La Colonna doppiamente Infame

Patogenesi di un’entità esterna: dal liberale frustrato al rider sfruttato

«È avvenuto più volte, che anche le buone ragioni abbian dato aiuto alle cattive, e che, per la forza dell’une e dell’altre, una verità, dopo aver tardato un bel pezzo a nascere, abbia dovuto rimanere per un altro pezzo nascosta».

Alessandro Manzoni, La Colonna Infame

Si affilino i coltelli, c’è bisogno di sangue; si prepari la piazza pubblica, la catarsi è servita.  Il malanno, la rottura d’equilibrio? Un ente di natura direbbero gli antichi, un’unità discreta e compositiva del mondo, d’egual fattezza e dignità di qualsiasi altro modo (come avrebbe esordito Hodierna, tra i padri con Cesi e Galileo del moderno uso del microscopio): il covid-19, chiamato coronavirus. La vittima? La solita manzoniana, le persone comuni, le fasce deboli di popolazione naturalmente predisposte al contrarre il virus. L’untore? Ecco, a fronte di questa domanda si può scindere la risposta tra l’ambito di speculazione medica (inopinabile sino a prova contraria), la sfera delle istituzioni (ora esistente come sottosistema ad una classe di regole che lo riduce a mera funzione e simulazione) e di quello che, per semplicità d’espressione, chiameremo senso comune, ottimamente direzionato e monopolizzato da strumenti mediatici sempre più isterici, senza controllo ma con troppi controllori. Ora, tali sfere di suddivisione non si possono dire irrelate tra loro, bensì sono strettamente influenzate e asimmetriche sulla scala di potere. La potestà, il monopolio della violazione delle meccaniche conoscitive e della formalizzazione del reale, è nelle mani del senso comune. E quindi per il senso comune chi è l’untore? O meglio, visto che il senso comune comunque si struttura su una griglia di potere, quali direttive di identificazione dell’untore vengono da esso accettate?

Una risposta a tale domanda possiamo ritrovarla nell’identità e nella funzione dell’altro quale esterno ad un sistema di regole e disposizioni date. Ma chi è questo altro? La relazione tra esterno e interno si esplicita nel confronto tra il sacro e l’epidemico, atavico quanto storicizzabile: in esso si esprime un irriducibile rapporto che riconduce l’ente divino, legislatore universale e giudice d’ultimissima istanza, alla potenza apotropaica del sacrificio per riportare una condizione di equilibrio. Si sancisce come la rottura d’equilibrio sia sintomatica di una cattiva amministrazione e di come questa, violata nei suoi rapporti costitutivi dalla condizione di eccezionalità, debba violare a sua volta un ordine di rappresentazione della vita per reintegrare il disequilibrio venutosi a creare. Il violare porta alla violenza, il sacro porta al sacrificio, il boia assume la sua funzione e cerca il proprio spazio esecutivo. Sotto tale aspetto, uno spazio necessita fondamenta legali o, meglio, fondamenti che devono essere egemonizzati in una comune accettazione: lo spazio necessita di una norma di giudizio capace di universalizzarsi e di un agente capace di materializzarne le basi, il giudice.  Ed ecco una novità rispetto la normale simbologia istituzionale, che oramai trascende la cognizione di reale, questa retta da ben altre strutture di sviluppo e comprensione: l’identificazione tra giudice e boia in uno spazio di senso comune, dal quale dover definire lo status di untore. 

Lo stendardo dell’Inquisizione spagnola

Si potrebbe pensare, dopo questa esposizione concisa, che l’atto di riproduzione e riparazione del sistema violato nella sua quotidianità sia qualcosa di perennemente esistente, antidiluviano, nella storia umana quanto il principio di autoconservazione. Ebbene, se si può dire che la resistenza tendenziale dei rapporti costitutivi afferenti ad una formazione sociale (o ad un singolo organo biologico) sia una modalità storicamente perenne, non si può parlare di tale universalità né nelle forme di riproduzione, né nel soggetto giudicante e benchè meno nel soggetto-untore. Quindi, quid novum? Cosa c’è di nuovo?

Andando dall’astratto al concreto, storicizziamo lo studio tra patologia e cura sin’ora esplicitato per sommi capi nel rapporto tra giudice, boia ed untore all’interno di un profilo socio-antropologico formale. È il momento di calarlo nella novità del coronavirus nella fenomenologia dell’invariante capitalistico.

La questione centrale posta in essere è quella differenza che si instaura negli attori e nelle modalità di messa in scena della “cura” tra la considerazione odierna dell’untore e la considerazione dell’untore come la categoria “esterna” ridotta qualitativamente a minoranza da sterminare sotto sacrificio a espletazione del giudizio divino (le cronache medievali ci testimoniano le correlazioni tra le pestilenze che imperversavano l’Europa e le minoranze ebraiche, cronache sovente riportate nei drammi liturgici come il Miracolo di Teofilo). Al contrario del passato infatti, abbiamo di fronte tre differenze sostanziali:

  1. L’identificazione tra vittima ed untore
  2. La considerazione del decadimento da soggetto-vittima-untore ad oggetto di studio-portatore
  3. L’efficientamento dei corpi in funzione alle esigenze di mercato

Non esiste più discernimento morale tra la vittima e l’untore: ognuno è potenziale vittima-untore, contro cui la liceità dell’egual trattamento viene espressa con l’identità di giudizio. Ciò non permette più la ricerca puramente qualitativa dell’untore-vittima: se i cinesi («maledetti musi gialli») prima ed i «polentoni» dopo potevano essere esempi di localizzazione qualitativa del  soggetto da utilizzare come capro espiatorio a sacrificio del comune, questa logica di distinzione, arbitraria e culturalmente retrograda, si assottiglia ed annienta quando l’ente garante dell’equilibrio, il sistema di potere e produzione capitalistico, comprende la radicalità transnazionale del male. Avvenuto questo, capendo come l’identificazione categoriale sia troppo dispersiva e falsata per l’estromissione del fenomeno eccezionale dai circuiti di riproduzione storica della vita, si attiva la necessità di quantificare il singolo a priori della sua effettiva condizione. Questo, sia ben chiaro, non è e non vuole essere un attacco alla conduzione medica dell’emergenza, tutto il contrario! Bensì vuole essere un attacco alla gestione mercantilistica della politica, la quale dovrebbe mantenere almeno i limiti di un campo di coesistenza tra logiche di trattamento del reale ma, come ben espresso prima, si riduce a mero spazio di esplicazione dei conflitti nei rapporti produttivi e riproduttivi, in particolare come spazio di istituzionalizzazione dell’astrazione determinata capitalistica. La spersonalizzazione dell’s-oggetto di cura si realizza su piani che non sono affatto ridotti a quello medico (al quale la storia della medicina relega il nuovo ruolo del paziente oggetto concepito dall’organizzazione del sistema medico fondato da Fourcroy), bensì si estendono ad ambiti più ampi, con logiche che necessitano la coazione dell’efficientamento dei corpi e della considerazione minima di questi. Parliamo di una duplice politica: l’una im-positiva di disciplinamento, l’altra strutturata sul processo di eliminazione del patologico.

Roma, 12 marzo 2020: un ragazzo delle consegne lavora vicino alla zona del Colosseo durante l’emergenza Coronavirus. (Photo by Antonio Masiello/Getty Images)

Parliamo dell’uscita infelice della Lagarde, che deve parlare di spread per non accettare l’idea di un’Europa realmente unita, non solo macchietta geopolitica governata da un cambio iperfisso senza manco una camera di compensazione comune. Ed in tal senso, si instaura un piano di gerarchia: i patemi e le contraddizioni di mercato necessitano il sangue. Parliamo della condizione di categorie lavorative come i riders, la manodopera produttiva e gli stessi medici.

I primi due sfruttati sul posto di lavoro, spesso senza nemmeno gli strumenti specifici per la prevenzione del virus, ma necessitati a lavorare, pena le ricorsive politiche di licenziamento seriale per giusta causa. Gli ultimi invece, giocati sul posto di lavoro stesso, stremati fisicamente e psicologicamente a causa di un sistema cieco di fronte a 30 anni di continui tagli alla ricerca e alla sanità, ed ora assunti e richiamati in fretta e furia senza certezza per un rinnovo futuro.

D’altra parte, alla comprovata umanità dei medici si ripercuotono ragionamenti sin troppo simili alle conclusioni del più grande modello di fabbrica fordista al mondo, il sistema concentrazionario nazista ed il progetto T4. I comunicati di Johnson da una parte e delle istituzioni mediche dall’altra pretendono di porre impersonalmente un’importanza diversa alla vita del singolo, commisurata per possibilità di vita ed ingombro sociale. Esistono «vite indegne d’esser vissute»: gli anziani e i soggetti a rischio sono sacrificabili di fronte ad un giovane o di fronte ad un’utopica «immunità di gregge». Idem se seguiamo la strategia politica di Trump che per supplire ad un sistema sanitario, quello americano, totalmente inadeguato alla situazione, porta a melodrammi umani come la recente asta sui vaccini tedeschi da lui inaugurata, considerando come il libero mercato possa di propria sponte regolare l’equivalenza merito-premio sui dividendi azionari – discriminazione sociale.

Ed al danno globale che Trump vorrebbe arrecare, portando un indice sperequativo come metro di giudizio del mercato per decidere chi vive e chi muore (non che questa sia una novità), si aggiunge una doppia beffa:

  • La tragedia del sistema sanitario americano, sino all’altro giorno incomprensibilmente noncurante dei fatti, capace di sacrificare i milioni di americani senza una copertura assicurativa o aventi una polizza fortemente vincolante e funzionale alla speculazione a rialzo sia sui derivati strutturati sul sistema assicurativo americano, sia sulla speculazione in merito al costo dei medicinali, tenuto artificialmente alto perché, assieme ai costi d’esercizio effettivi, all’interno di questo si distribuisce il profitto che va a comporre il capitale di rischio, le retribuzioni e parte del ritorno finanziario sempre più prominente ed importante per continuare a far ricerca.
  • L’esistenza di decine di bootlickers capaci di sperare sull’introduzione di un sistema sanitario privato nonostante le recenti smentite empiriche (vedasi l’ultima ricerca a riguardo sul British Medical Journal), per non parlare dell’artificiosa giustificazione (più morale che economica) riguardante il rialzo dei prezzi di particolari strumenti di protezione (con speculazioni economiche tratte dal cappello del mago, come se la capacità produttiva si potesse aumentare non solo nel medio periodo, ma anche simultaneamente nel momento di rialzo dei prezzi, oppure come se gli indici di scarsità, di natura fermamente analitica, indicassero naturalmente una loro natura prescrittiva previo decadenza della propria validità).

Ai signori che si esprimono come campioni d’efficienza sociale, magicamente dichiaratisi come liberali (quanto Himmler, Heydrich ed Eichmann), non sembra proprio che la ratio disciplinante e discriminante sin’ora descritta dall’articolo riesca ad esser contraddittoria pure col suo stesso scopo: l’eliminazione sostanziale o l’annientamento dei veri nuclei informativi (l’individuo relazionato, non una mera astrattezza giuridica attinente al giusnaturalismo più becero o un agente economico denaturato da una pervicace quanto superata semplificazione metodologica) è in primo luogo la rottura di una possibile simmetria informativa come unica e vera possibilità d’efficientamento. Abbiamo descritto la scena d’esecuzione, abbiamo descritto la folla in tripudio, abbiamo descritto la colonna infame e infamante che prescrive le modalità, le colpe indifferenziate ed i luoghi di esecuzione, e tale colonna, non più solamente manzoniana, infama una duplice volta con l’estremo umorismo nero di cui è capace la storia: non è più solo l’untore a prender atto della condanna (l’untore, ricordo, divenuto universale), è l’intera costruzione mitica ed ideologica dell’invincibilità del mondo occidentale, messo in crisi da un qualcosa di esterno, ad esser condannata senza diritto d’appello.

— Elia Pupil

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