Intervista a Paolo Walter Cattaneo sull’energia nucleare

Con questa intervista a Paolo Walter Cattaneo, senior researcher presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e comunista, intendiamo aprire un dibattito sul nucleare e le questioni legate all’energia sul nostro sito.

  1. Esiste una correlazione tra il livello di conoscenza scientifica della popolazione e il sostegno o il rifiuto dell’energia nucleare?

1. In verità non ho dati a riguardo. Il concetto di “conoscenza scientifica della popolazione” è piuttosto vago. L’energia nucleare è diffusa prevalentemente in paesi industrializzati che hanno dunque una popolazione con un livello di istruzione piuttosto alto sia scientifico che non: Francia, Cecoslovacchia, Ucraina, Giappone, Corea del sud. D’altra parte è stata rifiutata in Germania e Austria che hanno pure una popolazione istruita e con istituzioni scientifiche di alto livello.

2. Quali potrebbero essere le implicazioni di una massiccia adozione dell’energia nucleare rispetto al contrasto del cambiamento climatico?

2. L’energia nucleare è la fonte, assieme all’eolico off-shore, con minore impatto climatico dovuto alla bassissima produzione di CO2. Ovviamente non ne emette direttamente, la produzione è indiretta dovuta alla lavorazione del materiale in uso per la centrale e lo smaltimento della stessa. D’altra parte le centrali nucleari usano pochissimo materiale in paragone ad eolico e solare, perché l’energia è molto concentrata.

3. Ritiene possibile produrre energia elettrica a partire solo da fonti di energia rinnovabile come solare, eolico ed energia idroelettrica?

3. Questo è possibile solo nelle zone geografiche con una grossa potenzialità idroelettrica che è l’unica fonte di energia di quelle citate che garantisca continuità sia giorno/notte che stagionale anche se ha criticità connesse a possibili siccità. In diverse zone dell’America Latina o alcuni aree montane l’energia idroelettrica è già la fonte dominante o esclusiva. Solare ed eolico sono intermittenti ed è pressoché impossibile accumulare energia per i cicli notte/giorno o stagionale o lunghi periodi nuvolosi o senza vento. L’eolico è efficiente solo in alcune aree, in particolare lungo le coste, in mare (off-shore) o sulle creste delle montagne. Altrove, come in vaste aree dell’Europa centrale o la Pianura Padana l’eolico non esiste perché non c’è vento. L’energia nucleare fornisce una base (20-40%) di energia costante nel tempo che complementa le fonti intermittenti di energia.

4. L’energia nucleare può essere compatibile con un modello energetico decentralizzato oppure richiede necessariamente una gestione centralizzata?

4. L’energia nucleare può essere compatibile con entrambi i modelli. Quello decentralizzato è più caratteristico dei paesi liberisti (Usa, UK) con le centrali gestite da varie industrie private, mentre quello centralizzato è caratteristico dei paesi socialisti (URSS) o a economia mista (Francia, Italia). La gestione della sicurezza è sempre centralizzata tramite una agenzia governativa connessa alla IAEA.

5. Da questa domanda in poi cerchiamo di riportare alcune delle questioni che a sinistra alimentano i dubbi sull’energia nucleare. In primo luogo si dice che sia costoso per una serie di ragioni interconnesse che vanno ben oltre il semplice investimento iniziale in infrastrutture. Innanzitutto, i costi di costruzione delle centrali nucleari sono estremamente elevati e richiedono tempi di realizzazione molto lunghi a causa della complessità dei processi di pianificazione, autorizzazione e costruzione e delle rigorose normative di sicurezza da rispettare. Questa lentezza nel deployment contrasta fortemente con l’urgenza di ridurre le emissioni di CO₂ per combattere il cambiamento climatico. Inoltre l’alto rischio di incidenti, che porta alla necessità di incorporare sistemi di sicurezza sempre più sofisticati, incrementa ulteriormente i costi. Un altro fattore importante riguarda i costi operativi e di manutenzione, nonché le spese a lungo termine per la gestione dei rifiuti radioattivi. Infine, l’industria nucleare beneficia di sussidi governativi e di meccanismi che trasferiscono i costi di eventuali incidenti, come quelli previsti dalla Price-Anderson Act negli Stati Uniti, alla collettività, il che nasconde in parte il vero impatto economico della tecnologia. Tutto ciò rende il nucleare meno competitivo rispetto alle altre fonti rinnovabili che invece mostrano una rapida riduzione dei costi grazie a progressi tecnologici e a economie di scala. Lei cosa ne pensa?

5. Il rischio di incidenti è straordinariamente basso, nessuno può parlare di rischio alto. Le centrali nucleari sono un investimento che richiede un grosso capitale iniziale e dei tempi significativi prima di essere connesse alla rete. Far partire una prima centrale in un paese è impegnativo (in Italia bastava non chiuderle) ma molti paesi lo stanno facendo: Bielorussia, Egitto, Bangladesh, Turchia per esempio. Il Vietnam seguirà a breve. Una volta che l’industria nucleare riprende a funzionare i costi e i tempi si abbassano, Cina e Russia costruiscono un reattore in meno di 7 anni. Dunque l’investimento verso il nucleare deve essere consistente e a lungo termine ed affidarsi a produttori già attivi come Rosatom (l’azienda statale russa). Costruire una centrale sola o inseguire soluzione autarchiche è una perdita di tempo. L’urgenza dovuta al clima è artificiale, con il gas si conviverà ancora molti anni e poi servono soluzioni stabili per lungo tempo e a prezzi compatibili con il sistema produttivo. Chi parla di tempi lunghi per il nucleare sono quelli che lo hanno fatto chiudere e che ne impediscono la ripartenza. E’ un circolo vizioso. Il sistema energetico è tutto sovvenzionato, trattandosi di un sistema indispensabile alla sopravvivenza. Senza sovvenzioni il solare e l’eolico non sarebbero mai partite e ora sarebbero fuori mercato di molto. Dal punto di vista finanziario, le centrali che producono energia a buon mercato, che si possono costruire in poco tempo, sono a gas o a carbone. Tutto il resto va in qualche modo sovvenzionato. Infatti la Germania con la EnergieWende si è svenata ed è finita a costruire centrali a carbone. Ora tornerà al nucleare. I costi operativi non sono maggiori di altre centrali, mentre il costo del combustibile (uranio arricchito) è bassissimo. I costi sono tenuti alti da regolamenti asfissianti perfettamente inutili e da una burocrazia pensata per ostacolare la costruzione di centrali. Se la stessa rigidità fosse applicata agli altri settori produttivi che generano molti più morti e malattie, questi chiuderebbero immediatamente.

6. Che opinione ha degli SMR? Molti critici del nucleare ritengono questa tecnologia una possibilità solo teorica e senza la capacità di risolvere i problemi dell’industria nucleare.

6. Gli SMR (Small Nucleare Reactor) sono una strumento tra gli altri dall’industria nucleare. Sono basati sull’idea di produrre i reattori a moduli presso le fabbriche, poi trasportarli e montarli sul sito della centrale per produrre reattori di potenza bassa o medio-bassa. Non sono una tecnologia di produzione di energia elettronucleare diversa da quelle esistenti. Potrebbero garantire maggiore rapidità di costruzione a costi più contenuti, ma è da verificare. Esistono già in Russia e in Cina: reattore costruito a Leningrado e poi trasportato via nave nell’estremo oriente russo, reattore installato sulla costa. Penso che, nei prossimi decenni, coesisteranno con i reattori di grossa taglia tradizionali. Non ho capito quali siano i problemi dell’industria nucleare che funziona a pieno ritmo.

7. Ritiene che esista un legame tra energia nucleare e proliferazione delle armi nucleari?

7. Facile, non c’è nessuna correlazione, nessuno ha mai lanciato un programma di armi nucleari utilizzando materiale proveniente da centrali elettronucleari. Le cinque potenze nucleari ufficiali hanno costruito armi nucleari ben prima di centrali elettronucleari. Altre potenze non ufficiali, Corea del Nord, Israele non hanno centrali elettronucleari ma solo reattori dedicati alla produzione di plutonio. In Pakistan e India, i programmi civili e militari sono chiaramente separati. Molti dei paesi con molta energia elettronucleare non hanno armi nucleari (Giappone, Corea del Sud, Cecoslovacchia, Belgio etc.). Nessuno ha mai sviluppato armi nucleari con materiale pensato per o estratto da centrali nucleari civili. Il plutonio da centrale elettronucleari civili non è adatto alla produzione di armi nucleari.

8. Un possibile ritorno del nucleare in Italia potrebbe comportare, vista la forza della lobby del gas nel nostro paese, un ridimensionamento degli investimenti nelle altre energie rinnovabili?

8. Il termine lobby è abusato, le società che investono nelle varia fonti energetiche sono spesso le stesse. Comunque la competizione in Italia per i prossimi decenni sarà per sostituire gradualmente il gas (enfatizzo il gradualmente). Al massimo ci sarà competizione tra le varie fonti non fossili. Infatti i produttori di energie rinnovabili insistono per escludere il nucleare da certe fonti di finanziamenti europei per eliminare la concorrenza. Ma è pura competizione tra diversi segmenti industriali. Ovviamente la produzione di energia dovrebbe essere rinazionalizzata e gestita centralmente dal governo.

9. Alcuni critici del nucleare evidenziano come la complessità dei sistemi nucleari, caratterizzati da tight coupling e interazioni complesse tra le varie componenti, renda impossibile escludere la possibilità di incidenti catastrofici. Sostengono che la storia fornisce numerosi esempi, come Chernobyl e Fukushima, che testimoniano come anche in contesti con avanzate misure di sicurezza, le reazioni imprevedibili possono portare a gravi conseguenze ambientali e sanitarie. Condivide questo pensiero?

9. I numerosi sono due, tre incluso Three Mile Island, il secondo e il terzo dei quali hanno prodotto circa zero morti. Al mondo operano 440 reattori (civili), il numero di incidenti dovuti a una cattiva operazione è 0 negli ultimi 39 anni. Quello a Fukushina fu dovuto al maremoto. L’energia elettronucleare è di gran lunga incomparabilmente la fonte più sicura di energia esistente: non produce CO2, non inquina, minimizza l’uso del territorio, minimizza l’uso dei materiali e degli effetti di danno all’ambiente e ai lavoratori, ha le norme di sicurezza sul lavoro più avanzate e le condizioni salariali dei lavoratori migliori.

10. Alcuni compagni sostengono che l’energia nucleare non possa prescindere dalla necessità di ottenere uranio, essenziale per alimentare i reattori. La sua estrazione, oltre a essere un processo indispensabile per mantenere operativi gli impianti nucleari, comporta una serie di problemi ambientali e sociali. In particolare l’attività mineraria ha causato contaminazioni diffuse di terreni e acque in varie parti del mondo, con impatti particolarmente gravi sulle comunità indigene che vivono nelle vicinanze dei siti di estrazione. Questa dinamica, oltre a incrementare i costi reali della tecnologia nucleare, contribuisce a rafforzare la critica secondo cui il nucleare, pur essendo proposto come fonte a basse emissioni di carbonio, porta con sé una “coda tossica” che mina la sostenibilità a lungo termine della sua applicazione nel contrasto al cambiamento climatico. Senza contare che dovremmo andare ad acquistare questa risorsa nei paesi che ne detengono una quota abbondante, il più delle volte a noi politicamente ostili.

10. I costi dell’estrazione sono già inclusi nella valutazione dei costi dell’energia elettronucleare. L’uranio è presente in minerali che vanno estratti nelle miniere esattamente come qualsiasi altra materia prima. Il fatto che i minerali di uranio siano debolmente radioattivi non cambia la questione. Materia prima va estratta anche per le altre attività industriali così come per le altre fonte energetiche, dal ferro alle terre rare. Il vantaggio è che di uranio si usano quantità molto modeste proprio perché l’energia è fortemente concentrata. Inoltre le infrastrutture di una centrale richiedono quantità modeste di materiale come cemento al contrario per esempio delle centrali eoliche. L’uranio è disponibile in molti paesi: Canada, Australia, Russia, Kazakistan, Niger, Namibia e in misura minore molti altri. E’ presente anche in Europa, non viene più estratto perché il minerale ha una tenore di uranio più basso ed è più conveniente estrarlo altrove. A costi più elevati, ma non tali da modificare in modo significativo il costo dell’energia elettronucleare si può estrarre dal mare che lo rende una fonte praticamente inesauribile ed accessibile a tutti.

11. Infine il problema delle scorie. Molti a sinistra sostengono che l’espansione del nucleare, per quanto possa apparire attraente per la sua capacità di produrre elettricità a basso contenuto di CO₂, comporta inevitabilmente la produzione di quantità crescenti di rifiuti radioattivi. Questi materiali, generati durante il processo di fissione, sono per lo più altamente pericolosi e rimangono tossici per periodi che possono estendersi per centinaia di migliaia di anni. Nonostante decenni di ricerche e ingenti investimenti, non esiste ancora una soluzione comprovata e sicura per il trattamento e lo stoccaggio a lungo termine di queste scorie. Il problema risiede nella natura intrinsecamente persistente del materiale radioattivo: la sua radioattività, infatti, non decade in modo rapido e controllato ma rappresenta un rischio continuo per la salute pubblica e per l’ambiente. Anche le tecnologie di stoccaggio più avanzate non sono in grado di garantire che, dopo migliaia di anni, il materiale non possa in qualche modo contaminare il biosistema circostante. Inoltre esiste l’incertezza sul destino a lungo termine di queste scorie. Le soluzioni proposte, come depositi geologici profondi, sono basate su modelli e proiezioni che, per la loro natura, non possono tenere conto di tutte le variabili nel corso dei secoli. Questo crea un dubbio sostanziale sulla capacità umana di proteggere le future generazioni da potenziali contaminazioni, considerando che l’errore, il degrado dei materiali di contenimento e gli imprevisti geopolitici o naturali possono compromettere anche i depositi più attrezzati e meglio progettati. Inoltre il problema delle scorie impone costi aggiuntivi non solo a livello economico, attraverso le spese per il trattamento, il trasporto e il deposito sicuro, ma anche in termini di impatto sociale e ambientale, soprattutto per le comunità vicine ai siti di stoccaggio. Questi territori possono subire conseguenze a lungo termine, con danni che si estendono ben oltre il periodo operativo di una centrale nucleare. A suo avviso, come possiamo affrontare e risolvere questo problema?

11. Chiariamo che i costi della gestione scorie è inclusa nella stima dei costi per l’energia elettronucleare. Dico senza reticenze che un programma di gestione delle scorie nucleari avrebbe dovuto messere in opera dall’inizio dell’uso delle centrali elettronucleari, non averlo fare ed aver sempre posticipato la soluzione è stato un errore grave. La soluzione di affidare le scorie radioattive a depositi sotterranei è una soluzione ragionevole anche se non è la migliore. Vanno anche distinti i depositi di scorie ad attività bassa e media che in UE sono di competenza nazionale e quelli di alta attività (tipo Plutonio) che saranno assegnate ad un solo sito in UE. I siti sono selezionati tra siti con stabilità geologica per molti milioni di anni e privi di falde acquifere in zone poco popolate, anche se non c’è nessun rischio di nessun tipo per generazioni in futuro. Quest’ultima è una scelta puramente politica. Personalmente, almeno per le scorie ad alta attività, potrebbero essere selezionati pochi siti al mondo senza doverli moltiplicare uno per ogni paese. Un sito grande costa molto meno che molti siti piccoli. Esistono aree vastissime: Asia centrale, deserti nel Nord America, in Australia e in Africa che hanno tutte le caratteristiche adatte senza dover costruire un sito per paese. Infatti la Russia si impegna a ritirate il combustibile esaurito (le scorie ad alta attività, Plutonio ed attinidi) dei reattori di sua costruzione. Ricordo che esistono una quantità enorme di scorie chimiche, che dureranno per sempre, stoccate in condizioni di sicurezza ben inferiore e nessuno dice niente. Per una soluzione più a lungo termine (più sostenibile) è necessario chiudere il ciclo del combustibile, cioè recuperare l’uranio fissile non consumato e separare plutonio e attinidi, che sono le scorie a lunga durata. Poi usare reattori a neutroni veloci per bruciare questi elementi. Questo è possibile e già operativo con reattori che usano un misto di uranio e plutonio (MOX) in Francia e in Russia. Il motivo per cui questo non è stato fatto prima, negli USA la scelta fu dovuta a Carter, è che l’uranio arricchito costa poco e non valeva la pena recuperarlo e soprattutto c’era il timore dell’uso del plutonio per la proliferazione di armi nucleari. E’ sufficiente il controllo dell’IAEA e mantenere il processamento del combustibile esausto nei paesi già detentori ufficiali di armi nucleari come quelli citati. Se si processa il combustibile esausto, rimangono meno scorie e di durata relativamente limitata (secoli al massimo).

Commenti aggiuntivi di Paolo Walter Cattaneo

Le risposte alle domande precedenti affrontano in modo superficiale le questioni energetiche dell’Italia e del mondo. In particolare non sono riportati numeri, senza i quali i commenti valgono poco. Mi sono limitato a una discussione non quantitativa in linea con le domande poste ma ovviamente molto di quello che ho detto può e deve essere supportato da valutazione quantitative. Alcune non sono difficili, altre, come i costi delle varie fonti energetiche che tengano conto di tutti i passaggi, sono molto difficili e travalicano le competenze mie e di ogni singolo. In qualche modo bisogna affidarsi a stime di soggetti spesso in conflitto di interessi. Voglio anche ricordare che l’energia elettronucleare è adottata o in corso di adozione da 35 paesi compresi quasi tutti i paesi industrializzati. Questi paesi hanno ed hanno avuto i regimi politici più vari, non c’è nessuna correlazione tra il regime politico ed economico e l’uso dell’energia elettronucleare. I paesi in cui è “proibita” o è stata abbandonata sono pochissimi, tra i paesi industrializzati in pratica solo Germania (che sta rivedendo la sua politica) e Italia. Gli altri pochi paesi hanno risorse idroelettriche o di combustibili fossili imponenti. La sinistra in Italia deve farsi carico di liberarsi dell’antiscientismo e dell’antindustrialismo che l’ha caratterizzata negli ultimi anni, atteggiamento ereditato dall’area verde ecologista completamente estraneo al pensiero marxista che ha portato all’abominio dei novax e rilanciare l’uso dell’energia elettronucleare gestita dal pubblico. Costruire il deposito per le scorie di attività medio bassa, scegliere uno o due modelli di reattori già esistenti (io preferisco i VVER russi) e procedere alla loro costruzione per una decina di GW installati e investire in almeno un modello di reattore più moderno a neutroni veloci con l’obiettivo di chiudere il ciclo di combustibile. Un programma pluridecennale a guida pubblica di reindustrializzazione, di ricerca e di gestione razionale della crisi climatica, con vantaggi per le imprese e per i cittadini tutti.

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