Neo-Zarismo tra Bifo, Putin e il Capitale digitale.

Ovvero le armi della critica come critica delle armi

Non è possibile sentir dire dalla propaganda liberale che Putin vuole rifondare l’impero russo sovietico. L’atto che Putin sta compiendo non ha nulla di sovietico, nulla di russo: è puro imperialismo. Anzi, direi di più: è zarismo, neo-zarismo. È la più evidente, recente e tangibile manifestazione del neofeudalesimo nel quale siamo da anni. E ce ne stiamo accorgendo “solo” ora. Quello di Putin lo chiamo Neo-Zarismo, ecco come lo chiamo. Viviamo già in un neofeudalesimo: le tecnologie di comunicazione ed estrazione dati sono i nuovi feudi, i cui padroni sono i nuovi capitalisti dei “big data”. È ciò di cui parlano già da anni Zizek e Varoufakis, tra gli altri. Un ritorno al personalismo, al centralismo, al monopolio, alla forma individuale del potere, in apparente contraddizione con un apparato che è sempre più vasto, diffuso, più “dividuale”, per usare il neologismo di Guattari riportato da Deleuze per descrivere la società di controllo dove viviamo. Ma questa forma neofeudale nel caso di Putin trattiene delle caratteristiche ancora più evidenti del vecchio, storico feudalesimo. Una di queste è la struttura piramidale personalistica e fiduciaria di comando e decisione. Interessi personali si incrociano e confluiscono e sovradeterminano i flussi lasciati liberi sottostanti. Questo accade anche nel caso dei padroni neofeudali dei Big Tech. Ma nel caso di Putin si va oltre, o forse indietro. Pienamente esponente del nuovo feudalesimo finanziarizzato, della plutocrazia personalistica sovranazionale, incarna però appieno, e in una forma lampante, l’ultimo stadio dello stato-nazione territoriale.

Bezos, Musk, Gates, Zuckerberg e compagnia cantante sono a tutti gli effetti signori feudali del nuovo cyberspazio/nomos della terra virtuale, signori de-territoriali, dove la riterritorializzazione del capitale ritorna nelle nostre case e nei nostri stessi centri neuronali, in una forma ormai ibrida e mista sempre più indecidibile tra forma e materia, onda e particella. Putin invece è l’ultimo grande zar, l’ultimo grande signore territoriale che partecipa comunque appieno nel gioco del capitale finanziario deterritorializzato e sovrastatale.
Ma mantiene un che di romantico, di arcaico, di imperiale, di terra vecchia, terra battuta da cingoli e stivali, di sangue… Ecco perché non pochi si sono sentiti eccitare al solo pensiero del sangue e della terra… finalmente, finalmente dopo anni di effeminazione, di degrado, di pervertimento… l’uomo torna a ricanalizzare i suoi istinti bestiali, castrati dalla permissività (in)tollerantemente repressiva postmoderna, torna a desiderare l’indesiderabile, torna alla sua essenza autentica, la virtù bellica ed eroica affine e connessa allo stupro…

Non è un caso che Putin sia un riferimento della destra europea e non solo. Da Salvini a Trump, i ritorni di fiamma nazionalisti, reazionari, identitari, dal taglio tipicamente ultraliberista o anche persino anticapitalista (rozzobrunismo a gogo) Putin sembra essere un riferimento. Agli uni richiama il desiderio di autoritarismo nazionalista, identitario e statalista veterosovietico, ma di cui in comune col sovietico c’è solo la collocazione geografica – grave e tipico errore del pensiero feticistico nazionalista identitario della terra che è Madre – o meglio, nascondono il loro fascismo veterocapitalista de facto con vaghi riferimenti retorici all’anti-imperialismo russo in funzione antiamericana, al ritorno a un centro di valori, di fermezza, in tempi di liquidità, fluidità e così via, non sanno neanche loro come raccapezzarsi; agli altri richiama il desiderio di autoritarismo micronazionalista, individuale, identitario dello stato neoliberistico, del plutocrate, del ricco potente maschio alfa realizzato, e in questo c’è tanto in comune tra Berlusconi, Trump e, con qualche accorgimento e deviazione, i vari Musk-Bezos, che sono l’altro polo del disfacimento dello stato sociale in nome del potere nuovamente identitario e autoritario.

È un quadro variegato ma in fondo semplice. Il capitale ha ricolonizzato quello che si era arrischiato, in parte costretto, in parte spinto dalla sua natura di autocritica permanente, a decolonizzare: l’identitarismo nazionalista territoriale. C’e un modo veterofascista di desiderare il veterocapitalismo statale, autarchico, reazionario e autoritario, mascherando questa pretesa ideologica con un vago anticapitalismo anti-postmoderno anti-antifa, tutto anti, tutto “ritorno a” e “c’era una volta”, spacciando conservatorismo reazionario per critica sociale della (post)modernità liquida, ahi per noi, la nuova-nuova-Salò: perché questi osano pure scomodare Marx, Gramsci, Pasolini; poi c’e un modo nuovamente, innovatamente fascista, quello iperliberista, quello dichiaratamente, bavosamente capitalistico, identitario ma nel senso individualista del termine, qualcuno persino (pseudo)anarchicamente anti-statalista, anticollettivista/iperegoista, anti-antifa, anti-vax, e così via e così via, in fondo e proprio per questo più identitario, autoritario, fascista, quanto apertamente anti-totalitario. Questa è tanto la destra di Meloni quanto quella di Trump, tanto quella di Orban quanto quella di Elon Musk.
Vogliamo capirlo o no? Finalmente mafia, feudalesimo, fascismo, capitale (nella doppia variante, il veterocapitale conservatore borghese paranoico e il figlio diseredato schizofrenico, il neo-capitale digitale, che, come tutte le discendenze e tutte le famiglie, mantengono le più grandi affinità ma portano in essere anche le più grandi divergenze e conflitti) mostrano la loro sinergia e il loro intimo coinvolgimento vicendevole. Come ben notava Stiegler, il capitale è intrinsecamente mafioso. Lo spirito feudale, premoderno, della mafia, raccolto in eredità e progredito nel capitalismo deterritorializzato, passando attraverso il fascismo e tenuto insieme dalla colla identitaria.

Non è un caso che i maggiori ammiratori di Putin siano i fascisti sovranisti reazionari, neoliberisti o anticapitalisti, questi ultimi anticapitalisti sì, perché avversi al capitale neoliberale, ma da una prospettiva veterocapitalistica, perché incarnano il vecchio spirito borghese di senescenza -ahiloro- terminale. Da Trump a Salvini e Meloni a Berlusconi, da Fusaro a Marco Rizzo. Perché come spiegava egregiamente Bifo, iperliberismo e ossessioni identitarie sono il doppio legame (double bind per chi se la intendesse) che si tiene insieme nel nazismo…
Penso che mai come in questa situazione siamo di fronte alla manifestazione concreta ed effettuale di tutto questo. Questa azione putiniana non ha nulla di sovietico. Toglietevelo dalla testa. Gioca comodo al controimperialismo americano richiamare all’occidente sentimenti di odio nazionale verso il popolo russo, che non merita nessun tipo di incriminazione, rinforzando identitarismi infondati e feticistici, e pensieri di odio ideologico verso il comunismo, cioè l’alternativa totalitaria al “mondo libero” occidentale che non ha nulla a che fare, nulla, con tutto ciò. È criminalizzata, demonizzata e obliterata anche solo l’idea di una alternativa, facendolo con feticci immaginari, inesistenti e ormai francamente stantii, a cui non crede più nessuno se non i vecchi paranoici che gridavano al lupo allora come oggi. Morte ai vecchi, diceva Bifo.

È qui che il gioco ideologico del controimperialismo capitalista americano interviene a fare il suo comodo. Il totalitarismo è sempre il totalitarismo altrui. Il pazzo despota è sempre il pazzo despota dell’altro. Così si proietta e oblitera la propria condizione di vita dispotica e illibertaria sull’altro, di fatto autoassolvendosi e autoincatenandosi alle proprie catene che diventano invisibili, così come la possibilità stessa di una alternativa diventa invisibile, inesistente. E l’Europa è ridicola, per farle un complimento, per non dire complice e interessata. La nenia delle “sanzioni” è diventata urticante, se non proprio apertamente derisoria. Perché come in tutte le guerre, anche quelle che con tanta passione si cerca di evitare, tutto ricade sulle spalle del popolo, non il Popolo con la P maiuscola, il Volk consanguineo, ma il popolo universale, internazionale, fatto di lavoratrici e lavoratori, il popolo dei proletari. L’alto imperialismo che si gioca tra gli ultimi grandi signori feudali e i primi grandi signori neofeudali si gioca sulla pelle del proletariato. I cittadini ucraini sotto le bombe russe, i cittadini russi sotto le sanzioni occidentali che fanno un baffo all’alta oligoplutocrazia russa, i cittadini europei e in particolare italiani coi ritorni economici devastanti figli del monopolio russo dell’energia. Che faceva comodo, sì se faceva comodo all’alto delle élite europee e italiane.
Ma le oligarchie nazionali e sovranazionali ci stanno calpestando anche fisicamente ora. E questo ora è anche troppo. Le bombe sui civili sono una infamia imperdonabile. I civili, nelle guerre tra interessi padronali, non si devono toccare. Non sono le prime bombe, né le ultime, che sono cadute e cadranno su case, scuole, ospedali e civili. Ma sono le più vicine a noi da anni e il silenzio sotto cui sono passate le “altre” bombe, gli “altri” civili morti, tanto perché a sganciarle era stata Washington e non Mosca e in qualche deserto a oriente e non in casa nostra, fa ancora più rabbia perché ci macchia anche di una brutta dose di ipocrisia. Per questo è ora di dire basta. Dirlo e basta, per ora. Le parole sono le ultime armi dei disarmati. Finché siamo ancora in grado di usare la parola come un’arma, in modo libero, prima di finire ad essere ripetitori di segnale ideologico o replicanti del capitale neurologico, come è capitato a molti, troppi, e prima di finire nel buco nero senza uscita della depressione, noi continueremo a parlare. E forse, pia fraus, infettare o dis-infettare qualcun altro, e viceversa, in maniera contro-virale… al virus del capitale cerebrale si risponde con una strategia contro-virale.

Continuare a far scorrere i flussi ideologici in maniera turbolenta, senza intentare di spostare anche solo un minimo qualche particella nel turbinio violento, mi sembrava importante, almeno per me. Almeno per per darmi segnali di perturbazione vitale.
Ecco perché, dal canto mio, non mi pronuncio con paroloni geopolitici, non mi pronuncio schierandomi per il tal padrone o per l’altro tal padrone, non mi pronuncio per regalar parole consolatorie o autoassolutorie a me o a nessuno.
Parlo perché è la sola arma che mi rimane, anzi la sola arma che mi è concessa fin ora. E la critica serve, serve ancora. Checché ne dicano i fanatici del tecnicismo della competenza pratica, la filosofia serve oggi più che mai perché nel mondo dominato dal capitalismo cognitivo, il capitalismo della conoscenza e dell’informazione, il capitalismo del lavoro immateriale e neuronale, far girare i neuroni in maniera antagonistica è diventata più che mai un’azione rivoluzionaria. Useranno bombe, useranno propaganda, noi useremo, finché potremo, avremo le forze, e non potremo fare altrimenti, le armi della critica.

~Compagno Alfonso

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