Il Venezuela versa, da ormai oltre una settimana, in una crisi politica dalle dimensioni sempre più internazionali. Il presidente dell’Assemblea nazionale, Juan Guaidό, si è autodichiarato presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, noncurante delle elezioni svoltesi in maggio 2018 che riconfermarono la presidenza di Nicolás Maduro. Ad ogni modo, attribuire a Guaidό una precisa e autonoma volontà, così come all’opposizione al PSUV, è limitativo e fuorviante per ciò che in realtà sta accadendo in Venezuela.
Questo è testimoniato da diverse azioni, quale la dichiarazione dello stesso Guaidό con le autorità venezuelane sulla spinta americana per generare questa tensione, o la nomina statunitense di Elliot Abrams come “inviato speciale” per il Venezuela, segretario di stato sotto l’amministrazione Reagan, che combatté i sandinisti in Nicaragua finanziando i narcotrafficanti per mezzo dei contras e l’esercito somozista, vendendo armi all’Iran per finanziare questa guerra. Le sue ingerenze paramilitari, all’insaputa del Congresso, gli valsero una condanna poi amnistiata da Bush. Inoltre, il consigliere alla sicurezza di Trump, John Bolton, dichiara di riconoscere esclusivamente l’Assemblea Nazionale come istituzione legittima del Venezuela, benché si sia agito, per la sua esautorazione, in modo esattamente costituzionale, al contrario dell’autoproclamazione di Guaidό, illegittima in quanto il presidente eletto dal popolo c’è, e con la stessa legge elettorale che vide l’Assemblea Nazionale dominata dalle opposizioni.
Ma è proprio a livello internazionale che la questione, altrimenti chiarissima di per sé, si confonde, in un moltiplicarsi di dichiarazioni, a favore dell’inconsistenza ad interim di Guaidό come avviene per gli Stati Uniti e per i suoi vassalli latinoamericani, oppure un insostanziale affermarsi a favore del popolo venezuelano, senza però ricordare come questo gioco di dichiarazioni, manifestazioni e illegittimità internazionale abbia seminato morte e immani catastrofi umanitarie in Siria, in Libia, in Iraq, in Afghanistan, e in tutti quei paesi petroliferi fuori portata per i capitali americani. Tanto peggio se questi paesi si definiscono socialisti, e cercano di attuare politiche in senso antiliberista: persino molti sedicenti comunisti all’estero si proclamano, vuoi per un’insana tendenza all’ortodossa purezza ideologica, vuoi per un’aderenza straordinaria alla propaganda mediatica, contrari a Maduro, e a favore di quella «transizione democratica» che, come un film già visto troppe volte, non sembra mai stancare di sangue una tale infantile platea.
Mai come ora la scelta è così ben definita: a favore del popolo venezuelano non ci sono le promesse americane dell’ennesima esportazione di democrazia, bensì la stabilità di un Paese già in ginocchio per l’embargo a cui è stato sottoposto negli ultimi anni. Ciò non giustifica tali azioni scellerate del governo Maduro, ma ora è doveroso, da comunisti, dichiararsi contrari al golpe o alla guerra civile, e schierarsi – criticamente – a favore della pace e della rivoluzione bolivariana.
Non c’è alternativa, se non parole già sporche di cruenti eccidi.
— Emanuele
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