— Emanuele e S
Sebbene lo scrutinio dei voti per le elezioni bulgare di domenica sia ancora in corso, possiamo trarre qualche considerazione preliminare. Dal 1990 la Bulgaria è una repubblica parlamentare, caratterizzata sostanzialmente dall’alternanza al potere di due schieramenti principali: quello attorno al Partito Socialista di Bulgaria (BSP, Българска Социалистическа Партия), erede formale del Partito Comunista Bulgaro (Българска Комунистическа Партия, БКП) che resse il paese in coalizione con il partito agrario per quarant’anni, e l’altro attorno al polo di oligarchi conservatori fuoriusciti dal fu sistema realsocialista.
In questo quadro generale, è necessario fare delle puntualizzazioni: BSP e partito dei turchi a parte (che rappresenta la consistente minoranza turca e musulmana nel paese), il quadro partitico del paese è sempre stato molto instabile, data la grossa disaffezione politica dei votanti bulgari. La politica, in particolare quella bulgara, è stata il palcoscenico decadente della spartizione del potere economico tra i grandi oligarchi, che di fatto ha spazzato via le garanzie sociali costruite dalla Repubblica Popolare, e vive sostanzialmente di delocalizzazioni dai paesi europei di più antica industrializzazione.
Oggi di fatto non esistono pensioni, sussidi di disoccupazione, garanzie in senso generale per il ceto subalterno, e la Bulgaria “gode” dei salari più bassi dell’Unione Europea (pari a 582€ mensili netti). Sulla scorta della difficile situazione economica a cui né il BSP né soprattutto i partiti di destra hanno saputo porre rimedio, da un lato l’affluenza alle urne è stata sempre più debole (raggiungendo lo storico record di affluenza del solo 40%), mentre d’altra parte la forte emigrazione rende il voto dall’estero più influente che in paesi come l’Italia.
Da tale contesto sorge il grande protagonista della politica bulgara Bojko Metodiev Borisov, l’attuale primo ministro in carica dal 2009 se si trascurano i brevi governi ad interim frapposti alle sue periodiche dimissioni. Come gran parte del ceto politico bulgaro, anche il caro Borisov viene dalle fila del Partito Comunista Bulgaro, quando negli anni Ottanta lavorava tra i ministeri degli affari interni e nell’accademia di polizia, tanto da fare pure da guardia del corpo all’eterno segretario Todor Živkov, finché, quando l’aria tirò contro il sistema realsocialista, stracciò la tessera del partito pur continuando a lavorare e ad accrescere influenza e legami come tecnico nel ministero degli affari interni. Torna alla ribalta a inizio anni Duemila, in groppa al movimento di Simeone II, re di Bulgaria tra il 1943-1946 e candidatosi alle elezioni come primo ministro per risolvere in meno di tre anni tutti i problemi del paese e attrarre investimenti esteri, con un partito così liberale da aderire all’ALDE (Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa) persino prima dell’ingresso della Bulgaria in UE. Inutile dire che il movimento, che raggiunse quasi la maggioranza assoluta nel 2001, si sgonfiò rapidamente come era montato, inducendo Bojko a riciclarsi come indipendente in due mandati da sindaco della capitale Sofia, per aggregarsi, cinque anni dopo, al GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria, Граждани за европейско развитие на България, cui acronimo significa “stemma”), il partito di rinata convergenza degli interessi dell’oligarchia. Alle elezioni successive nel 2009 scalzò il fondatore Cvetan Genčev Cvetanov [leggasi secondo la pronuncia italiana in “Zvetàn Ghencef Zvetànof”] come segretario del partito, che però era già suo collega ai tempi del lavoro al ministero dell’interno in epoca comunista, e alleato come assessore per la sicurezza interna nel municipio di Sofia quando Borisov era sindaco, il quale fece perciò ricoprire a Cvetanov la carica di ministro degli affari interni in tutti e tre i suoi governi.
E infatti attorno a Cvetan Cvetanov ruotano alcuni degli scandali più indicativi sul clima interno del paese tra le decine che hanno travolto l’intramontabile Bojko Borisov: nonostante il tentativo di controllare la procura generale del paese con un fedelissimo, la sorveglianza spionistica sui membri del governo e del parlamento per controllare e manovrare tutti i ministri secondo la volontà del duo Cvetanov-Borisov, le mazzette ai giornali dell’opposizione per stemperare le posizioni critiche, i copiosi finanziamenti statali ai media filogovernativi per raggiungere la copertura più ampia e pervasiva possibile, e altro ancora, Cvetan Cvetanov non si è fatto mancare nemmeno il posto da protagonista nella rete costruita col collega primo ministro per deviare i fondi per investimenti pubblici ed europei per le grandi infrastrutture che, secondo la politica economica del GERB, dovrebbero rilanciare l’economia del paese. Prevedibilmente, la massa di investimenti e sussidi statali alle aziende edili è stata “deviata” nelle mani del crimine organizzato, con cui Borisov è stato accusato pubblicamente varie volte di lavorare assieme, anche come mero esecutore. Lo Stato bulgaro infatti è, anche agli occhi disillusi dei suoi stessi cittadini, nient’altro che l’organizzazione minima dedita al mantenimento della sicurezza pubblica, del mantenimento delle infrastrutture, e a eseguire tutte quelle mansioni che ai privati, ovvero, nel caso non solo della Bulgaria, alla mafia, risultano fuori portata o di nessun ritorno economico.
Anche la vantata lotta anticorruzione dell’eletto premier Borisov è stata svolta con perizia: i primi due governi sono stati caratterizzati da una serie di arresti di notabili bulgari, sistematicamente appartenenti soltanto alla frazione dell’oligarchia a lui contraria, e si è spesso preso provvedimenti contro la corruzione interna all’apparato pubblico, accompagnati da un’eterna e familiare retorica contro i dipendenti dello stato, lasciando i privati ai loro affari. Grazie a questa imperiosa lotta anticorruzione la corruzione in Bulgaria sussiste come non mai, e proprio uno dei detonatori delle proteste del 2020-2021 coinvolge l’oligarca Ahmed Dogan, ex-politico a capo del partito dell’etnia turca, che su suolo formalmente pubblico ha fatto costruire una lussuosa villa fronte-mare con spiaggia privata, la cui sorveglianza è demandata alle Guardie di Pubblica Sicurezza, la forza di polizia sotto il diretto controllo del ministero degli affari interni. Ironicamente, le stesse che assieme alla polizia regolare hanno represso violentemente le manifestazioni di massa provocate dall’ennesimo scandalo. A ministri e allo stesso primo ministro spettano invece appartamenti di lusso nei scintillanti grattacieli costruiti negli ultimi anni a Sofia, anche grazie al generoso dirottamento di fondi di investimento europei inizialmente destinati ad infrastrutture pubbliche. L’Unione Europea, tra l’altro, non ha denunciato la violenza della polizia e le cause che hanno fatto scaturire la “Grande Rivolta Nazionale”, bensì si è espressa per un vago diritto di manifestare liberamente, senza nemmeno additare la tentazione autocratica di Borisov alla stessa maniera di quella del più russofilo Orbán. Il GERB è nel Partito popolare europeo, la stessa coalizione cui ha partecipato il Fidesz, il partito di Orbán, fino a qualche giorno fa; a livello comunitario la massima espressione del PPE è l’attuale presidente della commissione Ursula von der Leyen e il suo partito-guida è la CDU tedesca. La Bulgaria, capitalismo periferico a deriva autoritaria forse più irreversibile di quella dell’Ungheria, non desta le stesse preoccupazioni.
Da menzionare, almeno succintamente, è la gestione della pandemia nel paese, che ha mietuto numerose vittime nonostante misure piuttosto rigide durante la primavera del 2020, progressivamente allentatesi fino al primo picco di fine novembre 2020, e un secondo in questi giorni, tra marzo e aprile. Ad oggi, la Bulgaria è il nono paese al mondo per numero proporzionale di morti di Covid-19, con 195,57 decessi ogni 100mila abitanti. Già in periodi pre-pandemici la sanità bulgara è stata definita “al collasso”, mentre si destinavano il triplo degli investimenti statali alle opere edili miliardarie rispetto ai fondi per la sanità. Nonostante ciò, a causa del dominio mediatico nel paese, lo scetticismo nei confronti dell’emergenza sanitaria e addirittura della stessa esistenza del virus dilagano in misura molto maggiore dell’Italia, rendendo l’uso della mascherina e dei dispositivi di protezione individuale estremamente limitato se confrontato con altri paesi europei.
Per cui, tornando al quadro delle elezioni del 4 aprile 2021, il limitato calo del GERB è stato preannunciato da una serie di scandali locali ai seggi riguardo il tentativo di manipolazione delle votazioni, mentre il BSP, nonostante i toni molto conflittuali contro il governo corrotto di Borisov portati avanti dal popolare presidente della repubblica Rumen Georgiev Radev e un programma in controtendenza rispetto le politiche clientelari e liberali del GERB, si è visto prosciugare il consenso degli elettori più giovani dal nuovo movimento populistico del momento, ITN (Има такъв народ, Ima takăv narod, Tale popolo esiste), fondato l’estate scorsa dal cantante, attore e ora politico Stanislav Todorov Trifonov. ITN, dato ormai per certo come secondo partito dopo il partito di Borisov e poco prima del BSP, si richiama alla lotta anticorruzione, alla democrazia diretta, all’implementazione di strumenti informatici per le elezioni e la vita rappresentativa, a una maggiore integrazione europea, al dimezzamento dei parlamentari e infine al voto obbligatorio per combattere l’astensione; ITN richiama molto il nostrano M5S, per la sua fondazione, i suoi scopi e il suo elettorato. Dallo spoglio emerge, inoltre, che i due alleati di estrema destra dell’ultimo governo Borisov non hanno passato la soglia del 4%, a causa delle proteste che hanno fatto sorgere due coalizioni di partiti verdi, liberali e conservatori, che hanno in parte raccolto consenso dai socialisti, dal GERB e dall’estrema destra.
Bojko Borisov non sparirà con un’elezione. Egli è la chiave di volta politica per gli interessi economici clientelari che a lui devono la loro cancerosa prosperità in seno alla Bulgaria, protette dalle ennesime proteste che dalla crisi economica da un’altra serie di scandali tra il 2013 e il 2014 continuano a muovere il paese. Probabilmente, Bojko Metodiev Borisov si appresta a raccogliere il suo quarto mandato; ma magari non subito, giusto il tempo che si calmino le acque.