Spettacolarizzazione del dolore

— Elisa

Qualche giorno fa è stato diffuso da pressoché ogni testata italiana il video della strage della funivia Stresa-Mottarone. La tragedia ha provocato la morte di ben 14 persone, ma, evidentemente, qualcuno ha ben pensato di poter sfruttare facili e certe visualizzazioni. Addirittura la Stampa ha tentato di giustificarsi argomentando la presunta rilevanza giornalistica e processuale del video. Sui social si è effettivamente levato un coro di contestazioni a questa pornografia del dolore, alla quale siamo, purtroppo, avvezzi da almeno quarant’anni. Basti pensare, in tal senso, alla vicenda del piccolo Alfredo Rampi, del quale quest’anno ricorre il quarantesimo anno dalla tragica morte. La storia di Alfredino Rampi è probabilmente una delle più terribili che si possano mai udire. La Rai pensò di riprendere in un’estenuante diretta di 13 ore i tentativi, purtroppo vani, di salvataggio. La diretta tenne inchiodati davanti agli schermi gli italiani, speranzosi che il piccolo potesse uscire vivo dal pozzo artesiano. Questa era, con ogni probabilità, anche la speranza della Rai, che intendeva riprendere una storia che avrebbe dovuto concludersi lietamente. Così non è stato, e oggi, a distanza di quarant’anni, dovremmo chiederci quali siano gli effetti culturali prodotti da questa pornografia e spettacolarizzazione del dolore.

Dinnanzi alla presunta libertà di cui il giornalismo deve godere, forse tutti noi dovremmo chiederci se questa possa generare degli effetti negativi sulla società. Siamo veramente certi che questa sia la libertà alla quale auspichiamo?

 

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