Intervista al professor Boris Kagarlitsky

Boris Kagarlitsky è nato a Mosca nel 1958. Sociologo, fine analista dei problemi della globalizzazione, dissidente di sinistra ai tempi dell’URSS ed oggi.
Autore di numerosi libri, è stato deputato al Soviet di Mosca fino al 1993. Membro dell’esecutivo del Partito Socialista russo, cofondatore del Partito del Lavoro e consigliere della Federazione dei sindacati indipendenti di Russia. Formatosi all’Istituto per Studi Politici Comparati dell’Accademia delle Scienze Russa, attualmente è direttore dell’Istituto di Studi sulla Globalizzazione.
Tra il 1978 e il 1982 scrive sul giornale-samizdat di sinistra Levyj Povorot. Nel 1982 viene arrestato per attività antisovietiche e rilasciato l’anno successivo. Nel 1988 pubblica The Thinking Reed: Intellectuals and the Soviet State From 1917 to the Present, in cui analizza la storia dell’evoluzione e della sopravvivenza dell’intellighenzia russa sotto il cosiddetto socialismo reale, libro che gli consentirà di vincere il prestigioso Deutscher Memorial Prize.
Nel 1993, dopo il golpe di El’cin, viene arrestato per attività comuniste in un periodo in cui era membro del Soviet della città di Mosca. Quegli eventi traumatici per il suo paese sono raccontati in Square Wheels: How Russian Democracy Got Derailed.
Altri lavori degni di nota sono:

The Dialectic of Change, pubblicato nel 1989 nel pieno del collasso del campo socialista in Europa Orientale in cui critica il riformismo di Gorbačëv. Evidenzia la sua fedeltà alla causa del comunismo mentre altri dissidenti di sinistra del socialismo reale si spostavano a destra o verso i Verdi, basti vedere i casi di Jacek Kuron in Polonia, Rudolf Bahro nella DDR o Miklos Haraszti in Ungheria.

The Mirage of Modernization, libro iniziato nel 1984 e pubblicato nel 1995 dove critica la resa dei comunisti e della sinistra al neoliberismo e al postmoderno.

Empire of the Periphery: Russia and the World System, libro del 2008 in cui analizza la Russia di Putin.

Critico feroce della classe dirigente russa, da Putin a Zjuganov, in italiano è disponibile solo il libro “Dove va la Russia” pubblicato dalla Di Renzo Editore nel 2004. Alcune sue interviste sono state pubblicate nel corso degli anni da “Il Manifesto”.

1. Le rivolte popolari sorte negli ultimi due anni si definiscono in un quadro di graduale collasso del sistema capitalista, e sono movimenti che soffrono di una quasi totale assenza di organizzazione politica, inclusi i partiti socialisti e comunisti. Come ritiene sia possibile convogliare la forza delle grandissime masse scese in piazza in Ecuador, Cile, Haiti, Libano, Iraq in un processo di superamento socialista del capitalismo?

C’è un detto spesso ripetuto che afferma che la storia non insegni a nessuno. Dal mio punto di vista la storia ci dà delle lezioni sufficienti ma di solito sono interpretate in modo sbagliato. È esattamente il caso della maggior parte delle idee sulle politiche rivoluzionarie: la tipica interpretazione di sedicenti marxisti è che se gli eventi si sono sviluppati in un modo particolare, per esempio in Russia nel 1917, allora in futuro si dovrebbero sviluppare allo stesso modo, altrimenti sono eventi sbagliati (e rivoluzioni sbagliate). Invece di aspettare che gli accadimenti passati si ripetano, dovremmo pensare piuttosto sul perché si sono sviluppati in quel particolare modo che conosciamo, per esempio nella Russia del 1917 e nella Cina del 1949. Nel caso di un sollevamento rivoluzionario attuale, dovremmo innanzitutto capire che questi avvenimenti sono in uno stadio molto precoce. La distruzione del vecchio regime non ha bisogno di un partito rivoluzionario, e di più, stabilire un nuovo ordine non segue immediatamente la distruzione dell’ordine precedente. Questo è un processo che impiega anni, e alle volte decenni (in termini di instaurazione di un nuovo modo globale di produzione – ad esempio del capitalismo al posto del feudalesimo e del socialismo al posto del capitalismo – secoli).

Il partito rivoluzionario non è MAI precondizione di una rivoluzione, ma sempre e solo un prodotto di una rivoluzione. Tutti i tentativi di creare un partito rivoluzionario preconfezionato e di conservarlo in anticipo aspettando il momento giusto di usarlo come uno strumento per ottenere il potere e cambiare la società finiscono sempre miseramente – neppure nella creazione di una formazione settaria o nella formazione di un’organizzazione che, contrariamente alla sua retorica, diventa irrilevante proprio nel momento per cui era stata teoricamente creata. La domanda è se le masse, gli attivisti e i leader di sinistra sarebbero stati capaci di sviluppare delle nuove organizzazioni rivoluzionarie adeguate agli attuali processi mentre si partecipa nelle lotte attuali. Non è seguendo i movimenti di massa o «guidandoli» in un’autoritaria via stalinista, ma attraverso lo sforzo sistematico che si trasforma la protesta spontanea in un’azione politica cosciente orientata verso una strategia articolata. Questo sforzo dipende più sulla politica che sull’organizzazione (come ha brillantemente spiegato Rosa Luxemburg analizzando il successo dei Bolscevichi nel 1917).

Il professor Boris Kagarlitsky

2. Anche in Russia ci sono state delle proteste, impensabili secondo il quadro dipinto dai media come un’irremovibile autocrazia: per esempio la protesta contro la riforma delle pensioni, le manifestazioni per le elezioni della duma di Mosca, e varie proteste locali. Secondo lei, anche in un «impero periferico» come la Russia si assiste alla decadenza del capitalismo, o è necessaria un’evoluzione del capitalismo coloniale russo in capitalismo avanzato del centro?

I media occidentali non comprendono la Russia per una ragione molto semplice: non c’è interesse nella comprensione o persino nello studio di questa società. E la Russia è molto particolare benché non sia in alcun modo unica. È una società molto aperta retta da un’oligarchia corrotta che è tutto fuorché una dittatura. Ha il controllo totale della televisione, ma la stampa e Internet sono liberi (diversamente dalla Cina, dall’Iran e da molti altri paesi), c’è un’attiva società civile che si sta sviluppando in un confronto permanente con lo stato; ci sono frodi e manipolazioni elettorali che non prevengono le vittorie dell’opposizione, e l’opposizione è pressoché corrotta come il governo. La politica in Russia è controllata non tanto con la repressione e coi divieti, ma prevalentemente attraverso negoziati clandestini tra clan e gruppi dell’élite. Per molti versi è parecchio simile al tipo di monarchie liberali che esistevano in Europa occidentale alla fine del XVIII secolo, come la Gran Bretagna e la Svezia a quei tempi. La crisi dell’attuale sistema viene dalla sua incapacità di sostenere una sorta di consenso manipolato che garantiva stabilità durante la maggior parte del periodo di Putin. Non ci sono abbastanza risorse per soddisfare sia le élites che la popolazione (come avveniva nei primi anni 2000). Ciò ha portato alle politiche di austerità e redistribuzione anti-popolare (tagliando le spese sociali per supportare le élites capitaliste e burocratiche, come il welfare aziendale negli Stati Uniti). Naturalmente questo sta provocando disordini sociali e proteste; ma la popolazione russa dopo due decenni di stabilità e consumismo sotto Putin manca di esperienza e capacità di auto-organizzazione. Ad ogni modo, il modello di stato che è esistito in Russia per vent’anni è in via di disintegrazione.

Le élites russe hanno chiaramente qualche speranza connessa all’ascesa della Cina, ma sono illusioni. La Cina non è una nuova potenza egemonica nel sistema-mondo capitalista come si aspettano alcuni teorici come Giovanni Arrighi, ma la sua avanzata è piuttosto sintomo di un declino storico del sistema-mondo, siccome qualcosa con un’effettiva egemonia sta diventando impossibile. La Cina sta incappando rapidamente in una crisi economica di scala praticamente senza precedenti nella storia, ripetendo la traiettoria già seguita dal Giappone e dalla Corea del Sud, ma con un’economia e una società oltre dieci volte maggiore. Dopo aver salvato il capitalismo neoliberista nel 2008-11, la Cina stessa sta per diventarne vittima. Perciò non c’è futuro per il capitalismo russo come partner minore di una nuova Superpotenza Orientale.

3. Come considera le proposte e le tattiche della KPRF (Partito Comunista della Federazione Russa, Коммунистическая Партия Российской Федерации) nei riguardi dello stato russo? È un partito che ha tentato con un certo successo di mettersi a capo dei movimenti popolari sorti dalle manifestazioni, al contrario di altri paesi, tutto mentre la Russia si inserisce all’interno del nuovo ciclo di accumulazione incentrato in Cina. Crede che la KPRF sia un autentico partito comunista che possa incarnare il futuro del movimento comunista russo?

La KPRF non è un partito comunista, ed è parte dello stesso sistema corrotto. Anatolij Baranov, un noto giornalista di sinistra, ha definito la KPRF come un monopolio con la licenza di pubblico approvvigionamento di servizi d’opposizione. Ma la condizione di questa disposizione è che la KPRF non ha alcuna ambizione di combattere per il potere persino a livello regionale. Ci sono alcune eccezioni interessanti, come l’amministrazione di Sergej Levčenko, il governatore di Irkutsk eletto nel 2015 e tesserato alla KPRF. Ma non è un segreto che Levčenko sia un uomo indipendente, e non fa così tanto parte della gerarchia di partito.

Il governatore di Irkutsk, Sergej Levčenko.

4. Il ruolo di Putin in Russia, a parer nostro, non si è mai molto discostato in realtà da El’cin: entrambi sono espressione dell’opulenta borghesia russa, per quanto Putin sia riuscito a incarnare il prototipo dell’autocrate liberista e retoricamente patriottico. Lei definisce che la Federazione Russa abbia visto due periodi, dopo il 1991; il primo di un’autocrazia oligarchica, e il secondo di un’autocrazia burocratica. C’è una differenza sistemica, o è solo un diverso modo di porsi e di apparire?

Il governo di Putin era possibile a causa della generale espansione dei mercati, sia interni alla Russia che internazionalmente. Su questo aspetto, il periodo di Putin è stato molto diverso da quello di El’cin, e comportò un certo grado di autentico successo durante la prima fase della sua amministrazione. Ma ora si è concluso. Ciò è caratteristico del capitalismo periferico, ovvero spesso affronta bene i periodi di espansione (generando l’illusione di un’imminente integrazione nel centro) ma nello stadio di contrazione, deve affrontare la realtà del sistema.

5. Sullo Chudožestvennyj Žurnal’ ha offerto delle interessanti riflessioni sull’uso dell’arte nell’attuale sistema culturale, dove le opere vengono fatte risaltare più per il loro valore e il loro mercato che per l’effettiva qualità artistica. Ritiene ci siano dei parallelismi fra URSS e Federazione Russa nell’uso politico dell’arte, mentre in Occidente sia prettamente il mercato a convalidare l’arte contemporanea? D’altra parte può riproporsi un fertile fermento avanguardista come quello a cavallo della Rivoluzione d’Ottobre?

Lo stato russo prova a riprodurre alcune delle esperienze sovietiche di uso dell’arte per scopi propagandistici, ma allo stesso tempo sia i burocrati sovrastano le politiche culturali, sia la classe creativa opera come se la sua clientela fosse totalmente integrata nel corrotto consumismo neoliberista, perciò vedono i progetti propagandistici più come un’opportunità per appropriarsi delle risorse pubbliche. Questo porta alla produzione di film terribili e alla costruzione di edifici orrendi che compromettono l’ideologia ufficiale invece di promuoverla.

Il kitsch e neo-imperiale Palazzo degli Agricoltori a Kazan’, 2008-2010

6. Sulla maggiore eredità e speranza del socialismo internazionale, la Rivoluzione d’Ottobre, lei si è spesso pronunciato contro certe rozze interpretazioni liberali che leggono l’esperienza rivoluzionaria socialista russa come condannata alla nascita nel diventare la dittatura personale di Stalin. Al contrario, l’opera di Trockij al riguardo pare mantenere le speranze di una seconda rivoluzione socialista che completi il processo innescato dall’Ottobre. Ciò è forse l’esempio maggiore del connubio fra elemento storico ed elemento volitivo: che rapporto c’è fra le condizioni storiche e la volontà umana nella teoria dei sistemi-mondo e dei cicli d’accumulazione? Le circostanze fanno l’uomo non più di quanto l’uomo faccia le circostanze?

Come ha spiegato Erich Fromm (interpretando le idee di Karl Marx), è il modo di produzione che precondiziona il modo dominante di pensare. In questo senso, l’homo economicus capitalista è sia un prodotto del capitalismo, sia un fattore importante della sua riproduzione. E cambiare la psicologia di massa è un aspetto importante della prassi rivoluzionaria per il cambiamento della società. Ciò è esattamente il motivo per cui le vere politiche rivoluzionarie su scale di massa diventano possibili solo durante e nel processo della rivoluzione, promuovendo lo sviluppo logico e il radicamento della rivoluzione stessa. L’emancipazione è sempre un processo, non un atto unico: pertanto l’attuale crisi del capitalismo sia in Russia che nel mondo può essere vista come una ragione di speranza.

7. Il movimento dei Gilets Jaunes in Francia ha sorpreso tutte le élite europee, che credevano di aver superato una volta per tutte l’incubo di una rivolta popolare. Da lì in poi si è aperto l’attuale momento di rivolta popolare, anche se si è diretto dalla Francia a paesi periferici. Le cause sostanzialmente sono comuni a tutte le proteste, ovvero insorgono contro il dominio neoliberista, e attualmente non ne si vede la soluzione. È possibile che si riapra un conflitto così aperto tra subalterni e dominati in un paese del Centro?

Un aspetto importante della crisi del sistema-mondo è che la divisione fra il centro e la periferia è diventata meno nitida. Sussiste ancora, e ci sarà finché non supereremo lo stesso capitalismo, ma l’economia politica dei sistemi-mondo non corrisponde esattamente alla geografia come avveniva un tempo. Di fatto nell’analisi di Immanuel Wallerstein c’era sempre un briciolo di semplificazione nell’usare lo stato-nazione come unità di base, e quindi spesso erano sottostimate le divisioni di classe all’interno di questi stati, ma funzionava più o meno per il XX secolo. Tuttavia c’erano sempre delle sacche di centro nella periferia, e oggi vediamo larghe enclavi di periferia nel centro. Per un periodo di tempo è stato occultato alla vista perché le divisioni sociali in occidente divennero divisioni etniche. La classe subalterna era stata erroneamente interpretata come gli «immigrati», e le contraddizioni di classe come culturali, religiose o etniche. Ciò è esattamente quello che ha soddisfatto i fini ideologici della classe dominante (da ricordare Gramsci sulle contraddizioni politiche e sociali che iniziano a essere lette come culturali e di conseguenza irrisolvibili). Anche la sinistra ha giocato un ruolo molto reazionario, spiegando la formazione dell’esercito di riserva di lavoro come un problema culturale di «discriminazione degli immigrati», e incoraggiando l’immigrazione senza preoccuparsi di cosa i lavoratori (inclusi i lavoratori immigrati) pensassero realmente al riguardo. Ora vediamo che la divisione fra centro e periferia non è tra la Francia e l’Algeria, ma tra Parigi e le banlieues, tra la capitale e le città di provincia.

8. In contemporanea alle rivolte in tutto il mondo, sullo stesso scenario c’è Friday For Future, che tuttavia prende delle diverse pieghe a seconda dell’impostazione nazionale. In Italia, per esempio, la direzione nazionale è fortemente anticapitalista, e lo si vede con manifestazioni e picchetti contro industrie: per esempio il 1° novembre c’è stato un picchetto davanti a Zara, a Venezia e a Padova. Globalmente la protesta studentesca rientra nei ranghi del neoliberismo, ma è possibile che possa fungere localmente da catalizzatore delle istanze più autenticamente anticapitaliste e socialiste che si convengono a un movimento che proclama di cambiare il sistema, ma non il pianeta?

Le proteste studentesche sono spesso oggetto dell’egemonia dell’opposizione liberale in molti paesi, ma questo è parzialmente responsabilità della sinistra. Le attuali ideologie di sinistra non offrono nella maggior parte dei casi un’alternativa, per la ragione che la sinistra non è interessata nell’essere un’alternativa. E il problema non è per le idee: la sinistra non intende combattere per il potere dello stato, per il potere di classe, questo è il motivo.

9. Lei ha avuto una fittissima vita politica dalla fine degli anni Ottanta ai primi anni Duemila, nel tentativo di costruire un orientamento autenticamente socialista nell’Unione Sovietica e poi in Russia: per esempio era primo segretario del soviet di Mosca all’epoca della sua abolizione da parte di El’cin. A distanza di trent’anni, com’è stata la perestrojka, visto da un dissidente marxista riammesso da Gorbačëv nel PCUS?

Nel Mossoviet ero un deputato, non avevo una posizione amministrativa; me ne è stata offerta una, e la rifiutai. Inoltre, non fui mai riammesso al PCUS, né l’avevo mai richiesto. La perestrojka di Gorbačëv era inevitabile come tentativo di uscire dal vicolo cieco della «stabilità» burocratica degli anni ’70, ma non c’era alcuna possibilità di salvare l’Unione Sovietica perché le masse allora avevano già perso quella soggettività politica che non hanno riacquistato fino a oggi. Forse con la presente esplosione della crisi capitalistica globale abbiamo una seconda possibilità.

10. In Unione Sovietica a partire dal periodo di Brežnev si ingrossarono le file della dissidenza interna, specialmente a sinistra, che tentarono di ammodernare il marxismo ufficiale e che poi furono accolte parzialmente da Gorbačëv, come abbiamo già detto del suo caso. Anche nella Russia attuale esiste questa forma di “dissidenza” a sinistra dei partiti maggiori come la KPRF? Lei ha avuto un ruolo di una certa importanza nel Levyj Front, ma all’aprirsi delle discussioni su una collaborazione o meno con la KPRF, come poi avviene oggi, lei si è definitivamente ritirato dalla vita pubblica. È possibile ancora, secondo lei, aprire un processo egemonico delle idee socialiste della «Nuova Sinistra» in una Russia dominata, tra le altre cose, dall’ingombrante figura di Stalin?

Entro la metà degli anni ’90 il discorso dissidente di sinistra era morto, era stato abbandonato da molti dei suoi sostenitori e rappresentato solo da pochi individui come Aleksandr Buzgalin, Aleksandr Tarasov e me. Ora la situazione è totalmente diversa perché dopo l’esperienza di vent’anni di restaurazione del capitalismo, c’è una sinistra influente dal punto di vista intellettuale e persino politico, benché non sia organizzata attorno a dei partiti politici. La nostalgia per l’URSS è emersa nella forma del neo-stalinismo, ma non lo vedo come un grosso problema. Il futuro sarà deciso dalle masse ma solo se e quando le masse acquisteranno la coscienza politica e sociale necessaria per agire come una forza collettiva che cambia la società.

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