge in forme concrete e specifiche; in quanto gli elementi caratterizzanti del processo sono andati perduti nella fissazione astratta, la validità delle categorie generali è dimostrata solo nello sviluppo effettivo del processo (e non il contrario: non si può tornare dalle categorie generali alle forme specifiche)
- mostrano i presupposti ontologici fondamentali su cui si basa la teoria del modo di produzione, dove il primo di questi è che esistono gli esseri umani con una loro realtà biologica come substrato insopprimibile della loro realtà sociale; è necessario però fare una distinzione: si é parlato degli esseri umani, non dell’Essere Umano, che è un’astrazione esplicativa designante la qualità specifica che differenzia gli esseri umani da altri enti biologici e che quindi non esiste in quanto tale
Ad 1. corrisponde il motivo per cui Marx non ha iniziato la sua teoria con la produzione in generale (ed anche il modo in cui Marx evita le accuse di antropologismo/essenzialismo); a 2. corrisponde il motivo per cui qui invece la si tratta prima dell’esposizione della teoria del modo di produzione capitalistico.
Detto ciò, cos’é che nella teoria marxiana permette di parlare di essere umano, distinguendolo da altri esseri naturali? L’essere momento determinante del processo lavorativo, che non va confuso né con il lavoro in quanto tale né con la forza-lavoro. Il processo lavorativo, è infatti un intero caratterizzato da attività lavorativa, mezzo di lavoro, oggetto di lavoro e finalità, quest’ultima ulteriormente articolabile in posizione di scopo, conformità a scopo e direzionalità a scopo. Diversamente, il lavoro è un rapporto “naturale” di ricambio organico dell’essere umano con la natura e nella natura, che non esiste in quanto tale, ma solo all’interno del processo lavorativo come attività della capacità lavorativa. La forza-lavoro è invece una merce, più precisamente la forma specifica che la capacità lavorativa assume nel modo di produzione capitalistico.
Il processo lavorativo in generale pone in dis/continuità (continuità assieme alla discontinuità) ontologica “essere umano” e “natura” e dà inizio alla forma umana di storia, la quale, anche se continua a dipendere dalla natura, se ne distingue perché genera forme specifiche che non hanno eguali nel regno naturale. Ogni singolo processo lavorativo è invece una forma particolare dell’astratto universale “lavoro” che esiste solo all’interno di una forma sociale determinata. Il processo lavorativo come tale è quindi il contenuto materiale comune ad ogni forma sociale della (ri)produzione, e il suo risultato è l’effetto utile, il prodotto. La modalità specifica con cui gli elementi del processo lavorativo si uniscono e in cui questo può realizzarsi effettivamente determina il carattere dei diversi rapporti di produzione, e alle modalità particolari in cui viene realizzata questa unione distinguono le varie epoche della storia umana. Anche queste modalità non possono essere determinate a priori.
Ora, il processo lavorativo ha posto la possibilità della pluralità nella sua definizione essenziale, in quanto è realizzato dall’individuo astratto, cioè dall’universale degli esistenti molti individui che interagiscono fra loro. Da qui, noi abbiamo il processo di produzione, ossia la (ri)produzione nella natura di un corpo sociale di individui. Continuano a mancare però le forme determinate di questa interazione “lavorale”, perciò qui il corpo collettivo soggetto della riproduzione sociale (e non, come il singolo individuo astratto, del solo processo lavorativo) è capace di forme infinite.
Si comprende così la famosa questione della dialettica fra forze produttive e rapporti di produzione, considerate spesso ed erroneamente dalla tradizione marxista come giustapposte:
- Le forze produttive sono il lavoro, i mezzi di produzione, gli oggetti di produzione, la posizione-di/conformità-a/direzionalità-a scopo di diversi individui (portatrici materiali dei rapporti di produzione)
- I rapporti di produzione sono le modalità specifiche di unione delle forze produttive (forme di esistenza delle forze produttive)
La questione della produzione in generale fa emergere pertanto un principio metodico fondamentale di Marx: l’analisi delle forme specifiche permette di rimandare a delle astrazioni generali, così da individuare l’universale nel particolare. Il sinolo di forma e contenuto, universale e particolare (cioè il singolare), ossia la categoria fondamentale dei diversi modelli concreti di modo di produzione, va costruito in modo da garantire che abbia in sé non solo la presenza dell’universale nel particolare, ma anche le modalità di universalizzazione di quel particolare come forma di quell’universale. La scommessa di Marx è che questa categoria fondamentale, per quanto riguarda il modo di produzione capitalistico, sia la merce.
Bibliografia
- Bellofiore R. e Riva T. – La Neue Marx Lektüre (INGLESE)
- Fineschi R., Ripartire da Marx, La Città del Sole, Napoli, 2001
- Fineschi R., Marx e Hegel, Carocci, Roma, 2006
- Fineschi R., Un Nuovo Marx, Carocci, Roma, 2008
- Fineschi R. – Ripartire da Marx (Ciclo di Video per Noi Restiamo)
- Marx K., Opere Complete Vol. 29. Scritti Economici 1857-1858, Editori Riuniti, Roma, 1986
- Marx K., Opere Complete Vol. 30. Scritti Economici 1858-1859, Editori Riuniti, Roma, 1986
- Marx K., Il Capitale, UTET, Torino, 2017
- Musto M., Karl Marx. Biografia Intellettuale e Politica 1857-1883, Einaudi, Torino, 2018
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