Tra qualche giorno a Milano una pericolosa associazione culturale liberale terrà una manifestazione in solidarietà con i manifestanti di Hong Kong. Mai occasione è stata più propizia per smascherare l’ipocrisia che nasconde ogni singolo discorso sulla libertà promosso dai liberali. Il plusvalore per loro non esiste, il salario minimo è razzista, la società non esiste. Sraffa, Mauss e Marx neanche sanno chi siano. Ci sarà sicuramente l’occasione per criticare come si deve la loro concezione borghese del mondo.
Questo breve saggio è dedicato all’ipocrisia con cui questi liberali trattano le proteste di Hong Kong.
La Cina, grazie alla guida del Partito Comunista Cinese, è stata non solo capace di sconfiggere le potenze imperialiste e la borghesia compradora (買辦 – Mǎibàn) ma anche di portare fuori dalla povertà 800 milioni di persone in quarant’anni, gettando le basi della prosperità attuale proprio con la rivoluzione cinese guidata da Mao, in un processo sicuramente non privo di contraddizioni di cui abbiamo già parlato in occasione dei 70 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese.
Tuttavia questo processo di riscatto dal secolo delle umiliazioni è ancora incompiuto, Hong Kong e Macao mantengono ancora il proprio sistema, assieme alla provincia ribelle di Taiwan. Il governo cinese mantiene ancora in piedi la politica «Una Cina due sistemi», tenendo fede al pragmatismo di Deng Xiaoping che solamente un paese che si pensa come civiltà poteva elaborare.
Hong Kong, il «porto profumato», è stato strappato alla Cina con l’oppio ed i cannoni dagli inglesi.
I nostri liberali lo dimenticano o per ignoranza o per malafede, allora tocca a noi comunisti metterli davanti ai fatti, ricordando l’inferno di sangue e sfruttamento che le democrazie liberali hanno creato in ogni angolo del mondo. Pensiamo ad esempio a quanto scrisse il politico cinese Lin Zexu in una lettera inviata a sua maestà, la Regina Vittoria, nel 1839:
“Mi è stato detto che avete severamente proibito l’oppio nel vostro paese, e ciò indica senza dubbio la vostra consapevolezza di quanto dannoso esso sia. Voi non volete che l’oppio arrechi danno al vostro paese ma scegliete di portare un simile danno ad altri paesi come la Cina? Perché?”
Le autorità britanniche decisero di non collaborare con il governo cinese per smantellare il traffico di oppio nel paese, bensì reagirono con la Guerra dell’Oppio. La democratica e liberale Inghilterra si arrogò il diritto di scegliere quali leggi applicare non solo sul proprio territorio ma anche in quello altrui, dando il via al secolo delle umiliazioni nel nome della libertà, intesa ovviamente solo in termini economicisti come libertà di commerciare, di sviluppare lo scambio ineguale con le periferie dell’economia-mondo e con esso il rapporto di dipendenza con il centro di tale sistema. Non solo, gli inglesi per un secolo presero possesso del porto profumato, governandolo con il pugno di ferro, per esempio massacrando gli operai licenziati e in sciopero nel 1967 mentre nel resto del paese si stava raggiungendo il culmine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria con la Comune di Shanghai che ridefinirà il concetto stesso di dittatura proletaria, sull’esempio dei Soviet e della Comune di Parigi.
Il 1º ottobre del 1949 il Presidente Mao dirà:
“la nostra non sarà più una nazione soggetta all’insulto e all’umiliazione. Ci siamo alzati in piedi. L’era nella quale il popolo cinese era considerato incivile è ora terminata.”
In quel frangente Mao prende il testimone sia della rivoluzione di Sun Yat Sen del 1911 che della Rivoluzione d’Ottobre, nel segno del riscatto del popolo cinese ma con esso di tutti i popoli oppressi dall’imperialismo. Per questo, come affermerà Samir Amin, la rivoluzione cinese, assieme a quella bolscevica e francese, è una delle tre più importanti rivoluzioni della storia dell’umanità. Il 1949 segnerà l’avvio della rivolta del Terzo Mondo perché dimostrò che un popolo oppresso può sfidare e sconfiggere l’imperialismo.
Il popolo vietnamita che a calci scaccia dalla propria patria giapponesi, francesi e yankee dimostra anche per altri e altrettanto importanti casi l’importanza dell’insegnamento della rivoluzione cinese per i popoli oppressi del Terzo Mondo, dove fino a pochi decenni prima gli occidentali hanno espresso il massimo grado della propria crudeltà.
Ricordiamolo ai nostri liberali con i fatti la crudeltà con cui il loro idolo Churchill sguinzagliava i propri macellai per reprimere la rivolta dei Mau Mau in Kenya, l’invenzione inglese dei campi di concentramento in Sudafrica durante le guerre contro i boeri, la crudeltà descritta da Fanon dei francesi durante la Guerra d’Algeria, il regime di apartheid instaurato in Zimbabwe e Sudafrica, i milioni di filippini massacrati dagli yankee perché osarono ribellarsi al proprio dominio, o la fame portata dagli inglesi in India.
Tutti elementi, tra i tanti, presenti nell’armadio di ossa dei liberali di tutto il mondo e l’elenco sarebbe lungo, sul tema il compagno Losurdo ha scritto molto.
La mostruosità del colonialismo occidentale è stata portata anche in Europa, è bene ricordarlo, sotto le insegne della croce uncinata del nazismo che ha avuto nelle democrazie liberali i migliori maestri. Basterebbe chiederlo ai popoli della vecchia Unione Sovietica oggi messi sullo stesso piano del proprio carnefice nonostante lo sforzo disumano con cui hanno contribuito alla liberazione dell’Europa dal nazifascismo.
Oggi ci tocca vedere questi liberali urlare alla libertà difendendo uno degli ultimi retaggi del colonialismo occidentale in Cina. Hong Kong si rivolta per i fallimenti del proprio sistema che ha potuto prosperare proprio quando nel 1978 Deng Xiaoping avviò le Quattro Modernizzazioni, potendo svolgere il proprio ruolo di intermediazione, da bravi compradori, tra l’Occidente e il resto del paese.
Oggi che sotto la guida di Xi Jinping la Cina marcia verso un sistema diverso, centrato sul mercato interno, il plusvalore relativo e l’incremento della classe media, vera base di consenso della forma di produzione in esame, Hong Kong diventerà sempre più marginale. I giovani del «porto profumato» dovrebbero incolpare di ciò la borghesia compradora locale, non il governo di Pechino. Le parole d’ordine con cui si stanno mobilitando sono soltanto la richiesta di ossigeno da parte di questa escrescenza che si è legata mani e piedi ad una forma periferica di capitalismo che sta per essere travolta dall’ascesa della Cina come nazione guida del prossimo ciclo di accumulazione, insomma, «bastonare il cane che affoga».
Come afferma Pino Arlacchi:
“La corruzione mediatica ha di recente preso di mira la Cina, attraverso la disinformazione sulle proteste che avvengono a Hong Kong in queste settimane presentate come manifestazioni di difesa delle libertà politiche dei cittadini da un trattato di estradizione che consentirebbe alla Cina di prelevare da Hong Kong i dissidenti per imprigionarli nella madrepatria. Non una parola viene sprecata per ricordare:
A) che Hong Kong fa parte della Cina, ed è una regione a statuto speciale tornata a far parte della Cina stessa dal 1997 dopo essere stata per oltre un secolo colonia inglese in conseguenza delle guerre vinte dalla Gran Bretagna nell’Ottocento in nome della libertà di vendere l’oppio ai milioni di tossicodipendenti cinesi;
B) che la Cina ha rispettato le istituzioni democratiche introdotte a Hong Kong dagli inglesi all’ultimo minuto prima della loro dipartita;
C) che la maggioranza degli elettori della città sono pro-Cina e che i partiti anticinesi continuano a perdere consensi;
D) che il trattato riguarda i reati comuni sopra i 7 anni di carcere (omicidi, rapine, stupri, etc.) puniti in entrambi i sistemi. Ed esclude quindi qualunque possibilità di uso politico;
E) che la Cina lamenta il fatto che Hong Kong ha firmato solo 20 trattati di estradizione con paesi esteri ed è diventata perciò un ricettacolo della delinquenza cinese ed internazionale di ogni risma: dagli assassini di alto bordo ai contrabbandieri, dai politici corrotti ai mega-truffatori finanziari che risiedono sul posto imboscando il loro malloppo (Hong Kong è ancora uno dei massimi paradisi fiscali). A proposito di quest’ultimo punto, è stato a Hong Kong che, da vicepresidente della Commissione Antimafia, il sottoscritto ha trovato le tracce, nel 1995, di qualche soldino depositato per conto di Bettino Craxi;
F) che il vero problema che sta alla base del disagio degli abitanti di Hong Kong è il suo declino come centro finanziario rispetto alla crescita impetuosa della madrepatria e della zona confinante di Shenzhen dopo il 1997. Crescita dovuta allo sviluppo di una vasta industria manifatturiera che sta agli antipodi della finanza semi-criminale di Hong Kong. Scavalcata ampiamente, tra l’altro, nella sua componente legale, dalle Borse di Shanghai e Guangzhou.”
Ora vorrei vedere se questi autoproclamati difensori della libertà, titolo che va molto di moda, avranno il coraggio di schierarsi in difesa dell’eroico popolo curdo minacciato da Erdogan, spalleggiato in questo sia dagli USA e che dall’UE.
— Collettivo “Le Gauche”
1 Reply to “Hong Kong e dintorni. La confusione liberale per troppe ossa nel proprio armadio”