Le metafisiche piazze vuote

Vi chiedo di comprendere il momento, non è facile, non abbiamo un Paese predisposto, una tale emergenza nessuno al mondo la immaginava. È un’emergenza che riguarda tutto il pianeta.

Sono le parole di Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, il quale ha annunciato con questo discorso la proroga della chiusura totale almeno fino al 3 maggio. Ad oggi, 29 giugno 2020, si registrano 240.436 casi totali di coronavirus, mentre nel mondo sono 10.021.401; il dato reale è tuttavia avvolto dall’incertezza [e.g., secondo The Centers for Disease Control statunitense, i casi negli USA sarebbero dieci volte tanto il numero testato, ndR]. Sembrava assurdo, ed invece è l’angosciosa e surreale realtà davanti agli occhi di un mondo impreparato. Chi mai, in una società tecnologicamente e scientificamente progredita, avrebbe mai potuto prevedere l’arrivo di una pandemia? In un TED talk del 2015, Bill Gates lanciò l’allarme:

Se succederà qualcosa a 10 milioni di persone, nei prossimi decenni, è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra. Non missili, ma microbi. In parte il motivo è che abbiamo investito cifre enormi in deterrenti nucleari. Ma abbiamo investito pochissimo in un sistema che possa fermare un’epidemia. Non siamo pronti per la prossima epidemia.

L’inquietante e microscopica presenza del virus ha imposto un radicale cambiamento nello stile di vita di ciascuno, cambiamento che peraltro, con ogni probabilità, sarà necessario ancora a lungo. Ciascuno di noi è stato costretto a rinunciare ad alcune fondamentali libertà, fra cui quella di movimento; l’articolo 13 della dichiarazione universale dei diritti umani recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di Stato». E tuttavia, tale privazione è dettata dalla necessità di contenere il dilagare del contagio. Si tratta di una misura tanto autoritaria quanto fondamentale.

Per questa motivazione le gremite piazze romane sono attualmente deserte. Una delle immagini che certamente resteranno più impresse nell’immaginario collettivo è quella di Papa Francesco che prega in una Piazza San Pietro irreale e desolata. Sono inoltre numerose le foto che circolano su internet e che ritraggono una Roma immobile e ferma, a tratti quasi decadente, della quale si può notare una grandezza oramai perduta e ridotta a semplice ricordo. Sono immagini che però ci erano già state mostrate da uno dei maggiori pittori italiani del Novecento, Giorgio De Chirico.

De Chirico nacque nel 1888 a Vòlos, in Grecia, da genitori italiani, ed è proprio in Grecia che trascorse i primi anni della sua infanzia. Tale fattore non è né casuale né marginale, ma è anzi fondamentale per comprendere a pieno il legame dell’artista con l’elemento classico e mitologico, emblema della persistenza della memoria e contrapposto alla fragilità del mondo contemporaneo. L’arte di De Chirico è un’arte filosofica, legata allo studio di Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche, con i quali condivide l’intento di rivelare l’enigma alla base dell’esistenza. Il termine con cui è infatti passata alla storia dell’arte la pittura di De Chirico è “metafisica”; questo termine è ripreso dal linguaggio filosofico, in particolare dalla filosofia aristotelica, e ben esprime il fine ultimo della pittura metafisica, ovvero quello di rivelare una sorte di noumeno. Tale movimento artistico nacque dal curioso incontro fra Carrà, Savinio e De Chirico stesso, avvenuto nel 1917 in un ospedale militare ferrarese. Come sostenuto da Calvesi è l’enigma il vero protagonista della Metafisica. Questo elemento è chiaramente ripreso dalla filosofia nietzschiana, la quale riteneva che l’essenza della realtà fosse completamente irrazionale, caotica, buia e disordinata.

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Fra le opere più celebri dell’artista vi è certamente Piazza d’Italia, realizzata nel 1951. Nel dipinto l’immobile spazio compositivo è costituito da due edifici squadrati e da un edificio classico sullo sfondo. Al centro si trova una statua classica, sulla sinistra due figure che parlano e sulla destra un treno che corre sui binari. Nonostante quest’ultimo sia in movimento, appare tuttavia statico e fermo come tutti gli elementi della città. Le sfumature quasi assenti e perlopiù nette, il cielo metallico e verdastro, quasi tossico, ed infine la prospettiva destabilizzante contribuiscono ad immergere l’opera in un silenzio assordante. L’atmosfera è malinconica e inquietante nella sua staticità; la piazza viene privata della folla, suo elemento fondamentale. Il senso di immobilità è suggerito ancor di più dall’elemento classico, emblema della frattura fra un’antica e nuova condizione. L’essenza della contemporaneità è l’inquietudine che pervade l’opera.

È forse la medesima sensazione che ciascuno prova affacciandosi dalla finestra e osservando una Roma completamente deserta. Ciò contribuisce ad amplificare ancora di più il senso di desolazione, di angoscia, e di solitudine che probabilmente la maggior parte delle persone prova. Pur avendo la possibilità di restare in contatto con altre persone, nulla potrà mai sostituire la dolcezza e la bellezza di una carezza e la profondità di uno sguardo. Nonostante ciò il treno sullo sfondo continua a correre e la produttività non può essere arrestata: nella condizione attuale chiudere completamente le fabbriche rappresenterebbe un danno eccessivo alle economie nazionali, ma allo stesso tempo è necessario garantire condizioni adeguate affinché nessun lavoratore rischi di ammalarsi.

Nelle opere di De Chirico, come nella realtà attuale, emerge la contraddizione di un mondo che ha bisogno della produttività, ma allo stesso tempo di un mondo che vede nella produzione la causa di un presente inautentico. L’assenza è la cifra estetica fondamentale della Metafisica, ed analogamente la condizione di assenza e solitudine permea nel mondo contemporaneo. Uno dei temi afforntati nel disco dei Pink Floyd Wish you were here è proprio quello dell’assenza, ed infatti la copertina del disco ricorda particolarmente l’immagine dei due uomini che si stringono la mano sullo sfondo di Piazza d’Italia.

Eppure questa quarantena ha permesso al mondo di fermarsi. La condizione dell’uomo occidentale è una condizione di frenesia e finalmente la maggior parte della società ha l’opportunità non solo di coltivare le proprie passioni, ma anche di riflettere sulla propria condizione e sulle motivazioni che hanno portato l’epidemia a tramutarsi in pandemia. Ciò che solitamente si può osservare fra le strade di Roma è il traffico, il caos, persone arrabbiate e seccate per essere in ritardo. Il tempo della modernità è veloce, scorre senza fermarsi nemmeno per un istante.
La maggior parte degli uomini-lavoratori si trova oggi con intere giornate libere a disposizione e subentra dunque la necessità di scandire il proprio tempo. Come scriveva Seneca nel de Brevitate Vitae:

non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus.

[non è che abbiamo poco tempo, è che ne abbiamo perduto molto.]

Lucio Anneo Seneca, de Brevitate Vitae [Sulla Brevità della Vita], I

— Compagna Elisa

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