Kurdistan, l’una e molteplice nazione

— Emanuele

L’ultima volta che la questione curda ha suscitato una qualche rilevanza in Europa era per il suono dei missili e delle batterie di cannoni turche a creare la zona cuscinetto in Siria, nell’ottobre 2019, a spese del Rojava.

In effetti la Turchia all’interno della guerra siriana ha mantenuto un ruolo ambivalente rispetto il conflitto fra Bashar al-Assad e i ribelli fondamentalisti, tra cui l’ISIS, in pieno rispetto però del proprio interesse geopolitico nello stabilire la propria egemonia in Siria e sulle risorse idriche e petrolifere mediorientali – a questo è dovuto anche l’intervento in Libia a favore di al-Sarraj e dei Fratelli Musulmani. Il governo di Erdoğan tratta i curdi precisamente secondo questo schema: combatte, arresta, perseguita l’HDP (Partito Democratico dei Popoli, sinistra curda e delle minoranze etniche che in Turchia si attesta all’11-13%) e soprattutto il PKK, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che attivamente promuove la guerriglia contro il dispotismo sempre più autocratico del capitalismo turco.

D’altro lato la Turchia, se si oppone violentemente ai curdi del suo territorio, supporta invece il partito PDK dei curdi iracheni – autonomi e spesso in conflitto con Baghdad – i quali invece si oppongono e hanno coinvolto il PKK in diversi scontri, ospitando invece una base militare turca che controlla il territorio e tenta di minare le retrovie d’azione del PKK.

Hewlêr (Arbil), capitale del Kurdistan iracheno

Quest’esempio dei rapporti ambivalenti e molteplici della Turchia coi curdi evidenzia in modo molto marcato la sostanziale divisione e faziosità della popolazione curda, suddivisa per stati e per partiti in una forma quasi feudale e in un certo modo avanzando una lotta conchiusa nei confini nazionali. Anche in Iran la questione curda è simile, per quanto invece i curdi iraniani sono tollerati e integrati nel sistema del paese degli ayatollah, benché formalmente la Repubblica Islamica riconosca e difenda la religione sciita e l’etnia persiana come caratteristiche fondanti della cittadinanza iraniana. Il governo infatti supporta le affermazioni di indipendenza del Kurdistan iracheno – almeno quando il governo di Baghdad è retto dalla parte sunnita e non quella sciita filo-iraniana – non però attraverso il PDK filo-turco, ma per il PUK, l’altro partito principale della regione autonoma curda irachena, e che dal 2018 esprime il presidente di tutto l’Iraq.

Il ruolo del Kurdistan iracheno è centrale. Nonostante esso sia quanto di più simile a uno stato curdo dalla prima metà del XIX secolo, quando le tribù seminomadi curde gravitavano attorno a centri feudali autonomi o indipendenti, il suo rafforzamento per contro rappresenta un allontanamento dalla costituzione di un grande Kurdistan, giacché è funzionale alla Turchia per il mantenimento della propria egemonia economica. Attraverso il Kurdistan iracheno passano degli importanti oleodotti contrattati dal PDK stesso col governo di Baghdad, mentre il suo primo partner commerciale e massimo finanziatore è proprio la Turchia.

Un contesto totalmente differente e antagonista rispetto al governo turco è, come introdotto all’inizio, il Rojava dei curdi siriani, assiri, turkmeni e arabi. Qui la Turchia è un nemico, le cui accarezzate idee espansionistiche e di sostituzione etnica – attraverso l’occupazione e il rimpatrio di 2 milioni di profughi, siriani in gran maggioranza arabi, nella zona cuscinetto della Siria settentrionale – non è mai stata totalmente abbandonata, nonostante la Russia e la Siria, non potendo tollerre l’occupazione straniera di quello che è territorio siriano, abbiano costretto la Turchia al negoziato dopo diverse battaglie e scontri aerei, lasciando all’occupazione turca solo un terzo del confine a est dell’Eufrate, da Tel Abyad-Girê Sipê a Ras al Ayn-Serêkaniyê.

Oltre a ciò, e alla striscia di confine con la Turchia condivisa con e truppe russe e siriane, il Rojava amministra tutta la Siria nordorientale a est dell’Eufrate, che serba poco meno della metà delle risorse petrolifere del paese. Ufficialmente si definisce come Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est – per non avere ripercussioni diplomatiche col governo centrale di Damasco, col quale i rapporti sono andati via via migliorando dall’ostilità all’inizio della guerra civile all’attuale consolidata alleanza – mentre è retto da una coalizione di partiti guidata dal PYD, Partito dell’Unione Democratica, che è di fatto il partito-fratello del PKK, fondato nel 2003 clandestinamente dai membri dei partiti curdi siriani preesistenti (ovvero le sedi siriane del PKK, PUK, PDK e minori).

Oggi Assad costituisce, per i curdi siriani e il Rojava, l’unica spiaggia, dal momento che l’appoggio della Nato e degli Stati Uniti è diventato sempre più evanescente, fino al ritiro delle truppe americane dalla Siria nordorientale al fine di favorire l’avanzata dell’esercito turco, secondo per dimensioni nella Nato. Perciò, un volta che fra settembre e ottobre 2019 era venuto definitivamente meno il distratto supporto euro-atlantico, il Rojava ha deciso di coalizzarsi con Assad e la Russia nel nuovo teatro della guerra, senza più Isis. La Turchia ad ora fa la parte del leone, supportando con la propria aviazione, rifornimenti e anche truppe sul campo il sanguinario fronte jihadista, tra cui al Nusra e al Qaeda.

Finora, lo scenario della guerra civile siriana si è piuttosto assestato e impantanato nella situazione che era emersa alla fine dell’anno scorso, complice lo scoppio della pandemia e un inverno rigidissimo che hanno gravato le già insane condizioni della popolazione. Tuttavia, tra dicembre e gennaio 2020 c’è stata la graduale liberazione di parte del cantone di Idlib grazie ai reparti dell’esercito russo, che hanno permesso la ricostruzione e il ritorno del traffico sull’autostrada Aleppo-Damasco, e degli scontri lungo il confine e la fascia occupata dai turchi, che intendono unificare le proprie zone rompendo la resistenza curdo-siriana a Kobanê.

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